L'armata d'Italia/L'armata/IV

L'armata - IV

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IV

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Secondo logica, gli arsenali dovrebbero servire per il naviglio e dipender quindi dal naviglio direttamente. Come mai dunque negli arsenali governativi la lentezza è regola costante e la gente delle navi che vi accorrono per riparazioni è considerata, in genere, come intrusa ed è accolta a punto e trattata, in genere, con sdegnosa incuranza?

Ecco.     Gli arsenali marittimi sono stati messi dall’onorevole Brin in una certa posizion d’indipendenza dalla categoria delli officiali naviganti, poiché l’onorevole Brin, mastro sovrano, ha sempre con i fatti dimostrato molto favore al Corpo del Genio Navale. È nota la tendenza di questo Corpo alla supremazia morale ed è nota la quasi ostilità continua esistenti ne’ rapporti [p. 65 modifica]tra gli officiali di Vascello e gli officiali del Genio Navale. Il Ministro ha sempre dato man forte a questi ultimi. Il loro verbo è santo e la loro opera è perfettissima.

Cosí, per foga di spirito militare, i favoriti si sono spinti troppo oltre, non serbando misura alcuna nel reprimere e sopprimere la ingerenza dell’altra officialità entro gli arsenali. Queste grandi officine sono tutte in lor signoría; sono da loro considerate come instituzioni indipendenti; sono dominio loro assoluto. È necessaria un’armonia piena di propositi e d’intenti tra gli opifici e l’armata; ma i favoriti non vogliono piegarsi alla necessità.

Vani son riusciti tutti gli sforzi fatti dagli ammiragli comandanti dei dipartimenti e degli arsenali per frenar quella bramosía d’indipendenza e di padronanza.

Son riusciti sempre vani gli sforzi, perché in alcuni di quegli ammiragli la [p. 66 modifica]inettitudine a dirigere un arsenale eguagliava la inettitudine a dirigere una squadra e perché di altri non si tollerava l’ingerenza, per gelosia. I tentativi anzi servirono a rincrudir la discordia e a rendere gli opifici sempre piú autonomi.

Lo stato delli arsenali marittimi, in verità, non è assai florido. Manca, sopra tutto, una saggia ed energica direzione.

Le singole officine hanno un capo che, a sua volta, si considera libero signore; libero di fare e disfare a suo talento. La sorveglianza su’ lavori è negletta. I diversi capi-tecnici e capisquadra di operai, come tanti minori padroni, fanno eseguire opere chieste per favore dalle navi, indipendentemente dalli ordini che ricevono. In somma, [p. 67 modifica]la disciplina, nel più largo senso della parola, è molto fiacca.

Nessuno, là dentro, ha una vera e propria responsabilità qualsiasi. Tutti ne hanno una più o meno grave, di nome; ma all’atto pratico, qualunque cosa avvenga, non si trova mai chi risponda. È una congiura di silenzio impenetrabile. Tutto il popolo che chiudono le cinte delli arsenali vive e lavora borghesemente, alla buona, come in famiglia. Gli arsenali sembrano grandi stabilimenti privati, ove manchi il padrone. Ed il padrone, in fatti, manca; poiché, qualunque cosa avvenga, gli stipendii non mutano.

Per tali condizioni d’ordine, naturalmente, si son verificati abusi enormi. E l’Ispettor Generale del Genio Navale, uomo di non vasto intelletto ma lavoratore instancabile, pensando di poter rimediare, ha ridotto l’amministrazione e la burocrazia, a una tale inestricabile selva di complicazioni che è uno spa[p. 68 modifica]vento. Povera quella nave avariata ch’entra nel folto intrico!

Quando una nave giunge in arsenale per riparazioni o per ricambi di materiale, deve aspettare quattro, cinque, dieci, a volte anche venti giorni, prima che sieno autorizzati i lavori proposti dal Comando; tante sono le prove e controprove che si richiedono, tanti sono i giri che le carte devono compiere prima d’essere approvate. E l’Ispettore, in verità, è riuscito ad aumentare le ragioni e le cause delli abusi. Per la complicazion dei protocolli, le carte giacciono e si sperdono nelli uffici. Nessuno conosce perfettamente le vie ch’esse carte devono seguire. Si procede a tentoni, urtando in ostacoli d’ogni sorta; e si finisce, quasi sempre col far come si può e anche col non fare.

Il più delle volte, per ottener le riparazioni e i lavori necessari o il ricambio dei materiali, bisogna correre [p. 69 modifica]in elemosina di favori: dal tal commissario perché amico, dal tale ingegnere per raccomandazione d’un Caio, dai diversi contabili con doni di caffè, dal capo-squadra del tal gruppo d’operai con doni di candele, dal tale operaio con doni di vino, e in genere da tutti coloro che amano si chiuda un occhio su qualche piccola o grande irregolarità.

Bisogna, in somma, inchinarsi, piegarsi, strisciare, serpeggiare, avvilirsi, comprimere la dignità propria per fare il proprio dovere! I Comandanti mandano in giro per gli arsenali i loro sott’ufficiali contabili, con queste parole: “È necessaria la tale opera. Ingegnatevi.’ E i contabili vanno, girano, trovano i loro amici, gli amici de’ loro amici; e s’ingegnano. E qualche cosa, se non tutto, bene o male ottengono. Certo è che nessun viaggio di carte e nessun officiale profano delle consuetudini negli arsenali valgono ad ottener ciò ch’essi ottengono, così presto. [p. 70 modifica]

Se le navi poi non si dichiaran, pronte, i Comandanti dei Dipartimenti e il Ministero battono fieramente sui comandanti di bordo. “Dovevate far eseguire; dovevate essere pronti.” Ecco l’eterno rimprovero ministeriale. Il Ministero fa professione di meravigliarsi in perpetuo.

La mancanza d’una direzione saggia e di una bene intesa disciplina negli stabilimenti marittimi porta il danno in ogni ramo.

Il numero delli operai è scarso, non pari alle esigenze dell’armata; ma pure il lavoro delli operai vien disperso, e l’ozio è veramente in gran fiore. Moltissimi operai sempre vi sono, de’ quali non si sa che cosa facciano in tutta la giornata. Gironzano con una dilettosa placidità, tenendo uno scalpello in mano. [p. 71 modifica]I sorveglianti vedono il simbolico scalpello e sono paghi. Gli ingegneri stanno nelli uffici, ed anche il men che possano. Dirigono dalli uffici, confidando nei capi-tecnici. I capitecnici, confidando ne’ lor dipendenti, non si lascian mai vedere. Si tratta, in fine, d’una bella e dolce associazione di gente che si riposa.

Una prova delle dure verità ch’io affermo mi è offerta ora dalla flotta riunita alla Spezia. I lavori sono continui e ardenti. Una cieca furia ha invaso gli arsenali. Le grandi manovre sono prossime. Per il primo giorno di luglio tutto il navilio sarà pronto. Ma rivedremo il bel navilio due mesi dopo.

Se pure una sola nave non avrà bisogno di almen quindici giorni di porto, io per ammenda mi farò recidere la mano.