Io cerco moglie!/XXVIII
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XXVIII.
DIVENTO QUASI FILOSOFO E ANCHE POETA.
Quel giorno mi sono eccitato; ma poi dopo mi sono calmato. Però dentro mi è rimasta una sensazione amara e disgustevole.
Eccola là, la impudica fanciulla!
Io la vedevo dalla finestra del mio chalet, sotto la pergola, che lavorava, e c’era ai suoi piedi quell’abbominevole cane Leone. Chi avrebbe mai imaginato che colei fosse stata capace di dare dei baci così? di fare delle carezze così? Una fanciulla ancor minorenne! “No, signorina! voi eravate una falsa minorenne, un surrogato del giglio. Voi avete sorpreso la mia buona fede„.
Io rivolgevo mentalmente queste parole dalla mia finestra alla signorina Oretta quando mi accorsi che nel mio giardino c’erano dei gigli. Come erano nati? Probabilmente erano già nati, e si erano dischiusi senza che io me ne avvedessi.
Così forse è avvenuto di Oretta: si è dischiusa sotto l’amore. Le donne di Lionello si dischiudono d’estate e d’inverno; ma lo spettacolo naturale è più bello. Se non che dovevo essere io a dischiudere, signor Melai. Io, non voi! Voi avete requisita la mia proprietà! Era la gelosia. Che spaventoso sentimento! Agisce da pompa aspirante al cuore e porta via tutto il sangue, tutta la proprietà. Voi non avete più la vostra proprietà. Sì! Eccola là, ma non è più vostra: è di un’altro. La proprietà di una donna non è come quella della mia palazzina. Non c’è altra abbondanza che di donne, ma che importa? È quella donna! Con quel ricamo della bocca, con quel sorriso, con quel sapore non ce n’è che una. Perchè, Oretta, non hai fatto le carezze a me? Perchè non hai pettinato, così, così i miei capelli?
Mentre io facevo così e così, mi accorsi che questa operazione non si poteva compiere troppo bene, perchè i miei capelli sono alquanto incatramati dalla pomatina. Ritrassi infatti la mano profumata bensì; ma appiccicata.
Posso convenire che i capelli di Melai si prestano meglio a questa operazione.
Ma ciò non toglie che voi, signor Melai, abbiate requisita la mia proprietà. La quale si lasciò requisire. E allora mi ritornarono alla mente quelle abbominevoli parole di lei: “Un uomo grosso e rosso...!„.
Ah, signorina Oretta! Un uomo grosso e rosso, io?
“La vostra opinione, signorina — la apostrofai dalla finestra — è errata! Io sono io! Non sarò un ragno, vestito in grigio-verde; ma io sono un uomo in gamba e che conta qualche cosa nel mondo; e il vostro Melai è uno che oggi c’è, e domani non c’è. E voi, signorina? Io vi credevo capace, non solo di pudore, ma anche di comprendere il vantaggio della posizione eccezionale che io vi offrivo. Questa poesia di tipo superiore voi non la avete capita. Tal sia di voi„.
*
Stavo ravviando col pettine i capelli disordinati, quando entrò la Lisetta.
— Vi pare, Lisetta, che io sia grosso e rosso? I capelli rossi! No, rossi: tizianeschi. Lasciate, lasciate passare un po’ di tempo, e poi vedrete che la vecchia e la giovane avranno a pentirsi amaramente.
— Forse lei, signore, ha ragione — disse Lisetta. — Sapesse adesso la mia padroncina quanto soffre da quando lui è partito. Non dorme più, non mangia più; è diventata pallida.
— Questa notizia — dico io — mi fa piacere. Prenda il papavero! Oh, non capita mica tutti i giorni ad una povera provinciale di trovare un marito con centomila lire di regali in soli gioielli, oltre il resto.
— Poverina! Sarà calata, da quando lui è partito, di tre buoni chili....
— Un chilo al giorno, — dico io.
— Adesso sì che non digerisce più bene!
— Prenda la cascara sagrada, — dico io.
— Prega tutto il giorno perchè il Signore lo faccia salvo.
— Ditele che faccia anche un altro voto: dì non uscire di casa il sabato, così sono due giorni, venerdì e sabato.
— Ma lei è ben cattivo, signore!
— Pretendereste forse che io fossi buono con chi mi ha fatto del male?