Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Giardino in casa di Demetrio.

Tamas solo.

Pria che ricada il sole all’occidente in seno,

Vedessi un’altra volta i suoi begli occhi almeno!
Dir le potessi almeno io stesso in vicinanza,
Quella che Alì mi porse dolcissima speranza.
Queste son di Demetrio le soglie ed i giardini,
Potei non osservato passar ne’ suoi confini.
Non vorrei si sdegnasse con lei, con me il signore;
Ma so ch’uomo è gentile, so che pietoso ha il core.
Amor mi ha ricondotto, amor che non mi lascia
Mai respirar in pace dal dolor, dall’ambascia.

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Render suol ciechi un cieco i suoi tristi seguaci;

Ed avvilisce i forti, e fa i più vili audaci.
Odo venir. Chi fia? Donne son. Non isvelo
Tra le femmine Ircana. Fra le piante mi celo. (si ritira

SCENA II.

Zulmira e Kiskia.

Zulmira. Kiskia, entrambe siam ree, dissimularlo è vano:

io tremo dello sposo, tu tremi del germano.
Se a lui le follie nostre vengono disvelate,
Punite ci vedremo, o almen mortificate.
Dunque pensar dobbiamo...
Kiskia.   Dite di più, cognata.
Se voi scoperta siete, sarete castigata,
Per l’attentato fiero di dare altrui la morte,
Dal giudice che rende giustizia in queste porte.
Zulmira. Giudice degli Armeni sai ch’è un Armeno, e a sorte
È quel che or siede in Julfa, cugin di mio consorte.
Kiskia. È ver, ma si conservano gli Armeni un tale impero.
Coi nazionali usando un rigor più severo.
Dubito di vedervi perir, cognata mia.
Zulmira. Perirei, se ciò fosse, di Kiskia in compagnia.
Kiskia. Io non tentai di vita privar la sventurata.
Zulmira. Meco nel fatal loco foste voi pur trovata.
Kiskia. Ma perchè? Per amore; non so negarlo, è vero.
Zulmira. Amor, quand’è schernito, odio diventa, e fiero.
Kiskia. Io non l’odiai, non ebbi animo di vendetta.
Zulmira. Foste veduta meco fra quell’ombre ristretta.
Kiskia. Nel farmi rea con voi qual pro sperar potete?
Zulmira. O con voi sarò salva, o meco perirete.
Kiskia. Salvi entrambe la sorte; a voi mal non desio.
Tutto quel che far posso, farò dal canto mio.
Di me non dubitate, son donna, e sono umana;

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Ma può cercar vendetta, può palesarvi Ircana.

Zulmira. Toglierci sol potrebbe da tal dubbiosa sorte
Cercar più cautamente della schiava la morte.
Kiskia. No, non parliam di morte. Prima tentar si può
Di vincerla coi doni, pregarla...
Zulmira.   Oh questo no.
In Faccia di colei non mi vedrete umile.
Pria morir, che discendere ad un’azion sì vile.
Kiskia. Pria morir, che pregare? Questo è un puntiglio vano.
Pria di morire io prego tutto il genere umano.
Zulmira. Eccola.
Kiskia.   E in ricche spoglie; donde può averle avute?
Zulmira. Demetrio alla sua vaga le averà provvedute.
Vo’ che m’oda l’ingrato, ragion vo’ dell’affronto...
Kiskia. Eh tacete, Zulmira, che vi tornerà conto.

SCENA IH.

Ircana ne' suoi abiti alla Persiana, e dette.

Ircana. Che fra di voi si tenta, donne al mio ben nemiche?

Kiskia. Scordati del passato. Vogliamo essere amiche.
Zulmira. Amica non mi speri chi ha il cor di mio marito.
Ircana. Il tuo parlar, Zulmira, sempre non fia sì ardito.
Kiskia. Dirlo vuoi a Demetrio? Deh pregoti tacere.
Zulmira. Parla pur, se ti aggrada.
Ircana.   Io farò il mio dovere.
Kiskia. Veggo che hai cor pietoso; taci, se umana sei.
Odi di Kiskia i voti.
Zulmira.   Ma non sperare i miei.
Ircana. (Credea di me non fossevi donna al mondo più altera.
Consolomi veggendo donna di me più fiera.
Ma posso in tal confronto vantar per mio conforto,
Ch’io con ragion mi sdegno, ch’ella si sdegna a torto).
da sè

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Kiskia. Procuriam di placarla, (a Zul.) Donde hai spoglie sì belle?

(ad Ircana
Ircana. Son di pietade un dono.
Zulmira.   Venuto dalle stelle.
Torni Demetrio, torni a regalar la schiava.
Ircana. Torni, e tremar vi faccia.
Kiskia.   (Deh non fate la brava).
(piano a Zulmira

SCENA IV.

Misio e dette.

Misio. Signora, un uom celato vid’io fra queste fronde

In maomettane vesti.
Zulmira.   Veggasi chi s’asconde.
Ircana. (Cieli! Tamas non fosse). da sè
Zulmira.   S’è un traditor, sia ucciso.
(parte Misio
(Mira la schiava ardita come si cambia in viso.
Qualche trama si cela). (piano a Kiskia
Kiskia.   (In sen mi trema il core).
da sè
Ircana. (Tamas in ogni loco mi fa presente amore.
Sì ch’è desso, infelice. Ah che presaga i’ fui!
Ora il mio ferro ho meco, posso morir con lui). da sè
Lasciatelo, ribaldi.

SCENA V.

Tamas colla sciabla alla mano, difendendosi da Misio ed altro Armeno, che coll'armi tentano di scacciarlo.

Tamas.   Empi, non mi offendete.

Ircana. O il misero lasciate, indegni, o morirete.
(Collo stile atta mano fa fuggire l’Armeno che venne con Misio.

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Misio. Contro due non m’impegno. fugge

Zulmira.   Tu col ferro alla mano?
(ad Ircana
Ircana. Ah se avuto l’avessi allor che dall’insano
Furor di donna ingrata si tentò la mia morte,
L’empia provato avrebbe, se la mia destra è forte.
Kiskia. Amica, io, lo sapete, sol vi ho fatto del bene.
(Con quello stile in mano rispettarla conviene), da sè
Zulmira. Torni Demetrio a noi; torni, e ammiri il valore
Dell’apprezzata schiava il docile signore;
E vegga a suo dispetto il cieco affascinato
Dalla perfida donna il traditor celato.
Tamas. Deh per pietà, nol sappia. Chiederò a voi perdono;
Sono d’Ircana amante, ma traditor non sono.
Amor mi rese ardito, errai, sì lo confesso;
Entrar qui non doveasi senza impetrar l’accesso.
Nascondersi è delitto, sì lo conosco anch’io;
Eccomi a voi pentito; perdono all’error mio.
Fate che non lo sappia d’Ircana il pio signore.
Non che timore indegno nutra vilmente in core;
Ma perchè di rossore, e di vergogna acceso,
Non veggami Demetrio, che ho per amore offeso.
Se la pietà vi muove, se l’onestà vi alletta...
Zulmira. Vo’ che Demetrio il sappia.
Tamas.   Perchè mai?
Zulmira.   Per vendetta.
Tamas. In che vi offesi al fine?
Zulmira.   L’offensor tu non sei.
Vendico, se ti svelo, gl’inganni di colei. (accenna Ircana
Tamas. Tu l’ingannasti? (ad Ircana
Ircana.   Il sesso tradì la forsennata.
Tentò la morte mia; m’hanno gli Dei serbata.
Kiskia. Ma i Dei si son serviti però della mia mano.
Orsù, qui si procura di rovinarsi in vano.
Siamo, figliuoli miei, siamo, per quel ch’io veggio,

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Quattro bei disperati, che fan chi può far peggio.

Ircana avea l’amante celato ne) giardino;
Costui è qua venuto in aria d’assassino;
Zulmira dar la morte voleva ad una schiava;
E a me certo amoretto lo stomaco m’aggrava.
Facciam tutti così, facciam quel che io vi dico,
Cerchiam di liberarci l’un l’altro dall’intrico.
Che Demetrio non sappia quel che fra noi seguì,
Taccia l’un, taccia l’altro. Figli, facciam così.
Tamas. Seguasi di costei sì provido consiglio.
Sia il silenzio opportuno al comune periglio.
Taci, Ircana, ten priego; scordati l’onte andate.
L’onte sue, l’onte mie, prego, voi pur scordate.
(a Zulmira
Zulmira. Per me, se Ircana tace, non parlerò, lo giuro.
Ircana. Purché Tamas si salvi, di tacer vi assicuro.
Kiskia. Brave, ed io vi prometto, i servi e le figliuole
Far che taccian coi doni; non facciam più parole.
Zitto, cognata mia, che tutto bene andrà.
Andiamo, poverini, lasciamli in libertà. parte
Zulmira. Io serberò la fede, se a me la serberai.
Se d’ingannarmi ardisci, tu pur ti pentirai.
Ircana. Chi così meco parla, non mi conosce ancora.
Zulmira. Lascioti a lui vicina, che t’ama, che ti adora.
Lieta ti doni il Cielo con lui felice sorte;
Basta che non mi levi l’amor di mio consorte.
Se m’ha per te delusa amor coi scherni suoi,
Deh non levarmi almeno quello che dar non puoi.
parte

SCENA VI.

Ircana e Tamas.

Ircana. Viva, Tamas, mi vedi per la pietà dei Numi.

Tamas. Vivo son io, mio bene, per l’ardor de’ tuoi lumi.
Ircana. Vivo sei, viva sono: questo è il men che desio.

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Tamas, a me qual torni? Posso esser tua? Sei mio?

Tamas. Alì, mio fido amico, mi fe’ sperar...
Ircana.   M’è noto
Quanto Alì ci lusinga: questo non è il mio voto.
Le speranze d’Alì sono lontane ancora:
Quando risponda il fatto, vanne, ritorna allora.
Tamas. Sempre sarai sì cruda?
Ircana.   Sarò qual esser soglio.
È il rigor, che in me vedi, giustizia, e non orgoglio.
Fatima in me non abbia una rivale. In lei
Una rival non abbiano per te gli affetti miei.
Tamas. Per sciogliere, mia vita, della mia sposa il nodo,
Dimmi, che far poss’io?
Ircana.   Non suggerisco il modo.
Tamas. Nel cor del fido Alì, deh non si speri invano.
Ircana. Sperisi, ma frattanto vanne da me lontano.
Tamas. Stelle, qual sarà il fine di noi, di nostra sorte?
Ircana. Ircana ha già fissato: o il tuo cuore, o la morte.
Tamas. Ecco il mio cor.
Ircana.   Legato di possederlo io sdegno.
Tamas. Scioglilo tu col ferro, rendilo di te degno.
Ircana. Farlo saprei: coraggio avrei d’aprirti il petto,
Se in braccio alla rivale tornassi a mio dispetto.
E tu lo sai, se il colpo vibrai alla tua vita,
Allor che teco vidi la nuova sposa unita.
Amor a tali eccessi porta l’anime altere,
Soffrir torti non sanno le femmine sincere.
Fatima, che col pianto la tolleranza insegna,
Rendesi d’amor vero, e di rispetto indegna.
Tamas. Non l’insultar, meschina.
Ircana.   L’ami tu ancor?
Tamas.   Non l’amo;
Ma l’onor suo difendere, per quanto posso, i’ bramo.
Due volte l’infelice, scordar ah non poss’io,
Contro te, contro Osmano, difese il viver mio.

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Ircana. Lodo in cor generoso questi sì eroici vanti,

Dell’onor delle spose lodo gli sposi amanti.
Offender non ardisco la gloria di colei,
Che Tamas ha coraggio lodar sugli occhi miei.
Ma del tuo core alfine volubile e leggiero
Supera i vani obietti, riprendi il tuo sentiero.
Ad Ispaan ritorna, torna alla sposa in seno;
Ma a lei vicin tornando, non l’insultare almeno.
Sì, quando a lei t’appressi, per me ti desta amore;
Quando a me sei vicino, senti la sposa al core.
Misero, qual follia, qual vergognoso affetto
T’agita, ti confonde, t’empie d’affanni il petto?
Il turbamento interno ti si conosce in volto.
Vattene.
Tamas.   Per pietade...
Ircana.   Vattene; non t’ascolto.
Tamas. Odimi: se più miro Fatima senza velo,
Fulmini l’ire sue sulla mia testa il Cielo.
Possa da te lontano morir ferito il core,
Lungi dal suol natio per man d’un traditore.
Se a sciogliere un tal nodo il desir mio contrasta,
Vivo m’abbia l’inferno; s’apra la terra...
Ircana.   Ah basta.
Giungono i labbri tuoi a inorridirmi 1 il seno.
Tamas. Mi credi?
Ircana.   Un poco più.
Tamas.   Temi di me?
Ircana.   Un po’ meno.
Tamas. Dammi un lieve conforto, se tu non vuoi ch’io mora.
Dammi la destra tua.
Ircana.   No, non è tempo ancora.
Tamas. Quando sarà quel giorno, che ti vedrò placata?
Ircana. Quando sarà la sposa o morta, o discacciata.

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Tamas. Bene. Addio.

Ircana.   Dove vai?
Tamas.   Dove mi porta amore,
A meritar col sangue l’acquisto del tuo core.
Ircana. Sangue a te non domando.
Tamas.   Ma vuoi disciolto il nodo.
Ircana. Scioglilo, ma ad Ircana deesi celare il modo.
Torna libero reso, ma non mi dire il come.
Taci della tua sposa, taci per sempre il nome.
Tamas. E se il destin...
Ircana.   Va pure; non ti pentir.
Tamas.   Ben mio,
Lo vedrai se t’adoro, se ti son fido...
Ircana.   Addio.
(in aria di licenziarlo risolutamente
Tamas. (Andiam, perfido amore, pel sentier della morte).
(s’incammina
Ircana. Fermati. Del giardino veggo aprirsi le porte.
(veggonsi aprir le porte in fondo al giardino
Attendiam chi s’appressa.
Tamas.   Vuoi che ritorni ascoso?
Ircana. Non ti celar. Demetrio non sarà disdegnoso.

SCENA VII.

Demetrio, Alì, Zacuro, seguito d’Armeni, e detti.

Tamas. Vedo Alì coll’Armeno. (ad Ircana

Ircana.   Ah mi palpita il core.
Tamas. Vedrem, che fe’ per noi dell’amico l’amore.
Demetrio. Tamas qui con Ircana?
Tamas.   Signor, chiedo perdono.
Ircana. Io la rea dell’ardire, la colpevole i’ sono.
Demetrio. Soffrir ne’ tetti miei non vo’ profani ardori;
Dell’onestà le leggi vietan fra noi gli amori.

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Se liberi voi siete, sieno le destre unite;

Sian le amorose frodi, sian le follie finite.
Tua servitude, Ircana, a me recasti in dono;
Questa in dono ti rendo, più tuo signor non sono.
Zaguro. Se più non è tua schiava, se va da te lontana,
Vogl’io la preferenza nell’acquisto d’Ircana.
Ircana. Perfido, se il destino volesse i lacci miei,
A ognun fuor che a te solo, crudel, mi venderei.
Tu, preso da vendetta il barbaro consiglio.
Tu mi svelasti a donna, facesti il mio periglio.
(a Zaguro
Signor, grazie vi rendo di vostra alma bontà;
Padre mi foste in lacci, tal siate in libertà.
Ma di tal don qual frutto, se peno ancor così?
(a Demetrio
Tamas. Parla, Alì. Che ci rechi?
Ircana.   Quali speranze, Alì?
Alì. Or che parlar mi è dato, sciolgo per voi gli accenti,
Nunzio sono agli afflitti di fortunati eventi,
Tamas non ha più sposa. La strinse altro desio
A uno sposo novello.
Tamas.   E chi sarà?
Alì.   Son io.
Tamas. Oh amico!
Ircana.   Oh caro AD!
Tamas.   Deh tu mi narra il modo.
Alì. Fatima non discese involontaria al nodo.
Scossa dall’abbandono da te sofferto ingrato,
Ti ha per virtute almeno dal di lei cor scacciato.
E nel timor del duro ripudio vergognoso,
Parvele sua ventura, ch’io m’offerissi in sposo.
Quel che vincer tentai a stento e con sudore,
Fu dall’ira infiammato di Machmut il core;
Ma cesse alla lusinga di riacquistare il figlio,
Cesse di vero amico alle voci, al consiglio.

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Meco, e a Fatima unito, egli al Cadì sen venne,

Sciolte fur le tue nozze, ed il firman si ottenne.
Resta vincere Osmano, ch’esser potriami inciampo2.
Andrò senza riguardi a rinvenirlo al campo.
Ei sa chi sono; alfine ho anch’io ricchezze e onori.
Non dirà che il mio sangue la figlia disonori:
E avrà di voi narrata in guisa tal la storia,
Che si vedrà il gran fatto a terminar con gloria.
Eccovi in libertade; giuro quant’io vi dico.
(toccandosi la fronte
Ecco la pace tua. (ad Ircana) Ecco il tuo fido amico.
(a Tamas
Tamas. Oh d’amicizia esempio!
Ircana.   Oh cuor di virtù pieno!
Tamas. Eccomi tuo, mio bene. (ad Ircana
Ircana.   Ora ti stringo al seno.
(l’abbraccia
Tamas. Ama Fatima, Alì, che degna è del tuo affetto.
Ircana. Dimmi, è Fatima ancora di Machmut nel tetto?
ad Alì
Alì. Sì, qual padre amoroso ancor l’ama e l’onora.
Ircana. La sposa tua non guidi alle tue soglie ancora? ad Alì
Vanne, precedi, Alì; per tuo, per mio riposo,
Sgombra dal tetto nostro l’oggetto periglioso.
Tanto per sua cagione sono a soffrire avvezza,
Che superar non voglio del cuor la debolezza.
Demetrio. Ite, sposi felici, or che la sera imbruna.
Ircana. Signor, deggio gran parte a voi di mia fortuna.
Grata vi sarò sempre, cor di virtù ripieno.
Demetrio. Fu la pietà mai sempre grata ad un core armeno.
Le leggi nostre, il sangue, che in noi serbasi antico,
Fa che il costume nostro sia di pietade amico.
Noti noi rese un tempo ai popoli la guerra;
Or la pietà ci rende grati per ogni terra.

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SCENA ULTIMA.

Zulmira, Kiskia e detti.

Zulmira. (Vediam, se mantenuta ci ha la fede costei). da sè

Demetrio ritornato s’asconde agli occhi miei?
Perchè, siccome ha in uso, entrando in queste porte,
A consolar non viene la misera consorte?
Demetrio. Grave affar mi trattenne; con pena ho ritardato.
Kiskia. (Parmi sereno in viso, non averà parlato). da sè
Demetrio. Lodo l’amor che v’arde per me, sposa, nel petto;
Ma se condur dovessi schiavi ancor nel mio tetto...
Ircana. Signor, chiedo perdono. Perchè rimproverarla?
Perchè senza ragione voler mortificarla?
O mi conobbe, e furo scherzi gli affetti suoi,
O se ingannar si fece, la colpa è sol di voi.
Non si presenta a donne di tal costume austero
Uomo giovane, vago, siasi mentito o vero.
Kiskia. Così diceva anch’io, è troppa crudeltà
Ingannar una vedova, ch’è ancor di fresca età.
Zulmira. Chiedo perdon, se avessi... Tanto dolente io sono,
Che non so di quai colpe, signor, chieda perdono.
Ma di qualunque fallo abbia tentato ardita.
Giuro a voi, giuro ai Numi, sono di cor pentita.
Ircana. Signor, la vostra sposa è virtuosa, è umana.
Zulmira. Signor, è di virtude specchio verace Ircana.
Ircana. Fedele è il suo costume.
Zulmira.   Il suo parlar consola.
Kiskia. (Tutte due bravamente mantengon la parola). da sè
Ircana. Eccomi, amiche, alfine, eccomi in altro stato.
Libera da’ miei lacci, e collo sposo allato.
Questo che voi vedete, mi donò il core un dì;
Indi con altra donna meco il suo cor partì.
Soffriri diviso il core negai dell’idol mio.
Ora è tutto d’Ircana, tutta di lui son io.

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Donne, da me apprendete non l’ardir, la baldanza,

Ma a custodir nel petto la fede e la costanza.
Arse per me in serraglio un cor d’un solo foco;
Non fate che per voi un solo amor sia poco.
Delle passion del core sia l’onestà sovrana,
Qual fu tra le sventure dell’infelice Ircana.
Ora non più infelice, se può sperar in dono
Dai spettator cortesi un clemente perdono. parte


Fine della Commedia.


Note

  1. Ed. Pitteri: innorridirmi.
  2. Nella rist. torinese e nell’ed. Zitti: ch’esser potria d’inciampo.