XIII

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XII XIV

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XIII.

Fu un sonno affannoso, tribolato da sogni. Le pareva d’essere una delle montanare di Boca o Maggiora di cui aveva udito tante volte vantare la robustezza meravigliosa, i bei colori, l’umore sereno, la laboriosità assidua, ed i ricciolini castani intorno alla fronte. E nel sogno scendeva dalla montagna per una stradicciuola ripida, con una grande gerla colma di sassi sulle spalle, e conduceva l’asino carico attaccato ad una corda, che s’era legata al braccio; ed intanto per tener conto del tempo, faceva calze camminando.

Gaudenzio aveva tante volte descritta quella triplice fatica delle montanare, che la Nanna l’aveva sempre in mente.

Ma le pareva che l’asino si facesse tirare, e desse strappi alla corda per modo, che le sfuggivano dal ferro le maglie della calza. [p. 78 modifica]E, mentre era intenta a riprenderle, stando china, troppo china sul lavoro, tutta la ghiaia della gerla le si rovesciava dinanzi passandole sopra il capo, e l’asino impaurito si dava a fuggire trascinandola dietro pel braccio, e la traeva via via traverso campi e prati, ed in quella corsa tormentosa lei udiva da lontano la voce schernitrice di Gaudenzio gridare:

— Lo sapevo bene, io. Voi non siete una donna da lavoro. Ed il carrettiere rideva tanto forte che la Nanna si svegliò.

Sonavano infatti alte risate giù sull’aja: ma Gaudenzio, per quella volta tanto, era innocente dello scherno di cui l’accusava il sogno. Era tardi nel pomeriggio, e si ballava al suono dell’organetto.

La Nanna sorrise all’idea di danzare con Gaudenzio, e s’alzò per discendere. Ma aveva le vertigini; le pareva che il capo le pesasse più del solito, e tutto le si movesse d’intorno. Dovette attaccarsi alla sbarra della scala nello scendere, per non ruzzolare.

Nemmeno quando aveva avuto la febbre [p. 79 modifica]non si era mai sentita così male. Le fischiavano gli orecchi, e le doleva tutto il capo pulseggiando di dentro, come se le picchiassero un martellino sopra il cervello indolenzito. Era uno spasimo acuto e profondo che le rispondeva negli occhi, e le impediva di alzar le palpebre.

Scoraggiata di sentirsi a quel modo, andò ad accoccolarsi in un angolo della corte, e stette a guardare traverso le ciglia socchiuse.

Finita quella polka, Gaudenzio la vide; si accostò col cappello sull’orecchio e, porgendole il gomito, le accennò del capo e disse:

— Andiamo, su!

Altro che su. Avrebbe voluto volare, povera Nanna. Puntò le mani sulle ginocchia e fece per alzarsi. Ma pareva che fosse tutta di piombo. Le sue membra pesavano tanto, che non ebbe la forza di moverle.

— Non posso, disse con un sospiro che pareva un gemito. Sto tanto male!

— Ah, povero me! Che donna! avete sempre male voi, rispose il carrettiere, a cui la [p. 80 modifica]salute prosperosa ed una buona dose d’egoismo, non avevano mai permesso di comprendere una sofferenza. E girando sui tacchi, si diresse all’estremità opposta dell’aja, per invitare un’altra ballerina.

La Nanna si sentì avvilita. Gaudenzio la disprezzava, ed avrebbe apprezzato più di lei la prima venuta, che potesse girare due minuti in tempo di valzer; il suo amor proprio, l’amore, la paura, la gelosia, le diedero una forza insperata. Si rizzò d’un balzo, prese gli zoccoli in mano, ed in due salti ebbe raggiunto il carrettiere a metà dell’aja.

— Eh! Gaudenzio, gli gridò ridendo ed arrotondando il braccio cogli zoccoletti in mano, mentre dimenava i fianchi in misura, come un muto invito al ballo.

— Ma se avete poca volontà! disse il carrettiere.

— Che! L’ho detto per celia. Sto benone. Non sono una signora io, da ammalarmi per un po’ di fatica!

— La cera ce l’avete brutta però, osservò [p. 81 modifica]quell’inurbano galante guardandola in viso. E con questo complimento, le afferrò la destra, le cinse la vita col braccio, le piantò la mano poderosa nella schiena, e cominciò a danzare nel modo sconcio dei contadini, colla persona stretta a quella di lei, incrociandole le gambe colle sue, sfiorandole il viso col viso, contorcendole il dorso, come se volesse slogarle la spina dorsale.

E la Nanna gli posava languidamente sulla spalla la mano sinistra, cogli zoccoletti pendenti come una pezzuola profumata, e sentiva nel cuore il contraccolpo di quelle strette, di quegli sfioramenti, di quel fiato ansimante e caldo che le soffiava nel collo. Ma intanto il martello le picchiava forte forte nella testa, e quando, alle ultime battute della musica, Gaudenzio le fece fare un turbinio di giri a rovescio, si sentì mulinare dentro il cervello come un arcolaio, non vide più nulla, le parve di star sospesa in diagonale tra cielo e terra, e disse aggrappandosi al ballerino:

— Tenetemi che vado giù; e credendo di [p. 82 modifica]cadere insieme a lui, si coperse gli occhi colla mano.

Quello smarrimento durò appena pochi secondi. Era un capogiro. Gaudenzio la resse, e, riaprendo gli occhi poco dopo, la Nanna si trovò ancora appoggiata alla spalla di lui in mezzo all’aja. Se ne staccò senza guardarlo, senza parlare, ed andò a sedere sulla trave. E là il suo male crebbe ancora ed ancora. Il cervello continuava a turbinarle di dentro; pareva che durante il ballo avesse preso lo slancio come una trottola, e poi seguitasse a girare.

Non ne poteva più. Quasi involontariamente si chinò sulla panca, si pose un braccio sotto il capo, e rimase adagiata così gemendo sommesso.

Più tardi Gaudenzio le si accostò e le disse un po’ sbigottito:

— Ebbene, Nanna? Cosa c’è?

Era sfinita. Non poteva parlare perchè si sentiva il pianto alla gola. Gli rispose con un gemito. [p. 83 modifica]

— State tanto male? domandò ancora il carrettiere.

— Credo d’aver la febbre, ma non dite nulla ai miei.

— O, per me... ora non vado a casa. Ho un carico di legna da vendere; non so quando vedrò la Maddalena.

— Meglio così, disse la Nanna. Meglio così. Ma intanto piangeva, ed era profondamente sconfortata dal sentirsi così abbandonata dai suoi.

Le donne guardarono lei, poi si guardarono tra loro con aria misteriosa crollando il capo.

Poi una s’accostò alla più anziana, che stava osservando la Nanna, col sussiego di chi ne sa più degli altri, e le sussurrò:

— È la cefalite, vero?

La donna chinò il capo due o tre volte stringendo le labbra ed allargando gli occhi, poi disse:

— Sicuro; è proprio la cefalite; e buona, se l’è presa. [p. 84 modifica]

— E così? tornò a domandarle la compagna a mezza voce come avrebbe consultato un medico.

— Ma! Ci sarebbe la gallina nera... E parlarono piano, si concertarono tra loro, poi la medichessa si accostò alla Nanna e le disse:

— Nanna, hai la febbre alla testa, e potrebbe diventare una cosa seria. Bisogna aver pazienza; se vuoi guarire devi fare la spesa d’una gallina nera. La massaia ne ha parecchie.

La Nanna mise un lungo sospiro. Pensava:

— Ecco, ci si rimette la salute per guadagnare pochi quattrini, poi ci si rimettono i quattrini per riguadagnar la salute.

Ma non disse nulla. Cavò fuori la pezzuola, e porse alla medichessa la cocca in cui aveva fatto un nodo. La donna era avvezza a quella maniera di borsellino. Sciolse il nodo, ne trasse il denaro delle sanguisughe che la Nanna ci aveva riposto, e s’avviò al pollaio, dicendo alle altre mondatrici:

— Toglietele gli spilloni e spettinatela. [p. 85 modifica]

Poco dopo la medichessa e la compagna che l’aveva seguita tornarono, tenendo ciascuna per un’ala ed una gamba la povera vittima che chiocciava paurosamente. La Nanna aveva già deposto l’argento, ed aveva i capelli raccolti sulla nuca.

— Sta pronta, rizzati, disse la medichessa impugnando arditamente un gran coltello da cucina. S’udì un gracidare alto e disperato, e tosto la povera bestia, squartata dal collo in giù, fu applicata al capo indolorito della Nanna, che si sentì scorrere sul volto, sul collo, sugli abiti, una pioggia calda di sangue, d’umori, di liquidi viscerali d’ogni tinta ed odore, mentre il collo della bestia, palpitante ancora, le si agitava dinanzi agli occhi inondati, nello spasimo dell’agonia.

Poi le donne accompagnarono la malata reggendola su per la scala, e la fecero coricare sulla paglia con quella cuffia straordinaria.