Non mi fece risposta quell’acerbo1,
Ma riguardommi colla testa eretta
A guisa di leon queto e superbo2.
Qual uomo io stava che a scusar s’affretta 5Involontaria offesa, e piú coll’atto
Che col disdirsi umíl fa sua disdetta3.
E lo spirto parea quei che distratto
Guata un oggetto e in altro ha l’alma intesa,
Finché dal suo pensier sbattuto e ratto4 10Gridò con voce d’acre bile accesa:
«Oh d’ogni vizio fetida sentina5,
«Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa
Ch’or questa gente or quella è tua reina
Che già serva ti fu? Dove lasciasti, 15Poltra vegliarda, la virtú latina?
La gola e ’l sonno6 ti spogliâr de’ casti
Primi costumi, e fra l’altare e ’l trono
Co’ tuoi mille tiranni adulterasti7;
E mitre e gonne e ciondolini8 e suono 20Di molli cetre abbandonar ti fenno
Elmo ed asta e tremar dell’armi al tuono.
Senza pace tra’ figli e senza senno,
Senza un Camillo, a che stupir, se avaro9
Un’altra volta a’ danni tuoi vien Brenno10? 25Or va’! coltiva il crin, fatti riparo
Delle tue psalmodíe11: godi, se puoi,
D’aver cangiato in pastoral l’acciaro!
Tacque ciò detto il disdegnoso. I suoi
Liberi accenti e al crin gli avvolti allori, 30De’ poeti superbia e degli eroi12,
M’eran già del suo nome accusatori13,
All’intelletto mio manifestando
Quel grande che cantò l’armi e gli amori14.
Perch’io, la fronte e ’l ciglio umíl chinando, 35Oh gran vate, sclamai, per cui va pare15
↑1. acerbo: superbo, indomito: usato in questo senso metaforico anche da Dante. Inf.xxv, 18: «Ov’è, ov’è l’acerbo?».
↑3. A guisa ecc.: Dante Purg.vi, 66: «A guisa di leon quando si posa».