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IRCANA IN JULFA | 381 |
In cui legge profana, per noi barbara e dura,
Tien le libere nate schiave contro natura.
SCENA VI.
Zulmira e detta.
Coprasi il mio livore di piacevole insegna;
E faccia ad ogni costo questo mio cuor schernito,
Contro di lei vendetta, e contro il reo marito), da sè
Ircana. Perdonate, signora, all’innocente inganno.
Zulmira. Vedi fra noi le donne, vedi se tacer sanno?
Io ti conobbi appena giungesti in queste porte;
Mi confidò l’arcano l’amabile consorte.
Finsi per dar piacere, fingendo, al mio signore,
Teco mi presi gioco nel favellar d’amore;
E più gioco mi presi, che tue sembianze ignote
Schernisser di Demetrio la suora e la nipote.
Ircana. Ben me n’avvidi allora, che a me le vostre pene
Svelaste in guisa tale, che a sposa mal conviene.
E dissi nel mirarvi vezzosa agli occhi miei:
Mi conosce Zulmira, affé lo giurerei.
Zulmira. Giuralo pur, se d’uopo hai di giurarlo altrui.
Fida all’amato sposo sempre sarò qual fui.
Ma dimmi il vero, Ircana, confessalo anche tu:
Potea, per ingannarti, potea finger di più?
Ircana. Certo, fingeste a segno per me l’ardente foco,
Che a credervi innocente ho a faticar non poco.
Zulmira. Rea mi credi?
Ircana. No, dico.
Zulmira. Vantar forse vorresti.
Che tu co’ finti sguardi me d’amore accendesti?
Ircana. No, vi ridico; io vidi da gioco i bei deliri;