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264 | ATTO QUINTO |
Maccario. Caro signor Carluccio, voi sapete chi sono. Con i miei pasticci, voi sapete ch’io servo al vostro bisogno. Voi non avete che due arie, cantate e ricantate, e le mettete in tutte le opere nelle quali voi recitate; e sapete quante volte mi avete fatto cambiar le parole a queste due arie eterne. Mi ricordo ancora di quell’aria, che mi faceste cambiare per Genova. Non mi deste tempo a pensare, e per rimare cielo con ruscello, mi faceste lasciare un elle nella penna.
Carluccio. Oh, oh, di questi arbitrii voi altri poeti ve ne prendete quanti volete.
Maccario. È vero che le licenze poetiche sono permesse.
Carluccio. Ecco la Bolognese. Che diavolo è quella gente che viene con lei?
Maccario. La mamma, suo fratello ed il servitore con i cani.
SCENA III.
Annina da viaggio, una Vecchia, ed un Giovane mal vestito, ed un Servitore con livrea con due cani legati con un nastro; e detti. La Vecchia va a sedere in fondo della scena.
Annina. A quel ch’io vedo, io sono la prima. Se sapeva così, sarei stata in letto ancora un’oretta.
Carluccio. Quando ci sono io, che sono il primo soprano, ci potete essere anche voi.
Annina. Cosa fanno, che non vengono queste due sguaiate? Si metteranno in bellezze. Io sono una bestia. Per non fare aspettare, non ho fatto nemmeno la mia tavoletta.
Carluccio. Chi ha da venire? Chi sono quelle che si fanno aspettare?
Maccario. L’Acquacedrataia e la Zuecchina.
Carluccio. È egli vero, che voi fate l’ultima parte? (ad Annina, ridendo.)
Annina. Andiamo a sbarcare alle Smirne, e là la discorreremo. Per ora ho dovuto ingoiar questa pillola amara: ma quando saremo di là del mare, vedranno chi è l’Annina bolognese.