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270 | ATTO QUINTO |
questo danaro, ne farò quell’uso che mi parerà, in favore di chi sarà più docile, e punirò i prosontuosi.
Lucrezia. Per me, mi rimetto al signor Conte.
Tognina. Io non guasto; non voglio che dicano, ch’io son difficile.
Annina. Ci riportiamo alla cognizione ed alla bontà del signor Conte.
Pasqualino. Voi mi conoscete, e mi raccomando alla vostra protezione, (al Conte)
Maccario. Anch’io mi raccomando a voi, son galantuomo, e mi contento di tutto.
Nibio. Farò io da direttore, se vi contentate.
Tognina. La signora Lucrezia è mia buona amica.
Annina. Non vi sarà che dire fra noi.
Lucrezia. Sì, viveremo m pace. Ecco un bacio.
Annina. Ecco un bacio. (tutte tre si baciano)
Tognina. Un bacio.
Lasca. Così mi piace. Così va bene. Spero che starete in pace, e che tutti contribuirete per il comune interesse. Ecco la differenza che passa fra un teatro a carato, e quello d’un impresario. Sotto di un uomo che paga, tutti sono superbi, arditi, pretendenti. Quando l’impresa è dei musici, tutti sono rassegnati, e faticano volentieri. L’Impresario delle Smirne è una buona lezione per quelli che vogliono intraprendere di tali imprese, difficili, laboriose, e per lo più rovinose.
Fine della Commedia.