L'armata - I

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L'armata L'armata - II
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I

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DALLA discussione parlamentare su le cose della Marina l’onorevole Brin è uscito avvolto d’un certo luccicor di trionfo.     Altri serti verdeggiano alla sua fronte.     Egli porta cosí folto d’alloro e di frasca il nobile capo che, in verità, io non mai vidi piú folto e piú lusinghevole in su’ dolci colli di Toscana un paretaio. E in quel suo glorioso paretaio l’onorevole Brin fa sfringuellare e svolazzare gli zimbelli della illusione con tanta mai naturalezza che gli uccelletti allettati cascano su le paretelle recando la lor brava pallottolina bianca nel beccuzzo canoro.

La fortuna di questo meraviglioso uccellatore è singolarissima.     Egli non ha ancora trovato un solo uomo che [p. 21 modifica]gli sappia dire la verità, in Parlamento.

Tutta la discussione su le cose marittime è stata cosí leggera, cosí vana, cosí poco schietta, cosí poco coraggiosa e cosí poco generosa che, a volerla riassumere, ben vi si potrebbe mettere sopra, per consolazione di Amleto de Zerbi, una epigrafe shakspeariana: — Words, words, words!

Io non sono un predicatore della decadenza italiana, né faccio professione di publico pessimismo; anzi io ho una incrollabile fede ne’ destini della patria e credo fermamente nel verbo d’un grandissimo poeta nostro la cui voce ha virtú di sollevare ad ogni tratto in tutta Italia un fremito: “Nessuna piú o malignità o violenza di cose abbasserà quella bandiera che dall’onta dei patiboli salí alla luce del Campidoglio.”

Ma quando vedo che in una questione tanto grave e tanto alta il Parlamento italiano porta una competenza [p. 22 modifica]tanto meschina e una conscienza tanto disattenta, non so difendermi da un senso di dubbio e di sconforto. Quando vedo un deputato italiano, un piccioletto masticatore di aritmetica finanziaria, sorgere a deplorare gli esorbitanti dispendii dell’armata e consigliare nuove tirchieríe e nuovi temporeggiamenti, non so reprimere un moto d’indignazione e insieme di compassione. Da quali mai forze l’Italia trarrà la sua grandezza futura? Dalla agricoltura di Bernardino Grimaldi? Dalle ferrovie del senatore Saracco? Dalle abolizioni dell’onorevole Magliani?

L’Italia o sarà una grande potenza navale o non sarà nulla.

Ora, io domando: — Perché gli uomini di mare, che siedono in Parlamento, hanno taciuto? Perché, par[p. 23 modifica]lando non hanno detto quel che pensavano, quel che dovevano necessariamente pensare, da uomini capaci, onesti, esperti della materia? Perché l’onorevole Turi s’è contentato di suscitar un insignificante applauso sentimentale con qualche frase calda? Perché l’onorevole Canevaro s’è ridotto a eseguire, per conto del Ministro, una furbetta manovra parlamentare e a rimpasticciare ordini del giorno, per conto del Ministro? Deve il vincolo della disciplina legar le conscienze, anche nel libero Parlamento d’una libera nazione? I marinai sono mandati alla Camera per fare atto di sommessione a un ministro o per propugnare onestamente e arditamente il bene dell’armata cui appartengono? Ed è carità di patria tradire il vero? E rispetto alla disciplina la servilità?

Questa imposizion di silenzio, questa specie di tirannia, la guerra instancabile contro chi non piega il capo o non [p. 24 modifica]leva incensi al Ministro, la incuranza di tutto ciò che non serve direttamente ad aumentar l’alloro e la frasca sopra mentovati, la ripugnanza a metter bene a dentro nelle piaghe il ferro, la paura della impopolarità: ecco i peccati che macchiano il governo di Benedetto Brin.

Questo altissimo ingegno, questo potentissimo imaginatore di costruzioni meravigliose, questo grande architetto di navi, che s’è coperto di gloria ed ha fatto stupire il mondo, non ama di vero ed utile amore l’armata. Che cosa ha egli fatto, che cosa ha cercato, che cosa ha tentato, che cosa ha voluto, oltre le opere nautiche ove poté rivelare il suo valor personale, espandere la sua ambizion personale, cogliere in abbondanza la lode di cui era avido? Non forse è stato sempre il segretario generale a rispondere direttamente delle cose di marina?

L’onorevole Brin, come io diceva, è un uomo amato dalla fortuna. Egli ha [p. 25 modifica]sempre raccolto tutte le lodi; e il suo segretario tutti i biasimi. Nel processo contro i fratelli Vecchi, per esempio, fu ancora il segretario generale dichiarato quasi fellone; e il Ministro, a simiglianza di Pilato, se ne lavò le mani.

Ma egli imita troppo spesso l’atto di Ponzio. Pare che la sua piú calda aspirazione sia il portafoglio dei lavori pubblici. Fuori delle grandi construzioni, egli non vede nulla, non si cura di vedere. — Qual’è il valore dei nostri ammiragli? In quali l’esercito di mare ha maggior fede? Quanti di loro sono indegni dell’ufficio? Quanti hanno una completa conoscenza delle nuove macchine, delle nuove armi, de’ nuovi studi? — Il Ministro non sa e non cerca di sapere; o, sapendo, non ha il coraggio di provvedere. —

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Egli dà per comandante all’armata un ammiraglio quasi oscuro.     Se dalla pace romperemo d’improvviso alla guerra, in acque lontane, egli spedirà un piú valido uomo a surrogare l’inetto; e quell’uomo, infallibilmente, per molti giorni si troverà impreparato, in mezzo a difficoltà d’ogni sorta, perché molti giorni son necessari a prenprendere sicura conoscenza di tutte le precedenti disposizioni, di tutti i bisogni del naviglio, di tutte le mancanze, di tutte le qualità, di tutto insomma il complicato organismo d’una flotta che può da un momento all’altro entrare in ordine di battaglia contro un nemico audace.

Ora abbiamo noi, (e tutti lo sanno) nell’esercito di mare certi capi i quali tutte le mattine, quando si svegliano, si piantano innanzi a uno specchio [p. 27 modifica]bene polito, contemplano lungamente la lor gallonata persona nel cristallo fedele, ed esclamano poi con un suono tra di meraviglia e di compiacimento: — Io sono un ammiraglio! — E lo stesso atto fanno a sera, prima di coricarsi. E questo è tutto.

Perché mai il Ministro della marina lascia l’armata, di continuo, nelle mani di questi innocenti? Perché mai il Ministro non dà ascolto alla publica voce che chiede a comandante permanente dell’armata un uomo il quale sappia davvero comandarla e nel quale gli officiali e i marinai abbiamo fiducia: o l’Acton o il Saint-Bon?

Una regola da lungo tempo invalsa è quella di deprimere e di allontanare dalla marina gli uomini di maggior virtú, gli uomini che meglio di tanti altri potrebbero o tenere il comando o dirigere le opere di ordinamento o intraprendere riforme e studii. La regola che certo vien dettata da [p. 28 modifica]gelosie o da altri simili sentimenti impuri, è disonesta.

Ciascun singolo membro del nostro “personale” è al suo posto? Un esempio solo, fra innumerevoli: il piú forte stratego che vanti l’Italia marittima, anzi forse l’Europa, il mondo marittimo, lo abbiam noi nella persona di Domenico Bonamico. Egli è stimato, studiato, discusso all’Estero; in Italia è quasi ignoto.     L’han relegato alla Academia, in qualità d’officiale istruttore; mentre il suo vero posto sarebbe al Ministero, negli uffici della mobilitazione o della difesa delle coste, dove potrebbe rendere di continuo importantissimi servigi.

L’onorevole Brin è venuto in Parlamento a dichiarare che il nostro “personale” numericamente è bastevole.     Dimentica egli o non sa che da oltre due anni le tabelle di armamento (quelle che dànno il numero e la qualità dell’equipaggio necessa[p. 29 modifica]rio ad ogni nave) sono state ridotte per deficienza numerica del “personale”? Non sa che, in navi armate come oggi sono, molte armi resterebbero mute per mancanza di serventi ed altre agirebbero male o con disordine, perché in gran numero dipendenti da un impari numero di persone?

Né basta. Pure ammettendo un servizio cosí imperfetto, parecchie navi dovrebbero rimanere deserte nei porti; perché l’attual numero e di marinai e di officiali non basterebbe ad armarle tutte anche con armamenti ridotti.

Né basta. Prescindendo pur da questa ruina, avrebbe l’animo il Ministro d’affidare, in tempo di guerra, navi a taluni comandanti cui le affida in tempo di pace? Una metà de’ nostri comandanti, al meno, non conosce le pro[p. 30 modifica]prie navi né le armi delle proprie navi.

Come potranno quelli uomini adoperare la forza che han nelle mani? Essi stanno, su quei terribili istrumenti di distruzione, come fanciulli ignari. La nautica è per loro una scienza inutile.     Il siluro è per loro un mistero impenetrabile; le mitragliere son congegni inservibili; i cannoni moderni e le macchine son truci enigmi da cui è prudenza star lontano; lo sperone è un orrendo pericolo; le torpediniere sono, per chi v’è sopra, una consecrazion certa alla morte.

Io non esagero; io non affermo fatti mal sicuri.     Tutto l’esercito di mare, il giovine esercito, sa che questa è la verità.

La maggior parte dei comandanti non conosce il materiale, non ha in esso fiducia, e quindi non sa adoperarlo. I giovini officiali, per contro, pieni di spiriti generosi, agitati da magnifiche speranze, freschi di studii su le cose [p. 31 modifica]nuove, han fiducia nel materiale, nessunissima nella maggior parte de’ comandanti, immensa in Ferdinando Acton e in Simone di Saint-Bon.

I quali sono, forse, i due soli ammiragli nostri d’alto valore; i soli che saprebber condurre, anche passando su l’inettitudine e su la turbolenza di molti, gli intrepidi marinai d’Italia a cancellare la prodigiosa sconfitta di Lissa con una vittoria prodigiosa.