L'armata d'Italia/L'armata/V
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V
La tempra del marinaio italiano è, in verità, cosí forte e pieghevole ch’io credo non possa al mondo temere alcun paragone. Il nostro marinaio ha virtú di membra e d’animo singolari: la obedienza sua è immancabile; instancabile è la sua resistenza alla fatica; la sua versatilità in tutti i rami del servizio di bordo è felicissima; il suo coraggio è meraviglioso. In ognuno dei nostri uomini è, latente, lo spirito di un eroe. Alti prodigi celebrerà nelle sue pagine il futuro storico della Marina militare italiana.
Però due difetti assai gravi ancora offuscano tanto splendor di doti naturali: incuranza della pulitezza, mancanza di coltura.
Oggi, piú che di marinai militari noi abbiamo bisogno di buoni operai militari. E poiché ogni uomo, in genere, o nativo delle coste o nativo delle province interne, è suscettibile di adattarsi al mare, sarebbe di necessità e di utilità grandi una modificazione del sistema di arruolamento.
Molte sono le cause che concorrono a far de’ nostri marinai un “personale” poco atto alle navi moderne. I piú son pescatori che non hanno mai navigato al largo; altri han navigato su piccoli bastimenti per il cabottaggio o su tartane; pochissimi han compiuto lunghi viaggi su navi a vapore. Alcuni poi han fatto navigare il libretto, per aver modo d’arruolarsi nella leva di mare; e son veri marinai d’acqua dolce.
Tutti costoro, a pena venuti al servizio, in vece d’essere tenuti qualche tempo nelle caserme per ricevere una istruzione militare conveniente, sono spediti su le navi. Le caserme sono semplici stazioni di passaggio, per tutti costoro: arrivano, consegnano il biglietto, cambiano abito, prendono un secondo biglietto, e via. Né potrebbe essere altrimenti. Da ogni parte alte voci incessanti chiedono marinai. Convien mandarli; e non bastano.
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A bordo non bastano. S’accumula su loro una fatica che dovrebb’essere compiuta da un molto maggior numero di persone, e di persone capaci. Essi hanno attitudini bellissime; ma non c’è mai tempo di istruirli, di educarli, d’impratichirli. Lavorano meccanicamente: non rendono che la forza muscolare, poiché la forza intellettuale rimane inerte. Eseguiscono il lavoro per tempi, come l’esercizio del fucile; e si può dire che, tanto nel corso del lavoro quanto alla fine, non han capito nulla. Da una fatica passano a un’altra di diverso genere, con una rapidità straordinaria e con una stoica perseveranza; ma, intellettualmente, restan sempre al punto medesimo. Non sanno mai nulla di nulla.
Tutta la colpa è del metodo. In vece di affidare all’attività di ciascuno una data parte della nave, si pretende che ciascuno abbia tutta quanta la nave per campo della sua attività. Se tra gli officiali vi son molti che, dopo aver vissuto un anno a bordo, mal conoscono tutti i luoghi della nave e le cose in essa contenute, com’è possibile che giunga alla piena conoscenza e alla perfetta pratica un semplice pescatore, rimanendo a bordo tre o quattro mesi soltanto? Credo di non sbagliare affermando che i nostri marinai, in media, non rimangono, a bordo di un bastimento, più di tre o quattro mesi.
In tante peregrinazioni da una nave all’altra, essi trascorrono il periodo di ferma, avendo imparato forse una decima parte di quanto avrebber dovuto; e, ripeto, non per colpa loro.
Poi, stanchi, prostrati, sfiduciati, abbandonano il servizio e ritornano alle reti e al remo. E son felici quelli che sanno almeno leggere e scrivere il loronome. Molti né pure a questo giungono!
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L’uomo ignorante non ha l’istinto della nettezza né quello della emulazione. A bordo, si predica sempre la nettezza della persona e della nave; ma gli ammonimenti riescono vani. Qual cura di sé può avere un uomo, sbalestrato da una estremità all’altra in cento lavori che non finiscono mai, che si moltiplicano di giorno in giorno e che pur bisogna eseguire?
È possibile, con questa regola, ottenere la nettezza della nave, ma non mai della persona. Il mestiere del marinaio moderno, nella nostra Marina, finora compendia quello del facchino e quello del lustratore. L’uomo si spezza la schiena in fatiche erculee, si logora le mani in brunire e in polire metalli.
L’educazion morale manca intieramente. È molto se qualche domenica, per venti minuti, un segretario legge all’equipaggio una pagina del codice: pagina di colore oscuro, non comentata da alcuno. Le scuole elementari sono trascurate assai spesso. Sono, il più delle volte, un vero riposo per marinai che nessuno ammaestra e nessuno sorveglia. Se ne fa menzione però, regolarmente, nel giornale di bordo perché abbia corso il supplemento di paga ai sott’officiali istruttori.
L’istruzione militare, anche, si fa quando si può e come si può. Né, in vero, è sufficiente al bisogno. Ecco un esempio. — Tutti gli uomini d’una nave, dal fuochista al marinaio, dal cannoniere al furiere, dal caporale al sott’officiale, dal sott’officiale al comandante, dovrebbero saper maneggiare la carabina. Or bene, mettete in riga tutti gli uomini che sono a bordo della attuale squadra, e comandate loro di caricare a ripetizione la carabina. Due terzi non sapranno; e in questi due terzi saranno uomini di ogni categoria.
Delle altre armi, degli altri istrumenti di bordo è inutile parlare. Non i marinai propriamente detti dovrebbero maneggiare quelle armi e quelli istrumenti; sì bene gli uomini delle categorie speciali, coadiuvati da marinai. Per difetto di quelli uomini, i marinai fan tutto. Cosicché a parole i marinai nostri sono sapientissimi e variissimi operatori; a fatti sono una forza cui è necessaria una guida vigile e costante. Ma i capi o non ci sono o non si lascian vedere o per numero non bastano; e quindi alla forza manca la guida.
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Ne’ tempi scorsi, una certa severità regolava le promozioni di basso grado. Eran necessarî, per fare un passo innanzi, serii requisiti di capacità. Ora, in vece, le promozioni si concedono con facilità grande; poiché coloro i quali son giunti a un qualche grado, terminato il periodo di ferma, se ne vanno, e convien riempire il posto vuoto. Il semplice criterio dei comandanti è legge alle promozioni.
Nelle Americhe spagnuole vi sono eserciti composti di colonnelli e di generali; nella nostra Marina, equipaggi composti di caporali e di sott’officiali. Ma pur troppo fra quelli eserciti e questi equipaggi v’è qualche altra simiglianza.
Ho detto già che sarebbe di necessità e di utilità grandi una modificazione del sistema di arruolamento. Aggiungo ch’è di prima necessità l’ampliazione della leva di mare.
La leva di mare si va già allargando; ed è bene. Ma i criteri che la governano non mi paiono giusti ed esatti.
L’Italia è nazione essenzialmente marittima. Le terre interne producono marinai ammirabili. Il grande alito del mare giunge insino a’ fianchi delle Alpi e si propaga lungo l’Appennino. Tutti gli Italiani sono marinai, poiché sentono che nel mare è la grandezza eterna. Prendiamo dunque i nostri uomini non su le coste soltanto ma su tutto il territorio peninsulare.
Le nostre navi sono certo i più difficili congegni della guerra moderna. A ben governarle ci vuol gente che, prima di venire al servizio, abbia una certa istruzione, o almeno una intelligenza già aperta. Sarebbe quindi opportuno, io penso, eseguire una scelta annua fra il contingente totale della leva di terra e di mare.
Nelli arsenali militari marittimi e terrestri, nei cantieri privati, nelle officine industriali, v’è una moltitudine di giovani operai a bastanza colti, conoscitori già di attrezzi marinareschi, di macchine, di armi. Il contingente annuo fornito da questi giovani dovrebbe essere dato tutto alla Marina.
E dovrebb’essere abolita la vecchia usanza della estrazione e soppressa la seconda categoria.
Avremmo così una forza media di ventimila uomini, in tempo di pace. Avremmo, in tempo di guerra, più del doppio. Avremmo (e questo è il meglio) equipaggi veramente degni di navi moderne.
Oggi la guerra marittima vuole anche pronti intelletti. Non bastano a navi d’acciaio cuori d’acciaio.´