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IRCANA IN JULFA | 385 |
SCENA XI.
Ircana sola.
Perfida! in me punisci la colpa di te stessa.
Hai timor, che si sappia il tuo scorretto amore,
E vuoi la morte mia, prezzo del tuo rossore.
L’uscio trovassi almeno; fra questi tetri orrori
Come trovar potrei la via per uscir fuori?
E se l’entrata è chiusa, chi può porgermi aita?
Misera sventurata! M’ha la crudel tradita.
Ho da morir qua sola di cruda fame, o al core
Giunger mi dee fra l’ombre la man d’un traditore?
Tamas, mio caro Tamas, senza vederti io pero;
E tu nella mia morte se’ il mio dolor più fiero.
Morir, se il Ciel destina, non forma il mio spavento,
Morir da te lontana è il mio solo tormento.
E in tempo, oh Dei! morire, che mi parea vicino
Il mio sposo, il mio bene, il mio dolce destino!
Meco serbato avessi quel ferro alla mia mano,
Che libera mi rese dalle furie d’Osmano.
Ah nel spogliar le vesti, che avea virili intorno,
Lo celai, lo deposi. Funestissimo giorno!
Giorno in cui per vendetta di femmina inumana,
Fine avrà la memoria della misera Ircana.
SCENA XII.
Kiskia e detta.
Fra quest’ombre terribili sento che il cor mi trema.
Ircana. Odo alcun che s’accosta. Vien, carnefice mio. irata