L'armata d'Italia/L'armata/II

L'armata - II

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L'armata - I L'armata - III
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II

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Corre voce, negli officiali dell’esercito di mare, che il dissidio fra il Ministro e l’Ammiraglio di Saint-Bon abbia avuto origine da una disparità di opinioni assai viva su l’aumento degli equipaggi. Il grande Ammiraglio, da tempo, consiglia e sollecita non solo l’aumento ma una maggior cura ed un migliore ordine nella istruzione e nella educazione scientifica e navale dei singoli Corpi. Il Ministro, in vece, non vuol sentir parlare né di aumenti né di riordinamenti né di qualunque altra novità che tocchi le persone. Le navi, bene o mal construite, bene o mal governate, non parlano; ma le persone gridano, si lagnano, resistono, congiu[p. 35 modifica]rano, si vendicano. Altra impresa, altro cuore!

Corre voce, inoltre, che il dissidio siasi inasprito singolarmente negli ultimi tempi, perché al Saint-Bon non fu chiesto alcun parere intorno le grandi manovre di quest’anno. Pare che tali esercitazioni sieno state ordinate e disposte per accordo fra il Brin e il Racchia, all’insaputa del Saint-Bon, con una sconvenienza grave. Nella qualità sua di Capo dello Stato Maggiore, il Saint-Bon ha convenevole e necessaria autorità su tutte le questioni che riguardano il lato morale dell’armata. Il suo consiglio doveva quindi, logicamente, esser ricercato prima d’ogni altro.

Può chiunque, io credo, giudicare quanti sieno pericoli in questa disgraziata controversia, e quante minacce di danno per l’avvenire. Se le amarezze della discordia spingessero l’Ammiraglio a ritirarsi nella vita privata, la perdita sarebbe irrimediabile; poiché [p. 36 modifica]verrebbe meno al novello edificio la più forte e la più luminosa colonna.

Ma l’onorevole Brin mostra di non preoccuparsi troppo di certe cose. Egli non è il Ministro della Marina, sì bene il Ministro delle Navi; non è il supremo arbitro dell’armata, sì bene il sovrano e principal mastro degli arsenali. Egli ha dell’esercito marittimo un’idea confusa ed oscura: non concepisce la flotta che come una bella torma di bastimenti più o meno vasti, più o meno muniti, ormeggiata nelle acque pacifiche d’un golfo o navigante per l’alto mare in prova di velocità. Gli equipaggi, nel pensiero dell’onorevole Brin, hanno una importanza molto secondaria. Si può quasi dire che, a pena varata una nave, il Ministro creda il suo còmpito finito. Tanto si cura egli delli uomini che la governeranno, quanto un architetto si cura della gente che abiterà il palazzo edificato o dei divoti che pregheranno nel tempio già pronto. [p. 37 modifica]

Da ciò le dissensioni col Saint-Bon.

L’Ammiraglio ama l’esercito di mare con l’ardore di chi, avendo sentita l’onta della caduta e meditate le cause della sciagura, affretta con tutte le forze il risorgimento da cui attende la gloria sua e della patria; il Ministro ama le navi, con la passione dell’artefice che vede mutate in realità le concezioni laboriose del suo intelletto.     L’Ammiraglio è un gran soldato e un sapiente ordinatore; il Ministro è uno scienziato curioso di esperienze.     L’Ammiraglio pensa che le piaghe s’han da scoprire e da curar col fuoco; il Ministro pensa che s’ha da nascondere e da curar coi fomenti.     L’uno guarda lontano, con occhio inquieto, dal suo palco di comando; l’altro guarda da terra, con occhio soddisfatto, le linee della poppa e della prua. [p. 38 modifica]

Non bastano a Benedetto Brin, per essere un buon ministro, l’abilità tecnica, l’ingegno vasto, la dottrina. Gli mancano la fermezza dei propositi e il coraggio della responsabilità.

Le navi richiedono uomini che le governino; le armi voglion uomini che le sappian maneggiare. La scelta, la selection, già operata nel “materiale” con molta energia, dev’essere portata nel “personale” con energia anche maggiore; e non tanto negli inferiori quanto ne’ superiori gradi. Gli officiali superiori d’una Marina moderna, i quali tengono in pugno non soltanto mille e mille vite ma le sorti di una grande nave che rappresenta pel suo valore i sacrifici dell’intera nazione, debbono essere in tutto degni del comando e non dar luogo ad alcun dubbio su la perizia loro. Un ammiraglio può essere, in tempo di guerra, [p. 39 modifica]il salvatore o il distruggitore della sua patria.

Colpa gravissima di chi regge le cose della Marina è il non aver saputo e voluto comporre uno Stato Maggiore in cui potessero non i marinai soltanto ma tutti gli Italiani metter sicuramente la fiducia e le speranze. Mancavano forse gli uomini da eleggere? Ci sono uomini nel nostro esercito di mare, così largamente forniti di qualità personali e di studi nuovi che ben potrebbero venir senza tema al paragone con i più colti e i più esperimentati capi delli eserciti stranieri. Dunque? Manca la scelta.

Per qual previlegio alcuni, avendo vissuto in tempi d’ignavia ed essendosi inalzati non con fatiche e con imprese di navigazione ma con favor di fortuna, godono oggi magnifici onori; mentre altri, pur lavorando e studiando e navigando senza riposo, rimangono nella oscurità, ignorati, obliati, disprezzati? [p. 40 modifica]È tempo omai che codeste vecchie carcasse non impediscano ai valorosi e ai volenterosi il cammino.

La guerra — risponderà taluno — toglierà di mezzo cotestoro. Il primo colpo di cannone segnerà la fine del loro comando.

È dunque giustizia che goda placidamente i vantaggi della pace chi deve in tempo di pericolo abbandonare il ponte della sua nave ed esser messo in disparte? Ed è giustizia che assuma ad un tratto la terribile responsabilità del comando chi prima doveva ciecamente obbedire?

A formare i buoni comandanti di bordo non basta la dottrina, non basta la perfetta conoscenza di tutti i variissimi congegni onde si compongono le recenti navi; occorrono, sopra ogni [p. 41 modifica]40 L’ARMATA D’ITALIA cosa, la pratica della navigazione, l’abitudine dell’imperio, l’esperimento della propria autorità. Bisogna avere comandata a lungo una nave in tempo di pace per poterla sicuramente ed efficacemente condurre alla battaglia.     Il comandante deve essere (ed avere la convinzion profonda d’essere) la vera anima della sua nave. Nelle guerre marittime, ove la fuga è impossibile senza la volontà del comandante, gli equipaggi non hanno una azion decisiva. L’essenza dei moderni combattimenti navali sta in questo: che scompare la singola virtù d’ogni singolo soldato, e vive soltanto la nave col suo Capo che ne è l’anima.

Il tempo delle navi di legno e de’ cuori di ferro è passato per sempre. Tanto più un equipaggio è forte quanto più è calmo ed esatto; tanto più un marinaio è valido quanto più si avvicina alla impeccabile precision d’una macchina; tanto più il coraggio è am-´ [p. 42 modifica]mirabile quanto più è utile. La guerra moderna chiede che ciascuno, sopra una nave, eseguisca l’operazione assegnatagli, tranquillamente, senza senza lasciarsi commuovere dalla morte, senza lasciarsi inebriare dall’ardor della lotta. Se venissero a contrasto due navi d’egual potenza, in cui tutti gli strumenti d’offesa e di difesa si muovessero per sola forza di congegni, certo è che il comandante più abile sarebbe il vincitore.     A condizioni pari, dunque, le maggiori probabilità di vittoria sono per quella nave il cui equipaggio, compiendo esattamente i suoi varii offici, più si avvicina, come io diceva, alla precision d’una macchina.

Da qui, pel comandante, l’assoluta necessità di conoscere per lunga prova i suoi uomini e la sua nave, le forze animate e le forze inanimate. Nessuna altra qualità, pel capo d’una nave, può equivalere all’abito del comando.

In vece, come io osservava nel mio [p. 43 modifica]precedente capitolo, la maggior parte degli attuali comandanti dovrà essere, in tempo di pericolo, sostituita; e le navi saran condotte alla prossima guerra da officiali giovani, coraggiosi e valenti, ma nuovi.     Questi giovani, che superano nella virtù e nello ingegno i vecchi, son tenuti in tempo di pace continuamente "sott’ordini"; son lasciati languire lunghi anni oscuri nel grado di Tenente di Vascello, in quell’insormontabile grado ove tante nobili intelligenze vengon meno come sotto il martirio d’una eterna crocifissione. Nessun loro merito, sia pure lucidissimo e indiscutibile, vale a farli andare innanzi. Essi son condannati inesorabilmente a passare per la trafila dell’anzianità ed a piegare il capo sotto la tirannia di uomini mediocri od inetti il cui diritto unico è quello fondato sul maggior numero degli anni.

Dal sistema di reclutamento dei giovani destinati alla carriera navale e dal [p. 44 modifica]sistema di avanzamento, a punto, vengono alla nostra Marina i danni più gravi; e in questi due sistemi male intesi e mal praticati è la principal causa dello scontento e della indisciplina, che di tratto in tratto si van manifestando.

Lo Stato Maggiore Generale è una torbida mescolanza di elementi tra lor repugnanti, in fondo a cui ancor ribollono i germi delli antichi mali: sfrenate ambizioni, cupidige insaziabili, odii personali e regionali, partigianeria, ignoranza, servilità.

Ora, quegli sarebbe il vero e grande salvator dell’armata, il quale con civile coraggio imponesse la necessaria riforma, e con una prima avveduta scelta dei giovani atti alla carriera navale e con una successiva selezione o purificazione riuscisse a mutare una inquieta massa d’uomini diversi e scontenti in un mirabile nucleo d’uomini legati dall’eroico vincolo del dovere, esperi[p. 45 modifica]mentati alle fortune del mare, preparati alle fortune della guerra, consacrati alla gloria o alla morte, liberi, leali, immutabili fratelli nel nome d’Italia.