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camo. Ed io allora ho iniziato verso la signorina Oretta un discorso patetico e insieme persuasivo: — Signorina Oretta — cominciai — , le parlerò, come dire? non poeticamente ma praticamente: prima di venerdì sette giugno, ore undici e mezzo del mattino, io vivevo nel convincimento che ella non avesse mai varcato la frontiera, come dire? dell’Amore. Anzi credevo che ella ne ignorasse persino l’esistenza: per conseguenza, io, da quel perfetto gentleman che mi onoro di essere, mi sono mantenuto verso di lei sempre in un decoroso riserbo. Ho l’onore di essere ascoltato, è vero, signorina?

La signorina Oretta non disse nulla ed io proseguii:

— Ma la mattina di venerdì sette giugno, alle ore undici e mezzo, reduce appunto da un mio viaggio a Genova, che ha, se permette, qualche relazione con quanto sono per dirle, ho dovuto constatare, in modo — la prego di credere — del tutto casuale ma irrefragabile, che lei sotto questo bersò era già a conoscenza, per non dire in possesso, del territorio d’Amore. Specifico: è stato così e così....

Mentre io specificavo, credevo di essere interrotto: ma non fu così. Credevo che il suo volto arrossisse. Ma niente di tutto questo.