L'armata d'Italia/L'armata/VI
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VI
Fino a questi ultimi tempi, la piú terribile arma contro le grandi navi corazzate e la piú agevole pareva il cannone da cento tonnellate. Nell’anno in cui fu messo in mare il Duilio, nell’anno primo del rinascimento, il siluro era ancora un’arma imperfetta, incerta, costretta a un raggio di azione assai breve; né poteva ancora esser lanciato da un naviglio in corsa a tutta velocità. La torpediniera, prima di lanciare, doveva fermarsi o almeno rallentar la corsa, per aver preciso il tiro e per fuggire il pericolo d’andar sopra al siluro e di saltar in aria. Inoltre, la torpediniera mancava di solidità nel reggere il mare e mancava di esattezza nell’obbedire al timone.
Oggi, in vece, il siluro ha raggiunto uno straordinario grado di perfezione; e nella construzione della torpediniera il progresso è mirabile.
Il progresso è continuo. Dalla casa Yarrow e C. di Poplar, a pena tre mesi fa, uscí un nuovo tipo di torpediniera di seconda classe, al quale le autorità dell’ammiragliato inglese tributarono altissimi elogi. Questa nuova barca, solidissima, veloce, resistente al mare, potentemente armata, a bastanza comoda per l’equipaggio, dà l’ultimo crollo al vecchio tipo. Porta a poppa, in coperta, un tubo di lancio che può esser puntato in qualunque direzione, e che può anche, nel caso, esser rimosso e sostituito da un cannone Hotchkiss a tiro rapido da tre libbre.
Il lancio dei siluri vien fatto per forza di polvere in vece che per forza d’aria compressa. Una garitta d’acciaio protegge l’apparecchio di governo e le trasmissioni d’ordini alla macchina e al tubo di lancio; cosicché, se la torpediniera dovesse entrare in combattimento, nessuno delli otto o nove uomini d’equipaggio sarebbe scorto dal nemico. La macchina è a tripla espansione. Tale è la facilità di manovra, nella nuova barca, che ella può girare descrivendo un circolo di quaranta metri, mentre è lunga piú di diciotto.
Non minore è il progresso nelle torpediniere d’alto mare. La casa Yarrow e C., in fatti, è giunta a un tipo eccellente, che unisce a una singolar potenza d’armamento una singolarissima resistenza contro ogni fortuna di mare e una comodità di alloggi insperata. Una descrizion minuta di questo massimo tipo sarebbe qui fuor di luogo. Basti sapere che, come armi d’offesa, principalmente, la barca porta a prua due tubi lancia-siluri ed a poppa un terzo tubo montato su piattaforma girante, che può lanciare da due lati e in qualunque direzione. Porta inoltre tre cannoni a tiro rapido e quattro mitragliere Gatling a sei canne. È lunga trentanove metri, e può fare una evoluzione su la dritta e su la sinistra in un circolo del diametro di circa due volte la lunghezza. Può raggiungere una velocità di circa ventiquattro nodi, in completo armamento ed in assetto di navigazione.
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È fuor di dubbio omai che oggi il siluro, nella guerra marittima, sia l’arma suprema e che le torpediniere nella difesa delle nostre coste abbiano il primo luogo.
Le torpediniere posson oggi essere d’efficacia grandissima contro le offese nemiche, in ispecie contro gli sbarchi; purché — come osserva il Maldini nel suo recente scritto intorno La difesa marittima d’Italia — “nel concepire il piano di difesa delle coste siasi tenuta presente la necessità di preparare a codesto naviglio speciale gli opportuni punti di rifugio e d’appoggio lungo il litorale e più specialmente in prossimità di quelle posizioni le quali si prestano meglio per una operazione di sbarco.”
Nella futura guerra, dunque, una parte delle torpediniere sarà aggregata alle squadre; ed un’altra, la maggiore, sarà disseminata a gruppi sui diversi punti più accessibili del litorale e delle isole, formando come una lunga catena di vigilanza.
Del nostro esercito di mare, molti, specialmente i giovani, hanno nella torpediniera una fede profonda; più forse che nelle navi, considerando la straordinaria potenza di quelle piccole barche rapide al paragon de’ colossi. — Dopo l’apparizione di questi istrumenti diceva Sir William Armstrong, sei anni fa, in un’assemblea d’ingegneri britanni — le più forti corazzate non sono, rispetto al naviglio più debolmente armato, in condizioni di sicurtà migliori. Essendo stata lungo tempo viva la speranza di giungere ad ottenere la invulnerabilità assoluta, non è meraviglia che a questo intento si sian fatti i più gravi sacrifici; ma, a punto per la esperienza nostra di oggi, sarà a noi permesso d’esprimer qui la convinzione che la tanto cercata invulnerabilità è una chimera. Non soltanto è dimostrata l’inefficacia della corazza contro l’esplosione delle torpedini e l’urto dello sperone; ma noi abbiamo ragioni plausibilissime per affermare a priori che qualunque progresso nella via d’accrescere la resistenza delle corazze contro l’effetto dei proiettili sarà subito seguito da un corrispondente progresso nella potenza dell’artiglieria.
Ciò posto, nella riconstituzione della nostra armata, le torpediniere ed i loro equipaggi dovrebbero essere oggetto di cure speciali.´ Ma accade oggi il contrario; e la ragione della incuranza deve forse ricercarsi in questo: che non tutti gli officiali credono nella efficacia guerresca delle torpediniere e che i men fervidi fautori sono, in genere, i capi; i quali non le hanno conosciute intimamente ma solo vedute e studiate da lontano.
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Le torpediniere disarmate o in posizion di riserva, nelli arsenali, sono in mano di un numero di persone così scarso che deperiscono rapidamente. Dovrebbero, per regola, essere pronte a partire in assetto di guerra nel tempo massimo di ventiquattro ore; invece non s’è ancor dato il caso che una abbia potuto lasciare il porto, completamente armata, prima di quattordici o quindici giorni.
Quei fragili e delicatissimi e terribilissimi istrumenti moderni vogliono equipaggi esperimentati; i quali sappiano, con eguale abilità, compire tutti i necessari servigi e quindi abbiano unicamente l’ufficio d’armar torpediniere e in quello si provino di continuo. Se bene vi sieno ancor molti dubbi circa l’azione delle torpediniere in tempo di guerra — dice un scrittore del Daily News, in proposito del nuovo tipo yarrowiano di cui abbiam parlato sopra — è almen certo che solo gli equipaggi perfettamente pratici delle torpediniere a loro affidate avranno una ragionevole probabilità di condurre a termine le perigliose imprese. Il modo di manovrare una torpediniera moderna non s’impara né in un giorno né in una settimana.
È dunque per noi necessario instituire una Direzione speciale, incaricata unicamente delle torpediniere, e d’un Corpo che fornisca equipaggi unicamente alle medesime.
Accade oggi, per lo più, che in un periodo di tre o quattro mesi tutto l’eguipaggio di una torpediniera venga ricambiato con un equipaggio novizio, anzi novizio non soltanto del naviglio ma bene spesso anche del mare. Un marinaio, o un fuochista, o un caporale, o un sott’officiale, è promosso. Poiché la tabella d’armamento non porta quel grado a bordo, il promosso viene sbarcato e inviato su una nave. Ogni buon frutto della fatica e del tempo spesi a istruirlo è perduto!
Bisogna allora ricominciar da capo con la gente che viene in sostituzione; e sempre con pregiudizio grave del materiale che nell’assiduo attrito si consuma e si guasta. Il materiale, per conservarsi sempre in ottimo stato, ha bisogno di regolari riposi, quando l’equipaggio sia giunto a conoscerlo e a maneggiarlo.
Una prova incredibile della insipienza o della leggerezza di chi sta in alto, eccola. Furono una volta spediti all’Estero, per prendere alcune torpediniere e condurle in patria, equipaggi allora allora esciti dalla leva, che non sapevano stare al timone, che chiusi nella camera della caldaia non potevan reggere o mal reggevano, e che al più piccolo moto del mare restavan prostrati e abbandonavano il servizio di bordo.
Ma a bordo di un tal naviglio hanno da stare uomini provati a tutte le più fiere fortune, vere tempre incorruttibili e inflessibili. Su la torpediniera si vedono gli eroi.
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Il servizio è diviso in due turni. Secondo la regola teorica, una parte dell’equipaggio dovrebbe vegliare e operare, l’altra dovrebbe riposare. Nella pratica però succede (e così sarà anche per l’avvenire) che, quando la torpediniera cammina, tutti lavorano, di giorno e di notte, e nessuno riposa.
Le macchine di queste minime navi sono assai diverse dalle macchine delle navi massime: l’elice acquista la rapidità vertiginosa di trecento e quattrocento giri al minuto; la pressione, nelle caldaie sottili, monta a dodici e a quattordici atmosfere.
La sicurezza della mano dev’essere infallibile, la leggerezza del tocco dev’essere tenuissima. Il più abile e il più intrepido macchinista d’una corazzata si sente smarrito sopra una torpediniera. Se egli lascia fuggire un fil di vapore, la pressione cade e con la pressione la velocità, d’un tratto. Ma, sotto le ineguaglianze improvvise, i più delicati congegni si guastano; la caldaia, dilatata dalla gran pressione, si contrae subitamente: le commessure dei compartimenti e de’ fornelli si piegano. E ne segue, per ultimo, una transformazione nello stato molecolare del metallo e quindi una diminuzione nella forza di resistenza: la rovina.
Né il macchinista soltanto è il martire, là dentro. Tutti, là dentro, sono martiri. Non la fatica indefessa, non lo scotimento della barca, non l’ardore delle macchine e delle caldaie, non la spruzzaglia incessante e i colpi di mare, non la soffocazione nelle torri chiuse e nelle camere interne, nulla deve abbattere la volontà. La forza non ha da scemare, l’energia non ha da vacillare, la serenità della mente non ha da mutare.
La virtù de’ nostri marinai ha già dato gran lume, su le torpediniere. Vi furono nelle passate manovre, interi equipaggi che per quattro o cinque giorni di sèguito non dormirono. Finché la necessità è sopra, finché è viva la emulazione, le membra obbediscono. Appena cessano per un momento gli stimoli, le membra si piegano e non si risollevano che dopo lungo riposo.
Per ciò gli equipaggi delle torpediniere dovrebbero sempre essere i medesimi. Tre o quattro anni di vita in quelli eroici inferni formerebbero uomini prodigiosi, capaci di vegliare e di lavorare per settimane intere fra i più duri cimenti.
Convien ricordarsi che nella futura guerra l’officio delle torpediniere sarà simile a quel della sentinella con il fucile armato pronta a far fuoco. Chi sa per quanti giorni e per quante notti li equipaggi dovranno vegliare, prima di scorgere all’estremo orizzonte un pennacchio di fumo nemico! E sia di giorno o sia di notte, e sia presto o sia tardi, essi dovranno esser preparati sempre ad assalire, senza turbamento alcuno.
Il coraggio dei marinai torpedinieri, in faccia al pericolo, dovrà essere gelido; la chiarezza del loro intelletto dovrà essere immutabile; l’azione delle loro membra dovrà esser regolare come quella di un istrumento esatto.
S’avvicineranno essi alla gran nave nemica sotto la grandine incessante delle mitragliatrici e dei cannoni a tiro continuo, capaci di dare più che seicento colpi al minuto con incredibile sicurezza. S’avvicineranno a quattrocento metri; a men di quattrocento, se sarà possibile. Lanceranno il primo siluro; lanceranno il secondo. E nessuna gioia umana eguaglierà la loro, se potran vedere la mostruosa corazzata nemica inclinarsi in sul fianco, volgere al cielo le inutili bocche de’ suoi cannoni da cento, e rapidamente scomparire, con le sue torri e con le sue batterie, in un gorgo smisurato.