Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo XIV

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CAPO XIV

Procopio va in Siracusa mandatovi da Belisario. — Vi compie gli ordini avuti. — L’armata di mare apporta in Africa. — Archelao sconsiglia il dare in terra. — Belisario gli si oppone. — E, riportato il voto degli altri duci, fa dismontare l’esercito. — Acqua comparsa nello scavare la fossa del campo, e da Procopio tenuta presagio della vittoria.


I. Belisario all’approdare nell’isola stavasi grandemente dubbioso in pensando il come e da qual parte irebbe a combattere i Vandali, e soprattutto ferivanlo in mezzo il cuore i richiami dell’esercito, il quale timorosissimo della guerra di mare chiaro s’appalesava che ben pugnerebbe da forte in terra, ma costretto ad un navale cimento darebbe nel maggior numero le spalle con precipitosa fuga al nemico, protestandosi incapace di tenzonare ad un’ora e coll’acqua e co’ barbari. Il perchè egli turbatosi manda l’assessore Procopio a Siracusa1 per intendere segretamente ed investigare se abbianvi agguati de’ Vandali, in terra od in acqua, contro le navi imperiali; per sapere inoltre ove possa il navilio giunto in Africa più agevolmente afferrare, e da qual banda assalirebbonsi con riuscita migliore i [p. 348 modifica]nemici; gli ordina in fine di tenere, venendo indietro, la via di Caucone, a dugento stadj da Siracusa, ove erano per andare tutte le navi. E il messo a colorare lo scopo del suo viaggio dovea spacciarsi incaricato della compera, su quel de’ Goti, della vittuaglia occorrente alla flotta, essendovi a quest’uopo un reale accordo tra Giustiniano ed Amalassunta (madre e tutrice di Atalarico pervenuto nella sua fanciullezza, mortogli il zio Teodorico, al regno d’Italia), la quale temendo per la prole si procacciò e coltivava con ogni buono uffizio l’amicizia dell’imperatore, e legatasi con promessa di vendergli la cibaria per alimentare le truppe, tenne zelantissima il patto2.

II. Procopio adunque arrivato nella città fuor d’ogni speranza s’avvenne ad un suo concittadino ed amico da lunga pezza stabilitovisi per accudire al commercio di mare. Or questi da poi ch’ebbe soddisfatto di per sè alle interrogazioni del forestiero, volle parimente farlo abboccare col suo donzello tornato soli tre giorni prima da Cartagine, il quale confermògli non volersi paventare in conto alcuno dalle navi agguati de’ Vandali, essendo tutto il loro apparato guerresco rivolto contro Goda, e avendo lo stesso Gilimero, non [p. 349 modifica]sospettoso di nemiche trame, lasciato Cartagine ed i luoghi marittimi per istabilirsi in Ermione, città distante quattro giorni di cammino dal lido, tanto era l’animo suo lontano dal paventare una flotta romana, od altro sinistro comunque. Procopio allora pigliato il servo per la mano ed intertenendolo sempre con nuove inchieste s’avviò al porto di Aretusa3, dove attendevalo la nave, e qui persuasolo di viaggiar seco, dà ordine di far vela a diritto verso Caucone. Il padrone intanto, osservata di su la spiaggia la faccenda, cominciò a richiamarsi dell’essergli condotto via il domestico, ma l’amico dal mare ad alta voce risposegli che lo avesse per iscusato, nè prendesse in sinistra parte l’azione, volendolo menare al duce e quindi coll’esercito in Africa; trascorso però breve tempo glielo rimanderebbe largamente compensato. Giunti entrambi a Caucone rinvennero l’esercito in grandissimo cordoglio per la morte di Doroteo, capitano degli Armeni4, che lasciò in tutti gran desiderio di sè. Belisario veduto il servo ed ascoltatine i discorsi molto allegrossi, e lodando assai Procopio dell’operato impose ai trombetti d’intimare [p. 350 modifica] la partenza; e spiegate le vele toccano di subito le isole Gaulo e Melita5 poste tra il mare Adriatico ed il Tirreno. Qui surto levante spigneli nel prossimo dì a Caputuada, sulla spiaggia africana, distante da Cartagine cinque giornate di spedito cammino.

III. Tiratasi l’armata al lido Belisario fa calare le vele e mettere le navi sulle ancore; uniti poscia tutti i duci nella capitana a parlamento addimanda la comune opinione sul dar quivi in terra coll’esercito. Archelao pertanto dopo che gli altri ebbero aperto gli animi loro cominciò a dire: «Egli è mestieri in prima commendar sommamente la virtù del nostro condottiero, il quale, superiore a noi tutti d’ingegno e di sperienza ed imperando con assoluto potere, ha voluto non di meno qui ragunarci per intendere il parer nostro sullo sbarcare in questa o in altra parte del lido africano, avvegnachè la sua profonda saggezza rendalo tra noi il solo capace di stabilire ove e quando sia agevole e convenga farlo. Ma non so abbastanza maravigliarmi vedendo [p. 351 modifica]che nessuno di voi, o duci, prenda a mostrare inopportuno lo scendere qui delle navi, e tanto più stupirei se ne foste rattenuti dalla persuasione che il consiglio offerto ai pericolanti non giova al consigliere, anzi lo ricolma spesso di molto biasimo, volendo l’uomo di sua natura attribuire a sè medesimo la gloria dei prosperi successi, e riversare tutta la colpa de’ tristi addosso a coloro che ne furono i promotori; ma se così avvenne, perchè non rammentarvi eziandio che dobbiamo sprezzare ogni calunnia quando consigliamo e deliberiamo per la comune salvezza? Or dunque voi, o capitani, i quali giudicate spediente di metter qui piede sul nemico terreno, ditemi a qual porto confideremo le navi, o qual città rinverremo forte e cinta di mura entro cui riparare noi e le cose nostre? Ignorate forse che questo lido è dappertutto in balìa de’ venti, e che vi navigherete nove giornate senza riscontrare un sicuro asilo pe’ vascelli? Non havvi di più città nell’Africa intiera, ad eccezione di Cartagine, cui non siensi già sfasciate per ordine di Gizerico le mura nè luogo ove dissetare un giumento. Che poi se, oltre tanti disagi, ne manderà il fato qualche sinistro? ed il non temerne sarebbe dimenticare la condizione de’ mortali ed il corso delle vicende loro. Se dimorando noi in terra sorga una tempesta e disperda tutto questo navilio, o il distrugga gittandolo contro le spiagge, dove camperem noi? di che sostenteremo la nostra vita? Eh che riporreste indarno qualche speranza in me soprastante alla vittuaglia, rientrando tosto i pubblici uffiziali nel [p. 352 modifica]novero della comune degli uomini al mancar loro i mezzi ed i soccorsi necessarj all’adempimento delle proprie funzioni. Dove in fine, costretti a pugnare, collocheremo la salmeria, o potremo supplire qualunque altro nostro bisogno? Laonde mio consiglio sarebbe di procedere a golfo lanciato verso Cartagine, e fatti sin d’ora consapevoli che soli quaranta stadj innanzi havvi un porto chiamato Stagno, al tutto sguernito di presidio, e più che sufficiente a ricettare questo navilio, cercherei venirne al possesso per indi movere all’assalto della capitale. Ed, in fe di Dio, pervenuti una volta a conquistarla tutta la regione di leggieri correrà a prestarci obbedienza, sendo la natura delle cose umane foggiata in modo che il cader della parte principale seco trascini le rimanenti. Ponderate adunque le mie parole e delle proposte scegliete la migliore». Taciutosi Archelao Belisario gli fe contro dicendo:

IV. «Non sia tra voi, o commilitoni, chi opini seder io qui arbitro delle cose dette, o arringarvi l’ultimo perchè dobbiate applaudire a’ miei pensamenti; volli soltanto conoscere gli animi vostri prima di manifestarvi il mio, affinchè possiamo quindi tutti concorrere in quella sentenza che ne apparirà la migliore. E piacemi dapprincipio rammentarvi come l’esercito poco anzi, timorosissimo del mare, dichiaravasi apertamente determinato a fuggire sol che venissegli contro un nemico vascello; il perchè addivenuti noi bramosi di calare in terra appena giunti nell’Africa, facevamo voti di trovarvi un’agevol discesa: non sarebbe [p. 353 modifica]adunque volubilità di travolgere così il nostro primo desiderio? Come potremo inoltre richiamarci delle nostre truppe s’elle prenderanno la fuga abbattendosi colla flotta nemica, mentre per mare andiamo ritti a Cartagine? imperciocchè l’uomo coll’appalesarsi inetto ad evitare una colpa si munisce co’ assai forte ragione per addurla, cadendovi, in sua difesa; e di questa reità loro noi stessi a lieto fine riusciti non sapremmo al certo intieramente purgarci. Parmi altresì falso il ragionar vostro intorno alla tempesta, e ne ripeto le parole: — Al suo nabissar, dicevate, vedremo le nostre navi disperse e condotte, in balia delle onde, lunge dall’Africa, o fracassarsi percuotendo in questi lidi. — Ma di grazia terremo noi più grave la perdita delle vuote navi che non l’esterminio loro unitamente a quello dell’esercito e di tutta la salmeria? Non è poi fuor di proposito che vinciamo l’inimico sorprendendolo quando meno ci attende, sendo frequentissimi gli esempi di coloro che lasciatisi cogliere all’improvvista toccarono la più dolorosa sconfitta, quando in vece col dargli ogni opportunità di provvedere alla sua difesa ridurremo noi stessi a pugnare contro forze eguali. Chi ne assicura inoltre di poter surgere altrove, senza por mano alle armi, avvantaggio che offertosi ora da sè medesimo cerchiam rigettare, e guai se in quel mezzo addivenuto il mar procelloso uopo ne sia d’una doppia difesa, contro i Vandali, dico, e contro la burrasca. Sembrami dunque spediente il non perdere tempo ad [p. 354 modifica]abbandonare le navi traendoci dietro e cavalli ed armi e bagaglie e quant’altro ne potrà occorrere; il munire di fossa e vallo il nostro campo a fine che nulla abbiamo a paventare da un repentino assalto, e dopo tali provvedimenti ci faremo ad incontrare il nemico. Nè patiremo inopia di vittuaglia portandoci da valorosi, conciossiachè vincitori de’ nostri avversarj entreremo eziandio al possesso di tutte le agiatezze loro, menando ognor seco la vittoria, dove piega, e dovizia ed abbondanza; nelle destre pertanto di voi tutti è riposta la comune prosperità e salvezza».

V. Riportato da questi detti universale applauso, il duce, sciolto il parlamento, comandò alle truppe che subito uscissero delle navi, compiendosi allora il terzo mese dopo la partenza loro da Bizanzio; quindi impose ad esse ed ai nocchieri che cingessero di fossa e vallo il campo, e tanta fu la sollecitudine nel condurre a termine il lavoro mercè de’ molti operaj, del costoro timore di qualche nemica sorpresa, e dell’assidua vigilanza di Belisario, che nel giorno medesimo dell’ordinamento vidersi le tende circondate dappertutto all’intorno di ammendue i ripari. Nello scavarsi poi della fossa avvenne sorprendente cosa, imperciocchè sgorgò di sotto la terra grande copia d’acqua, portento mai più accaduto nella Bizacene6, aridissima in ogni sua parte, [p. 355 modifica]la quale supplì doviziosamente i bisogni delle truppe e degli animali7. E Procopio allegratosene col duce aggiugnevagli non già pigliarne diletto per la opportunità ed abbondanza sua, ma perchè il teneva presagio avuto dall’alto d’un’agevolissima vittoria, come fu il caso. Le truppe ripararono la notte nel campo guardandolo con diligenza somma, ed attendendo alle consuete loro faccende. In quanto alle navi, dimoravano sopra ognuna di esse cinque arcieri incaricati della loro custodia, e altri faceanvi intorno la ronda per guarentirle da qualsivoglia sciagura.

Note

  1. Questa città, edificata da Archia uno degli Eraclidi e celebratissima non meno pel suo valore nelle guerre che pe’ natali dati ad Archimede, giace tra Catania ed il capo Passaro. V. Strab., lib. vi, e Tucidide, Guerre del Peloponneso, lib. vi.
  2. In premio di sua buona fede questa infelice regina fu di poi uccisa da Teodoto ad instigazione di Pietro, espressamente mandato con tale ordine da Giustiniano in Italia a fine di compiacere a Teodora sua consorte, invidiosissima di lei per essere di nobile stirpe, di reale dignità, di acuto e svelto ingegno, e di singolare bellezza (St. Segr., cap. 18).
  3. «Ortigia (la città di Siracusa compongasi di tre parti, cioè Ortigia, Acradina e Tica) è congiunta al continente da un ponte; ed ha una fontana detta Aretusa, la quale diviene subito fiume e si getta nel mare. Ma si favoleggia che questo fiume sia l’Alfeo, il quale cominciando nel Peloponneso, e guidando la sua corrente sotterra a traverso del mare fino al luogo dov’è la fontana Aretusa, quivi sbocchi di nuovo e vada al mare» (Str., lib. vi, traduz. di F. A.)
  4. V. cap. xi, § i, di questo libro.
  5. Golo e Malta. «Melite, così Diodoro, è ottocento stadj lontana da Siracusa ed ha porti assai comodi. I suoi abitanti sono ricchi poichè esercitano molte arti, e specialmente quella di fabbricar tele estremamente morbide e sottili. Bellissime sono le loro case ed ornate magnificamente di gronde e d’intonacature. Essa è colonia de’ Fenici, i quali estendendo il loro traffico sino all’oceano occidentale, in quest’isola per la comodità dei porti e per la situazione in mar profondo trovavano un rifugio opportuno,....... Gaulo anch’essa in alto mare ed eccellente per comodità di porti, fu dapprima frequentata da Fenici» (Bibl. St., lib. v, traduz. del cav. Compagnoni).
  6. L’Africa propriamente detta, signoreggiata in prima dai Cartaginesi e poscia suddita dei Romani, dividevasi in Zeugitana ed in Bizacio o Bizacene. In quella erano le città di Cartagine, Utica, Ippone, Diarrito, Massulla, Misua, Clupea, Neapoli; in questa Adrumeto, Lepti minore, Ruspina, Teua, Macomade; avendo la circonferenza di dugento cinquanta mila passi, e terre sì fertili da rendere ai coltivatori il centuplo delle sementi (V. Plinio, St. Nat.). Il perchè Sillio cantava:

    .  .  .  .  .  .  .  .  .seu sunt Byzacia cordi
    Rara magis, centum Cereri fruticantia culmis.

    «I popoli più meridionali della Libia, dice Strabone, si chiamavano Etiopi. Al di sopra di questi si chiamano per la maggior parte Garamanti, Farusii, e Nigriti: e al di sopra anche di questi sono i Getuli. Quelli poi che stanno vicini al mare o sulla costa di quello, verso l’Egitto fino alla Cirenaica, li chiamano Marmaridi. Al di sopra della Cirenaica e delle Sirti stanno i Psilli, i Nasamoni, ed alcune tribù dei Getuli; poscia i Sirti, ed i Bizacii sino a Cartagine» (Lib. ii, tr. di F. Ambrosoli).

  7. Gl’indigeni chiamavano Caputuada il luogo dello sbarco, da cui scaturì la portentosa fonte. E Giustiniano a perpetuare la memoria di questo favor divino, edificovvi una murata città (gli Edif., lib. v).