XXIX. L'inutilità della mia saggia eloquenza

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XXIX. L'inutilità della mia saggia eloquenza
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XXIX.


L’INUTILITÀ DELLA MIA SAGGIA ELOQUENZA.


Io non avrei avuto questa conferenza con la signorina Oretta, se la persistenza di lei sotto la pergola non avesse eccitato sempre più la mia indignazione. E d’altra parte il mio amor [p. 203 modifica]proprio oltraggiato domandava qualche riparazione.

Ella si stava mattina e sera, sola soletta, sotto la pergola, curva a lavorare; con cane Leone, immobile ai suoi piedi.

Deliberato il colloquio, feci una toilette come per una visita di condoglianza. Infilai un paio di guanti e mi inoltrai per il vialetto. Il mio passo scricchioiante su la ghiaia fece voltare la testa ad Oretta. Cane Leone — maledetto sempre — era anche lui tetro: non voltò la testa, non latrò: ma si limitò a mostrarmi i suoi denti.

— Buon giorno, signorina Oretta — dissi. — Io sono dolente di non aver potuto salutare ancora una volta il signor Melai, tanto caro e simpatico giovane.

— È partito.

— Definitivamente, lo so.

(Silenzio).

— Permette, signorina, che io mi sieda?

— Ma la prego.

(“E anche lei permette, è vero?„ — dissi con lo sguardo a cane Leone). Mi sono seduto su la poltroncina di vimini, dove sedeva Melai.

— Permette anche, signorina Oretta, che le parli?

— Ma la prego.

Ella stava sempre con la testa in giù, sul [p. 204 modifica]ricamo. Ed io allora ho iniziato verso la signorina Oretta un discorso patetico e insieme persuasivo: — Signorina Oretta — cominciai — , le parlerò, come dire? non poeticamente ma praticamente: prima di venerdì sette giugno, ore undici e mezzo del mattino, io vivevo nel convincimento che ella non avesse mai varcato la frontiera, come dire? dell’Amore. Anzi credevo che ella ne ignorasse persino l’esistenza: per conseguenza, io, da quel perfetto gentleman che mi onoro di essere, mi sono mantenuto verso di lei sempre in un decoroso riserbo. Ho l’onore di essere ascoltato, è vero, signorina?

La signorina Oretta non disse nulla ed io proseguii:

— Ma la mattina di venerdì sette giugno, alle ore undici e mezzo, reduce appunto da un mio viaggio a Genova, che ha, se permette, qualche relazione con quanto sono per dirle, ho dovuto constatare, in modo — la prego di credere — del tutto casuale ma irrefragabile, che lei sotto questo bersò era già a conoscenza, per non dire in possesso, del territorio d’Amore. Specifico: è stato così e così....

Mentre io specificavo, credevo di essere interrotto: ma non fu così. Credevo che il suo volto arrossisse. Ma niente di tutto questo.

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Finii allora di specificare.

Ella si irrigidì.

— Sono dolente — dissi — che il signor Melai sia partito, perchè gli volevo, oh non già fare scene tragiche, ma così, semplicemente dire: “Congratulazioni, signor Melai, congratulazioni sincere! Constatiamo che lei, dopo avere proclamato la vanità delle cose di questo mondo, è ritornato sopra la sua opinione; e che, dopo avere contemplato la luna e le stelle, ha trovato che è piacevole anche abbassare gli occhi sopra un amabile volto. Congratulazioni!„.

La signorina Oretta cominciò a capire il mio significativo linguaggio e si scosse; ma io proseguii:

— E congratulazioni anche con lei, che ha saputo chiamare quel giovane ad una valutazione più esatta dei beni terreni. Questa cosa ha fatto piacere a lui, per quanto abbia fatto dispiacere a me. Ma niente di male, signorina! Lì per lì, confesso, la cosa mi ha prodotto una certa impressione, direi sfavorevole al di lei confronto; ma poi ci ho pensato, e ho trovato che la cosa, o con l’intervento del signor Melai o con l’intervento di un altro, doveva succedere, o in quel giorno o più tardi. Avrei desiderato col mio intervento,... ma non è questo l’argomento [p. 206 modifica]dell’attuale colloquio. Quello che mi premeva di significare, è che la mia attenzione si era posata con benevolenza sopra di lei: tanto è vero che mi ero permesso qualche avance di matrimonio col di lei genitore, e ne avevo avuto buoni affidamenti. Ma io le dirò di più: il mio viaggio a Genova era avvenuto per acquistare l’omaggio di alcune bazzecole decorative, le quali non sono sdegnate anche dalle più rigide virtù. Senonchè la mattina del sette giugno ho assistito all’assalto della di lei virtù. Questo spettacolo, creda, non era nel programma del mio viaggio! Ma badi: io non discuto in questo momento la preferenza data al signor Melai: Melai le è simpatico, e perciò io devo essere antipatico. Il mio orgoglio d’uomo è rimasto ferito. A lei non importa, lo so. Semplicemente mi sorprende che in una signorina, come è lei, che io avevo prescelto specialmente per le sue qualità di equilibrio mentale, abbia potuto aver luogo un fenomeno così folgorante di passione, diciamo così, irrazionale. “No! parlo piano — dissi a cane Leone che stava attento: — parlo piano come è mia abitudine: piano, ma energico e preciso„. E attesi una risposta.

Allora la signorina Oretta mosse le labbra, e venne fuori questa risposta:

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— Noi ci conoscevamo da prima.

— Ecco un particolare del tutto ignorato — dissi. — Con ciò ella vuole significare che esisteva un diritto di prelazione in favore del signor Melai....

Fece cenno di sì.

— Il mio cuore sanguina; ma l’onore è salvo!

La signorina Oretta ebbe allora un sussulto: con la mano frugò, trasse una lettera: me la offrì.

— Signorina — dissi — ella vuole offrire la documentazione dì quanto asserisce verbalmente; ma non importa, la prego.

Ma ella insistette.

— Ebbene, quando ella insiste....

Allora io estrassi dalla busta la lettera, apersi il foglio, e lessi le cose seguenti:

“Signorina, mi chiamo Marco Melai; sono caporale nel 6° Battaglione Cividale. Ho ventidue anni e mi trovo in guerra dal 5 ottobre 1915. Sono stato già ferito una volta. Mio padre è colonnello; la mia povera mamma non c’è più in questo mondo. Credo che questa presentazione sia bastevole. Dove mi trovo? Sui monti. A lei indovinare. Vuole diventare la madrina dei miei alpini? La assicuro che sono giovani forti, buoni e valorosi. Non spetterehbe forse a me il dirlo, ma la verità non sta mai male„.

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Rimisi la lettera nella busta, e gliela restituii con bel garbo.

Ella la ripose nel non voluminoso archivio del suo seno.

— Ma mi permetta, signorina — ripresi: — dallo stile di questa lettera sembra che questo signore non conoscesse lei di persona.

Oretta rispose:

— E nemmeno io conosceva lui.

— Sarebbe indiscrezione domandare qualche schiarimento in proposito?

— L’anno scorso — disse allora Oretta — io ero ancora a scuola, quando la signora direttrice ci ha invitate a dare qualche libro di lettura per i soldati.... Io allora ho dato le Mie Prigioni di Silvio Pellico, dove c’era scritto, sul frontespizio, il mio nome....

— E probabilmente anche l’indirizzo....

— Sì, signore. E allora una mattina, ecco che viene il postino, e mi consegna questa lettera qui....

— Signorina, la prego: si calmi. E appena ricevuta questa lettera, lei ha risposto....

— L’ho fatta vedere....

— A papà?

— No, a mamà.

— E mamà ha detto?

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— Di rispondere con due parole gentili.

— E lei, naturalmente, ha risposto.

— Sì, signore.

— E lui ha continuato a rispondere....

— Sì, signore. Dopo io l’ho conosciuto qui all’ospedale, dove andavo con mamà. Una volta, andando all’ospedale, io avevo una rosa con me....

— E lui gliel’ha chiesta.

— Sì, signore.

— E lei gliel’ha data.

— Sì, signore.

— E mamà era presente?

— Sì, signore.

(Ho capito: la rosa era diventata un rosaio).

— Permette ora una domanda? Lei vuol bene a suo papà oltre che a mamà, è vero?

Mi guardò stupefatta.

— Suo papà è un uomo serio, un uomo positivo. Egli sa che le rose fioriscono in maggio, ma dopo viene l’inverno. Il suo sguardo vede soltanto la primavera, ma il nostro è più lungimirante e si estende in tutto l’orizzonte della vita. Crede lei, signorina, che il di lei babbo sarà contento quando saprà che lei ha legato il suo destino a quello di un soldato?

— Allievo ufficiale, signore!

— Sia pure allievo ufficiale....

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Io volevo dire allievo cadavere, ma me ne astenni; i due laghi alpini si venivano volando, e il mio primo sentimento fu di estrarre dalla tasca il mio fazzoletto, e passarlo su quel visino. Però provavo piacere a vederla soffrire.

— Ma sono queste anime pure — esclamò d’un tratto — che si sacrificano oggi così.

La signorina Oretta proferì queste parole con notevole eccitazione, e in quella circostanza io potei constatare l’agitarsi di quel seno, che fino a quel giorno brillava per la sua assenza.

— Signorina — risposi — condivido i suoi nobili sentimenti; però se lei volesse ritornare sopra le sue deliberazioni, se vuol dimandarne una dilazione nella risposta, per conto mio sarei disposto a considerare come non avvenuto il fenomeno apparso sotto questo bersò, la mattina del sette giugno.

Ma la risposta fu improvvisa e non quale la mia generosità meritava.

— Signore — mi disse — io ho fatto quello che dovevo fare secondo il mio cuore. Se lui tornerà, ci sposeremo. Se no, sarà quello che Dio vorrà.

Lei diceva queste parole per conto suo, e due lagrime intanto, emissarie dei due laghi alpini, scendevano per conto loro giù per le gole.

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— Quando è così, basta, signorina, basta! Quello che lei ha fatto è sentimentale, ma non è pratico — dissi presentandole la mano guantata.

Mi sono alzato e mi sono inchinato.

*

La signorina Oretta non poteva dichiarare in modo più esplicito di avere abbandonato tutte le sue riserve al prestito nazionale per la guerra. Tuttavia è un fatto che le donne hanno la tendenza a dare il loro voto agli uomini di tipo sanguinario. Non mi parve dovere esporre la mia dignità a ulteriori insistenze. Prosegua, prosegua a piangere, signorina Oretta! Quando quel signore tornerà, se tornerà, non troverà che un naso, i capelli, e quattro ossi in croce della fu signorina Oretta.