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proprio oltraggiato domandava qualche riparazione.
Ella si stava mattina e sera, sola soletta, sotto la pergola, curva a lavorare; con cane Leone, immobile ai suoi piedi.
Deliberato il colloquio, feci una toilette come per una visita di condoglianza. Infilai un paio di guanti e mi inoltrai per il vialetto. Il mio passo scricchioiante su la ghiaia fece voltare la testa ad Oretta. Cane Leone — maledetto sempre — era anche lui tetro: non voltò la testa, non latrò: ma si limitò a mostrarmi i suoi denti.
— Buon giorno, signorina Oretta — dissi. — Io sono dolente di non aver potuto salutare ancora una volta il signor Melai, tanto caro e simpatico giovane.
— È partito.
— Definitivamente, lo so.
(Silenzio).
— Permette, signorina, che io mi sieda?
— Ma la prego.
(“E anche lei permette, è vero?„ — dissi con lo sguardo a cane Leone). Mi sono seduto su la poltroncina di vimini, dove sedeva Melai.
— Permette anche, signorina Oretta, che le parli?
— Ma la prego.
Ella stava sempre con la testa in giù, sul ri-