Atto IV

../Atto III ../Atto V IncludiIntestazione 18 giugno 2023 75% Da definire

Atto III Atto V
[p. 375 modifica]

ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Camera in cara di Demetrio,

Demetrio ed Ircana in abito da donna all’Armena.

Demetrio. Sa ciascun che sei donna, ed in virili spoglie

Più non convien che resti occulta in queste soglie.
Ircana. Mi è legge il piacer vostro; obbediente, umile,
Non solo a un vostro cenno spogliai veste virile,
Ma piacquemi vestire per compiacervi ancora
Queste divise armene, onde Ircana si onora.
Uemetrio. Videti ancor Zulmira?
Ircana.   Ancor non mi ha veduta.
Finse in virili spoglie non ravvisarmi astuta.
Donne che ciò non sanno, credon quell’alma rea;

[p. 376 modifica]
Ma il sesso mio Zulmira, credimi, conoscea.

(S’è rea per mia cagione, difenderla degg’io), da sè
Demetrio. (La difesa d’Ircana utile è all’onor mio). da sè
Chi credi tu l’arcano abbia svelato ad essa?
Ircana. Signor, chiedo perdono, mi svelai da me stessa.
Demetrio. No, non è vero, io il dissi. Zulmira era presente.
(Vo’ tentar che la creda anche Ircana innocente). da sèti
Ircana. Sì, me n’avvidi allora che mi parlò schernendo.
(Veggo l’amor di sposo). da sè
Demetrio.   (Il suo bel cuore intendo).
da sè

SCENA II.

Misio e detti.

Misio. Signore... (Oh ve’! lo schiavo s’è in donna trasformato.

Veggo la mercanzia, che ha il mio padron comprato).
da sè
Demetrio. Parla, che vuoi?
Misio.   Due neri son d’Ispaan venuti.
Demetrio. Che vogliono? Chi sono?
Misio.   Io non li ho più veduta.
Portano varie cose; saranno trafficanti;
Ma son brutti davvero.
Demetrio.   Fa che vengano.
Misio.   Avanti.
(verso la scena
(Quali trasformazioni si fanno all’improvviso.
Chi sa, che di costoro non s’imbianchisca il viso?)
(da sè, e parte
Ircana. Che vorran mai costoro? Sento tremarmi il core.
Demetrio. Qui sei sicura, Ircana, discaccia ogni timore.

[p. 377 modifica]

SCENA III.

Bulganzar ed un Nero a lui simile con varie vesti Persiane a uso di donna, ed un cassettino; e detti.

Bulganzar. Eccomi di ritorno... Oh Ircana fortunata,

Mi consolo che siete femmina ritornata.
Ircana.   Tamas dov’è?
Bulganzar. Meschino, a sospirar per voi.
Ircana. Nella città?
Bulganzar.   In un bosco...
Demetrio.   Parla meco, che vuoi?
Bulganzar. Vengo con queste spoglie, e queste gioje unite,
Che furono ad Ircana da Curcuma rapite...
Ircana. Che di colei ne avvenne?
Bulganzar.   Saran due ore e più,
Che la vecchia impiccata fe’ il viaggio a Belzebù.
Ircana. Giusta penna a’ suoi falli.
Demetrio.   Or chi ti manda qui?
Bulganzar. Di Tamas un amico. Il conoscete? Ali. (ad Ircana
Ircana. Tamas venir ti vide?
Bulganzar.   Ora no.
Demetrio.   Quelle spoglie
A che da Alì si mandano di Demetrio alle soglie?
Bulganzar. Da questo chiuso foglio resterete informato.
Demetrio. Recalo alle mie mani.
Bulganzar.   Ad Ircana è inviato.
Demetrio. Leggilo.
Ircana.   Ha in esso Tamas aggiunti i sensi suoi?
Bulganzar. Tamas non l’ha veduto.
Ircana.   Signor, leggete voi.
(a Demetrio
Demetrio. Leggerò. (apre il foglio
Ircana.   Non ritorna Tamas alla consorte? (a Bulganzar
Bulganzar. Povera disgraziata! Par l’effigie di morte.

[p. 378 modifica]
Demetrio. Alla bella, alla saggia, che ha nelle luci il dì,

Alla superna Ircana scrive e si prostra Alì.
Ecco l’usato stile de’ persian scrittori,
Anche i saggi, per uso, deon far gli adulatori.
Merti, Ircana, ogni lode, ma al tuo stato presente
La pietà è necessaria, non la lode eccedente.
Ircana. Tamas è di qua lungi? (a Bulganzar
Demetrio.   Le luci a me rivolta.
Quel che contiene il foglio a te diretto, ascolta.
Le gioje tue ti rende un cuor di te pietoso;
Mandati le tue spoglie, procura il tuo riposo.
Spera che per te il fato potrà cambiarsi un dì.
Fui di Tamas amico: tal sarà sempre Alì.

Ircana. Fido cuore, bell’alma, specchio d’amor, di fè?
Tu la pace mi rendi... oh Dei! Tamas dov’è?
(a Bulganzar
Bulganzar. Ve l’ho detto tre volte, e lo dirò la quarta:
È in un bosco vicino.
Ircana.   Reca a lui questa carta.
(la leva di mano a Demetrio
Di’ che ricerchi Aliì, che torni al lieto avviso...
Ma che a mirar non torni della rivale il viso.
Di’ che attenda l’amico. Ad Ispaan ten riedi,
In nome mio costanza al tuo signor deh chiedi.
Rammentagli del cuore la debolezza antica.
Ah sedur non si lasci dal duol della nemica.
Non vorrei che celasse questo foglio un inganno.
Tutto temer son usa, tutti tremar mi fanno.
Misera m’han voluto finor le stelle ultrici;
Discernere non vaglio dai nemici gli amici.
Fido Alì mi lusinga; Tamas fedele io spero;
Ma la mia speme è incerta, ed il mio duolo è vero.
Bulganzar. Ma che maniera strana di tormentar voi stessa?
Demetrio. Modera in sen la pena, che t’ha finora oppressa.
Troppo sperar non lice, tutto temer non giova.

[p. 379 modifica]
Del ver che il foglio ha impresso deesi veder la prova.

Prenditi le tue gioje.
Ircana.   Queste più mie non sono:
A voi schiava le deve, sia per tributo, o dono.
Demetrio. No, t’inganni; in tal guisa di profittar non uso.
Serbale in tuo potere. Prendile.
Ircana.   Io le ricuso.
Bulganzar. Se voi le ricusate, se l’Armeno non è
Avido di tai gioje, le tenirò 1 per me.
Demetrio. Recale alle mie mani.
Bulganzar.   Eccole.
Demetrio.   In altro stato
Saran degne d’Ircana.
Bulganzar.   Sono pur sfortunato.
Tenete anche le vesti.
Demetrio.   Là puoi ripor le spoglie.
Bulganzar. Almen qualche cosuccia.
Demetrio.   Esci di queste soglie.
Bulganzar. La risposta nè meno?
Demetrio.   Vedrò io stesso Alì.
Vattene, Bulganzar.
Bulganzar.   E ho da partir così?
Ircana. Deh se Tamas rivedi, digli che viva, e speri.
Bulganzar. Guadagnasi pur poco a far certi mestieri.
Un uom della mia sorte merta esser ben pagato;
Ma il mestier del mezzano venuto è a buon mercato.
(partono i due Neri

SCENA IV.

Ircana e Demetrio.

Demetrio. Puoi, se t’aggrada, Ircana, cambiar le spoglie armene.

Ircana. Cambiar vesti non curo; cambiar vorrei di pene.
Demetrio. Queste dal tuo bel core involerà il destino.

[p. 380 modifica]
Per te vo’ d’Ispaan riprendere il cammino.

Parlerò con chi scrisse da me ben conosciuto.
Noto mi è Machmut, Alì seco ho veduto.
Noti mi son tuoi casi, so il dolor che ti affanna;
Vedrò se ti lusinga chi scrisse, o se t’inganna.
Pietà per te mi muove, la merta il tuo cordoglio;
Padre tuo mi proposi, qual padre esser ti voglio.
Breve le due cittadi sai che parte il sentiero;
Più breve a me lo renda un agile destriero.
Ritornerò fra poco, nunzio sper’io di bene;
Nunzio della tua pace, conforto alle tue pene.
Da me, vezzosa Ircana, spera più lieto avviso;
Calma nel sen l’affanno, torna serena in viso.
Prepara a nuove gioie l’angustiato seno,
Non far che d’allegrezza colpiscati un baleno;
Ma sgombra la mestizia dall’alma a poco a poco,
Onde piacer ritrovi agiatamente il loco;
Poiché se d’improvviso il bene al mal succede,
Soccombere la vita del misero si vede.
Vivi, respira, attendi quel che sperar ti lice.
Parto per consolarti; figlia, sarai felice. porte

SCENA V.

Ircana sola.

Tanta pietà ritrovo, tanto amor, tanto zelo?

Posso sperar secondo alle mie brame il Cielo?
Non merto i sdegni suoi, rea di furor qual sono?
Ah dai Numi clementi merta il mio cuor perdono!
Io non m’elessi ardita d’amar giovine amante;
M’ha il mio destin condotta al mio signore innante.
E se regnar io sola bramai nel di lui core.
Colpa non è, ma zelo di virtuoso amore.
Strugger vorrei io stessa, strugger colle mie mani

[p. 381 modifica]
1 perfidi, lascivi serragli monsulmani,

In cui legge profana, per noi barbara e dura,
Tien le libere nate schiave contro natura.

SCENA VI.

Zulmira e detta.

Zulmira. (Ecco in femminee spoglie la mentitrice indegna

Coprasi il mio livore di piacevole insegna;
E faccia ad ogni costo questo mio cuor schernito,
Contro di lei vendetta, e contro il reo marito), da sè
Ircana. Perdonate, signora, all’innocente inganno.
Zulmira. Vedi fra noi le donne, vedi se tacer sanno?
Io ti conobbi appena giungesti in queste porte;
Mi confidò l’arcano l’amabile consorte.
Finsi per dar piacere, fingendo, al mio signore,
Teco mi presi gioco nel favellar d’amore;
E più gioco mi presi, che tue sembianze ignote
Schernisser di Demetrio la suora e la nipote.
Ircana. Ben me n’avvidi allora, che a me le vostre pene
Svelaste in guisa tale, che a sposa mal conviene.
E dissi nel mirarvi vezzosa agli occhi miei:
Mi conosce Zulmira, affé lo giurerei.
Zulmira. Giuralo pur, se d’uopo hai di giurarlo altrui.
Fida all’amato sposo sempre sarò qual fui.
Ma dimmi il vero, Ircana, confessalo anche tu:
Potea, per ingannarti, potea finger di più?
Ircana. Certo, fingeste a segno per me l’ardente foco,
Che a credervi innocente ho a faticar non poco.
Zulmira. Rea mi credi?
Ircana.   No, dico.
Zulmira.   Vantar forse vorresti.
Che tu co’ finti sguardi me d’amore accendesti?
Ircana. No, vi ridico; io vidi da gioco i bei deliri;

[p. 382 modifica]
Erano simulati quei teneri sospiri.

E per accreditare, ch’io fossi qual non sono,
Scaltra, voi mi faceste di questa gemma un dono.
Zulmira. Rendila pure.
Ircana.   Indegna sarò di così poco?
Zulmira. Rendimi quella gemma, che ti donai per gioco.
(alterata
Ircana. Eccola, ma se aveste sol di scherzare impegno.
Ora perchè lo scherzo si è convertito in sdegno?
Zulmira. No, non mi sdegno, amica.
Ircana.   Amica? Tal mi onora
Del mio signor la sposa?
Zulmira.   Vo’ scherzar teco ancora.
Ircana. Finchè da finte spoglie copriasi il sesso mio,
Soffria degli altri il riso; d’altri rideva anch’io.
Or son chi son, Zulmira. Or la finzione è vana.
Zulmira. No ti sdegnar per questo, non adirarti, Ircana.
Vieni meco, vo’ darti d’amor verace segno.
Ircana. (Veggo il riso forzato; cova costei lo sdegno.
Anche Fatima istessa, che avea men empio il core,
Si provò coll’affetto mascherar il livore.
Tutte le donne eguali sono pur troppo in questo.
L’ira sol’io nel viso di mascherar detesto), da sè
Zulmira. (Parla fra sé la scaltra. Qualche disastro aspetta.
Vo’ accelar, se posso, il corso alla vendetta). da sè
Vieni meco.
Ircana.   A qual uopo?
Zulmira.   Schiava servir ricusa?
Ircana. No, di servir son pronta; ad obbedir son usa.
Zulmira. Seguimi.
Ircana.   All’orme vostre fida m’avrete intorno.
Zulmira. (Vieni, che più la luce non mirerai del giorno).
(da sè, e parte
Ircana. Veggo, o di veder parmi, torbidi i di lei lumi.
Difendetemi voi, dell’innocenza o Numi. parte

[p. 383 modifica]

SCENA VII.

Kiskia sola.

Amore in queste soglie non m’ha guidato invano.

Quel che Zulmira ha seco, non m’ingannai 2, è Ircano.
In faccia dietro all’uscio non l’ho ben ben veduto;
Ma favellar l’intesi; la voce ho conosciuto.
Voglio seguir da lungi l’orme di mia cognata;
Veder di che è capace la donna innamorata.
Con uno sposo al fianco nutre cotal desio?
Pazza i’ non fui, meschina, quando viveva il mio.
E s’ora in vedovanza arder per uom mi tento,
Merita l’amor mio pietà, compatimento.
E se d’uscire i’ bramo fuori di tal mestizia,
Le donne che son vedove, mi faranno giustizia, parte

SCENA VIII.

Marliotta sola.

Ircano più non vedo. Mia madre non ritrovo.

Eccola. Va pian piano. Vi è qualcosa di nuovo.
Dubito, che si voglia veder rimaritata;
Ed io restero sola, povera sfortunata,
Con quella mia germana sì perfida, sì audace,
Che quando un uom mi guarda, mai non mi lascia in pace.
Non è, dicon, lo schiavo partito da par mio;
Ma se lo vuol mia madre, posso volerlo anch’io.
E se la zia, ch’è sposa, par che lo brami anch’ella.
Meglio bramar lo posso io che sono zitella 3.
Vo’ seguitar la madre; veder dov’ella va.
Vo’ veder; vo’ sapere. Certo non me la fa. parte

[p. 384 modifica]

SCENA IX.

Creona sola.

Dove van queste donne così zitte e solette?

Mia madre e mia sorella mi paion due civette.
È vero che a mia madre deggio portar rispetto;
Ma i vezzi che fa agli uomini, mi muovono a dispetto:
La libertà mi piace, il vivere giocondo.
Non prenderei un uomo, se terminasse il mondo.
Vo’ andar dietro di loro; veder quel che succede.
So che sarò battuta, se mia madre mi vede;
Ma se mi dà uno schiaffo, gran male non sarà;
Avrò appagato almeno la mia curiosità. parte

SCENA X.

Luogo sotterraneo oscuro.

Ircana con lume, e Zulmira.

Zulmira. Movi sicura il passo, non paventare, Ircana.

In questa oscura stanza, agli occhi altrui lontana,
Celate ho alcune gemme occulte a mio consorte...
Ircana. A Ircana in questi orrori si minaccia la morte?
Zulmira. Sì, perfida, la morte avrai qui di te degna.
(getta il lume
Ircana. Soccorretemi, o Numi; alma spietata, indegna...
Dove son? dove sei? (cerca Zulmira
Zulmira.   (Chiudo al varco l’uscita.
(andando verso la porta a tentone
Servo verrà fra poco a privarla di vita). esce

[p. 385 modifica]

SCENA XI.

Ircana sola.

Qual tradimento orrendo! quale colpa ho commessa?

Perfida! in me punisci la colpa di te stessa.
Hai timor, che si sappia il tuo scorretto amore,
E vuoi la morte mia, prezzo del tuo rossore.
L’uscio trovassi almeno; fra questi tetri orrori
Come trovar potrei la via per uscir fuori?
E se l’entrata è chiusa, chi può porgermi aita?
Misera sventurata! M’ha la crudel tradita.
Ho da morir qua sola di cruda fame, o al core
Giunger mi dee fra l’ombre la man d’un traditore?
Tamas, mio caro Tamas, senza vederti io pero;
E tu nella mia morte se’ il mio dolor più fiero.
Morir, se il Ciel destina, non forma il mio spavento,
Morir da te lontana è il mio solo tormento.
E in tempo, oh Dei! morire, che mi parea vicino
Il mio sposo, il mio bene, il mio dolce destino!
Meco serbato avessi quel ferro alla mia mano,
Che libera mi rese dalle furie d’Osmano.
Ah nel spogliar le vesti, che avea virili intorno,
Lo celai, lo deposi. Funestissimo giorno!
Giorno in cui per vendetta di femmina inumana,
Fine avrà la memoria della misera Ircana.

SCENA XII.

Kiskia e detta.

Kiskia. Quivi Ircano è rinchiuso. Vo’ superar la tema.

Fra quest’ombre terribili sento che il cor mi trema.
Ircana. Odo alcun che s’accosta. Vien, carnefice mio. irata

[p. 386 modifica]
Kiskia. Oimè. (s’intimorisce

Ircana.   Parla. Chi sei?
Kiskia.   Oh che timori Son io.
Ircana. Kiskia, sei tu?
Kiskia.   Sì, caro.
Ircana.   (Caro? Mi crede Ircano). da sè
Kiskia. Che fai tu qui?
Ircana.   Tradito son da un cuore inumano.
Kiskia. Il Ciel m’ha qui mandato.
Ircana.   Santa del Ciel clemenza!
No, che perir non lasci la misera innocenza.
Kiskia. Presto, presto vien meco.
Ircana.   Dove siete? (si cercano
Kiskia.   La mano.
(si trovano
Ircana. Deggio a voi la mia vita.
Kiskia.   Ecco il mio caro Ircano.
Mi sarai grato almeno?
Ircana.   Pietosa in questo giorno...
V’è altra gente, mi pare.
Kiskia.   Non ho più sangue intorno.

SCENA XIII.

Marliotta e detti.

Marliotta. Mia madre è entrata qui.

Ircana.   Non temete, (a Kiskia) Chi sei?
Marliotta. Dove siete, mia madre?
Kiskia.   Che vuoi da’ fatti miei?
Marliotta. Compatite l’amore; son qui per voi, lo giuro.
Che fate collo schiavo in questo loco al scuro?4
Kiskia. Ora si è spento il lume.
Ircana.   Ecco un inciampo nuovo.
Kiskia. Vattene via di qui.
Marliotta.   Più la porta non trovo.

[p. 387 modifica]

SCENA XIV.

Creona e detti

Creona. Eccole tutte qui. Che fanno in questo loco?

Sola non ci starei. Vo’ divertirmi un poco.
Marliotta. Chi è questo qui? Signora, siete voi qui al presente?
(tocca Creona
Kiskia. Con chi parli? (si fa sentir lontana
Marliotta.   Ah mia madre, qui vi è dell’altra gente.
Kiskia. Ircano, siete qui?
Creona.   (Or or per me taroccano).
(cercando Marliotta
Ircana. Da voi non m’allontano. (a Kiskia
Marliotta.   Mi toccano, mi toccano.
Kiskia. Oimè! qualche disgrazia.
Ircana.   Ah ci difenda il Nume.
Kiskia. Chi sarà mai qua dentro?
Ircana.   Ecco, s’accosta un lume.

SCENA XV.

Zulmira ed un Servo con lume.

Zulmira. Vieni a ferir quel petto... (Oimèl) Qui che si fa?

(alle Donne
Kiskia. Siamo a veder venute la vostra crudeltà.
Zulmira. (Andò il colpo fallito). Vattene.
(al Servo, il quale lascia il lume, e parte
Ircana.   Anima indegna:
Qual furia i tradimenti a quel tuo core insegna?
Perfida, in che t’offesi?
Zulmira.   Taci, e voi del rossore
Siate pur meco a parte, qual foste anche in amore.
Mirate quell’ardita, che con virili spoglie
Scherni tre donne a un tratto, vedova, figlia, e moglie.

[p. 388 modifica]
Soffrir i torti nostri parmi viltà: de’ miei,

Se qui giunte non foste, vendicata m’avrei.
Parto, l’ira sospendo, ma non la spegno in petto;
Ecco in femminee vesti, ecco il vostro diletto.
Se anime vili siete, soffritelo con pace:
Io non ho cor che vaglia a tollerar l’audace. parte
Ircana. Deh pietà, non isdegno contro una sventurata.
Kiskia. (Ho i rossori sul viso). da sè
Marliotta.   (Son ben mortificata), da sè
Creona. Oh che bel pezzo d’uomo! Che nobile presenza!
Alle signore spose faccio umil riverenza. parte
Marliotta. Compatite, signora, in me la gioventù. (ad Ircana
(Con quei che non han barba, non me ne intrico più).
(da sè, e parte
Ircana. Colpa non ho, se a forza fui con voi menzognera.
Kiskia. Dite fra voi e me: questa cosa è poi vera?
Ancora non lo credo. Ditelo in confidenza:
Siet’uomo, o siete donna?
Ircana.   Donna son io.
Kiskia.   Pazienza.
parte
Ircana. Escasi di sotterra, e non s’attenda in pace
I sforzi replicati d’una nemica audace;
Che se andò questa fiata errato il fier disegno,
Può ritentar le trame il suo perfido sdegno.
Sorte, non hai finito d’ingiuriarmi ancora?
Vuol5 che tormenti Ircana, vuol il destin ch’io mora.
Venga Tamas, mi dica: tutto di te son io;
Possa una volta dirgli: Tamas, alfin sei mio.
Poi di morir m’eleggo; ch’è meglio un vero bene
Goder in brevi giorni, che lunga vita in pene. parte


Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Edd. Savioli e Zitta e rist. torinese: serberò.
  2. Nella ristampa torinese e nelle edd. Salvioli e Zatta: no, non m’inganna.
  3. Nel testo: zittella.
  4. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: in questo loco oscuro?
  5. Edd. Pitteri e Pasquali: Vuoi.