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380 | ATTO QUARTO |
Parlerò con chi scrisse da me ben conosciuto.
Noto mi è Machmut, Alì seco ho veduto.
Noti mi son tuoi casi, so il dolor che ti affanna;
Vedrò se ti lusinga chi scrisse, o se t’inganna.
Pietà per te mi muove, la merta il tuo cordoglio;
Padre tuo mi proposi, qual padre esser ti voglio.
Breve le due cittadi sai che parte il sentiero;
Più breve a me lo renda un agile destriero.
Ritornerò fra poco, nunzio sper’io di bene;
Nunzio della tua pace, conforto alle tue pene.
Da me, vezzosa Ircana, spera più lieto avviso;
Calma nel sen l’affanno, torna serena in viso.
Prepara a nuove gioie l’angustiato seno,
Non far che d’allegrezza colpiscati un baleno;
Ma sgombra la mestizia dall’alma a poco a poco,
Onde piacer ritrovi agiatamente il loco;
Poiché se d’improvviso il bene al mal succede,
Soccombere la vita del misero si vede.
Vivi, respira, attendi quel che sperar ti lice.
Parto per consolarti; figlia, sarai felice. porte
SCENA V.
Ircana sola.
Posso sperar secondo alle mie brame il Cielo?
Non merto i sdegni suoi, rea di furor qual sono?
Ah dai Numi clementi merta il mio cuor perdono!
Io non m’elessi ardita d’amar giovine amante;
M’ha il mio destin condotta al mio signore innante.
E se regnar io sola bramai nel di lui core.
Colpa non è, ma zelo di virtuoso amore.
Strugger vorrei io stessa, strugger colle mie mani