XXX. La vendetta è il cibo degli Dei

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XXX. La vendetta è il cibo degli Dei
XXIX XXXI
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XXX.


LA VENDETTA È IL CIBO DEGLI DEI.


Seduto davanti allo chalet, io eseguivo una specie di bilancio consuntivo, quando un’ombra intercettò la luce, e si fermò davanti a me.

Era madama Caramella. A quella vista sentii [p. 212 modifica]nascere in me un così concentrato furore che, per la prima volta, mi giudicai capace di una azione violenta.

— Buon giorno, cavaliere, — mi dice con adorabile tranquillità. — In settimana verrà senza fallo l’imbianchino a pulire la cucina.

— L’imbianchino? Non occorre più.

— Ma non viene la sua signora madre?

— No. È andata ad Aix-les-Bains.

— Oh, quanto mi dispiace!

— Anche a me.

Silenzio.

— Mi pare di cattivo umore, cavaliere, — dice madama Caramella.

— Io? Può darsi. Ma lei invece, per quello che succede, mi pare di troppo buon umore.

— Qualche cattiva notizia nel bollettino della guerra?

— Nel bollettino della guerra? Non so: ma nel suo bollettino, sì certo.

— Mio?

— Suo, sì, di lei. Come? Non lo sa? Ma lei è entrata in guerra! Io ne sono ancora stupefatto: una donna come lei che non è più una giovanetta, che fino a ieri aveva dato prova di equilibrio mentale, di senso della realtà, decreta anche lei improvvisamente il salto nel vuoto; e [p. 213 modifica]finchè lo fa lei il salto, poco male, ma ci spinge la sua figliuola e quel buon uomo di suo marito. Io credevo che lei volesse bene alla sua famiglia.

Constato con piacere che madama Caramella è stupefatta alle mie parole.

Madama Caramella mi domanda che cosa è successo.

— Lo domanda a me? Le sue vesti bruciano, e mi domanda che cosa succede? Lei lo deve sapere meglio di me. Non è lei che ha permesso a quel signor Melai di venir qui?

— Ma sono fidanzati. È naturale!

— Quanto a naturale, nessuno ne dubita. Anzi io le posso dire che tre giorni fa, alle ore undici e mezzo del mattino, tornando da Genova, ho assistito là, sotto quella pergola, ad una scena anche troppo naturale.

Descrivo la scena, ma madama Caramella non stupisce, non arrossisce. Si limita ad osservare che un bacio tra fidanzati è una cosa che usa da molto tempo. — Ma, e poi, scusi, cosa c’entra lei?

— Mi domanda cosa c’entro io? Arriveremo anche a questo punto. Intanto le faccio osservare che quello era un bacio speciale, come una film di lungo metraggio, ai cui ultimi quadri io mi sono sottratto per ragioni di decoro personale. E lei poi si scandalizza per un po’ di [p. 214 modifica]gambe che mostrano le ragazze a Milano! Ma lasciamola là! Questo fidanzamento è avvenuto col suo consenso?

— Sa lei forse — domanda madama Caramella — qualche cosa sul conto di Melai? Un giovane di famiglia onorata....

— Non discuto affatto.

— Un giovane che ha sempre proceduto con la più scrupolosa delicatezza, tanto è vero che la prima cosa fu di presentarsi a me con una lettera di suo padre. E d’altra parte domando e dico: ad un giovane che fa il suo dovere per la patria, ad un giovane ferito, all’ospedale, solo, poverino, che domandava di corrispondere con Oretta, potevo io dir di no? Ma se non ci aiutiamo fra noi, buoni, chi ci deve aiutare?

— È un’opinione rispettabile, ma non condivido. Il suo preciso dovere era invece, appena ella si accorse di quella passione, di troncare: taglio netto. Probabilmente anche lei, madama, si è lasciata sedurre dalla montura.

— Oh!

— Prego, si calmi. Osservi invece — tanto per incidenza — come è ridotta sua figlia. Pareva un fiorellino, e adesso è uno straccio.

— Ma bisogna bene soffrire qualche cosa in questo mondo....

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— Ma chi le ha dato da intendere questo?

Madama Caramella guarda la mia calma con un principio di alienazione mentale.

— Oh, io sono certa — disse madama Caramella — che quando mio marito saprà tutto, dirà: “Hai fatto bene!„.

— Io non credo: ma se fosse così, direi che il di lei consorte è molto più poeta di Cioccolani! Scusi, signora, ma lei sta in piedi e ciò mi dispiace.

Prendo una sedia, e prego madama Caramella di accomodarsi.

Proseguo: — Mi posso sbagliare, anzi mi auguro di sbagliare; ma lei, cara signora, ha commesso un’imprudenza le cui conseguenze possono essere incalcolabili. Lei ha arrestato il benessere della sua famiglia. Ma certo! Sa lei come vanno in malora le famiglie? Generalmente in conseguenza di un errore iniziale che passa quasi sempre inavvertito: che può essere la firma a una cambiale di favore, un contratto sbagliato, una mancanza di precauzione igienica, un matrimonio fatto coi piedi: appunto una mancanza di igiene morale: è il suo caso! Dopo, cara signora, lei ha un bel seguitare a fare il bucato in casa, tener le galline, fare i salamini e i prosciutti in famiglia....

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Constato con piacere che madama Caramella è presa da un po’ di convulso.

— Ma quando sarà finita la guerra, quando lui tornerà, saranno felici. Non crede lei che la guerra finirà presto? — domandò con ansia madama Caramella.

— Finire? Ma se è appena un anno che è cominciata? Dove ha letto lei queste panzane? Nei giornali forse? Ma cosa crede lei che scorticare i tedeschi sia facile come scorticare il suo porcello? Eh! eh! Noi uomini d’affari ne sappiamo qualche cosa. Finire? Ma, prima, si deve muovere l’America, che sono cento milioni; poi si deve muovere l’Asia che sono almeno altri cinquecento milioni. Pensi che adesso, con la telegrafia senza fili, si può chiamare tutto il mondo alla guerra.

— Ma finirà una buona volta.

— Può darsi; ma dopo verrà la rivoluzione, e chi si salverà saremo appena noi modesti capitalisti che sapremo, se occorre, comperare anche la rivoluzione.

— Ma Iddio non permetterà.... — balbetta la povera madama Caramella.

— Ma cosa vuole che Iddio, con una amministrazione così vasta, possa occuparsi di questi dettagli? Lei ha tempo, cara signora, di iniziare per la sua figliuola una cura ricostituente.

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— Ma lui tornerà, si farà una posizione, e una volta sposi, saranno felici.

— Lo auguro, ma elevo dei dubbi. Anche nella migliore delle ipotesi, lei non deve dimenticare che quel signore faceva baldoria. Io mai fatta baldoria! Poi lei ha sentito: fucila le signorine! Badi che io ammiro e amo il signor Melai: ma come individuo che possa dare la felicità alla sua signorina, escludo. Però se le fa piacere, ammettiamolo! Se non che, coi tempi che verranno, il matrimonio sarà un lusso che soltanto un milionario si potrà permettere. E invece lei, mia cara signora, aveva proprio la felicità a portata di mano qui nella sua casa. Io gliene parlo con la massima calma, come del resto è mia abitudine: ma accentuo! Permette, signora?

E sono andato di là e ho preso la borsetta. Mi siedo e proseguo:

— Le cose stanno così, signora: i miei occhi si erano posati con notevole benevolenza su la di lei signorina, e non sarei stato alieno dal domandarla in isposa. Sarebbe stato un matrimonio razionale, senza eccessiva passione da parte della signorina: lo posso ammettere. Prego non mi interrompa. Ma io non credo — mi potrò sbagliare, sa, — io non credo che sia [p. 218 modifica]necessario fare precedere il matrimonio da un periodo incendiario, come una reticella Auer che prima bisogna bruciare. No, io non credo. Certo è che io ho coltivato nel mio cuore una speranza, una illusione; ma non parlo per me. Capirà benissimo che a me non manca a chi buttare il mio fazzoletto. Parlo per quella povera signorina Oretta, che ha goduto un momento per un giro di valzer in un mattino di primavera; ma come deve scontare! E anche mi si stringe il cuore pensando a quel brav’uomo del di lei consorte, che meritava proprio di finire i suoi giorni tranquillo. Ma mi preme, signora, di documentare quello che io dico: io non bluffo; io documento!

Aprii la borsetta.

— Ecco qui. Andai a Genova apposta. Ecco qui: questi, come ella può vedere, erano i regali di nozze. Autentici e parecchi: balasci, smeraldi, turchesi, opere di gran lapidari: mica scaramazze!

Madama Caramella non parla più.

Io proseguii: — Invece di deperire, lei vedeva la sua figliuola bella, felice, moglie del cav. Ginetto Sconer, e da qui un anno lei, scusi, era nonna e la sua figliuola c’era il pericolo, caso mai, che ingrassasse di troppo. Destino, cara signora! Ma l’imbianchino ora è perfettamente inutile.

Così ho tolta la seduta.