In risaia/XIV
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XIV.
Durante la notte la Nanna ebbe una febbre violenta. Delirava. Aveva il volto infiammato, gli occhi iniettati di sangue, e parlava concitato, e gestiva convulsamente. Ed appena fu giorno bisognò trasportarla sul carro della fattoria e condurla all’ospedale di Novara, mentre Gaudenzio scriveva una lettera per avvertire i genitori.
Quando la Maddalena giunse all’ospedale, si spaventò di non trovare la figliola nella crociera comune.
— Ha il tifo, le disse la monaca, il medico l’ha fatta trasportare nel compartimento delle malattie contagiose.
Nè quella settimana, nè l’altra, nè la terza, la Nanna non riconobbe la madre. Dopo quattro settimane soltanto cominciò a ricuperare i sensi ed a migliorare. Ma quand’era arrivata all’ospedale aveva il capo in uno stato spaventevole. A stento ed a forza di spasimi s’era potuto toglierne il cadavere putrefatto della gallina nera. Intanto il sangue e gli umori s’erano appiccicati ai capelli, ed avevano formato una crosta; quando le infermiere avevano tentato di staccarla, l’ammalata aveva messo tali grida, che s’era dovuto smettere. Poi le avevano applicato il ghiaccio continuamente per curarla dal tifo; e l’umidità, e l’ardore febbrile del capo, favorirono la putrefazione di quelle sostanze organiche di cui i capelli erano impregnati. Ed appena lo stato della malata permise di liberarla da quella calotta fetida e dolorosa, la capigliatura si staccò con essa; si sviluppò una malattia al cuoio capelluto ed il povero cranio denudato rimase coperto da pustole purulenti.
Fu una malattia lunga lunga ed una cura dolorosa. E dopo sei mesi, quando tutto fu finito, la bella testa bionda della Nanna era spelata e lucida come un ginocchio.
Questa volta il suo ritorno dall’ospedale fu molto triste.
Nulla rallegrava la sua convalescenza ritardata. Non si ammirava nelle vetrine dei negozii, vi si guardava sospirando, colla pezzuola ravvolta intorno al capo, e rimpiangeva la sua bellezza perduta.
A casa l’aspettavano altre miserie, altri guai.
Il sensale che l’aveva accordata per la mondatura, era fuggito colle caparre, e coi denari delle giornate, lasciando i poveri giornalieri senza compenso, dopo tante fatiche.
La perdita di un po’ di denaro su cui s’era fatto conto, due braccia di meno al lavoro per sei mesi, un’ammalata da visitare, ed a cui provvedere qualche piccola delicatura da bere o qualche arancia, ed un cruccio amaro nel cuore, pesano gravi sopra una povera famiglia.
Il S. Martino era passato da qualche tempo; il proprietario faceva frequenti visite alla cascina, ed i quattrini della pigione non c’erano. Una sera la Maddalena disse al marito:
— Oggi, mentre eri al torchio a premere quella poca vinaccia, è venuto ancora il segretario del padrone.
— Vuole il denaro eh? sospirò Martino.
— Vuole il denaro. Dice che aspetterà fino a domenica e poi farà i suoi passi.
— Ma! tornò a sospirare il pover’uomo. Poi guardò la Nanna a lungo con un senso di pietà, e finì col dire:
— Un mezzo ci sarebbe per uscire da questo ginepraio.
— Un mezzo? ripetè la Maddalena.
— Ma sì, ripigliò Martino. C’è là tutta quella piuma.... cosa vuoi che ne facciamo ora? ed accennò col capo la ragazza.
La Nanna si sentì una stretta al cuore. La sua piuma, il ricco prodotto delle sue oche, il suo letto nuziale, non si sapeva più che farne. Lei aveva sperato fin allora che i capelli avessero a tornarle. Quella parola del babbo le parve crudele; e, con tutta l’acrimonia del suo cuore esacerbato, pensò:
— Ecco, desidera ch’io rimanga un mostro, che non mi mariti più, per vendere la piuma.
E le parve che quel pover’uomo le facesse un torto.
La Maddalena aveva guardato anche lei la figliola, magra, angolosa, colla pezzuola intorno al capo, ed aveva fatto greppo pensando alla bella fanciulla dell’anno innanzi, ed ai bei capelli biondi in cui aveva puntati per la prima volta gli spilloni d’argento. E commentando forte il suo pensiero esclamò:
— Ma! Chi l’avrebbe detto!
— Anche lei trova che sono rovinata per sempre, pensò la Nanna; ed anche la mamma le parve crudele. E nascondendosi il volto fra le mani scoppiò in un pianto iroso e convulso; strappava la pezzuola coi denti, e picchiava i piedi in terra, e diceva dentro di sè:
— Vedono il male, e non fanno nulla per trovare un rimedio; non mi vogliono bene. I vecchi dissero:
— Bisogna lasciarla sfogare; e non parlarono più della piuma.
Ma il domani la Maddalena ne portò un campione sul mercato, e la domenica Martino andò a Novara a pagar la pigione coi denari del letto nuziale della Nanna.
— Anche questa è fatta, disse alla moglie rientrando in casa. Quando ci penso, m’incresce di quella ragazza che piange, e di quella bella piuma. Ma tanto, sarebbe rimasta là per le tignole. La Nanna, al modo che è ridotta, non si mariterà più.
— Pazienza! disse la Maddalena. Quel che Dio vuole non è mai troppo!