Il tulipano nero/Parte seconda/XV

XV - Harlem.

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Alexandre Dumas - Il tulipano nero (1850)
Traduzione dal francese di Giovanni Chiarini (1851)
XV - Harlem.
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XV


Harlem.


Harlem, dove noi fin da tre giorni fa siamo entrati con Rosa e dove noi rientriamo seguendo il prigioniero, è una graziosa città, che a buon dritto è superba di essere una delle città più ombreggiate dell’Olanda.

Mentrechè altre mettevano il loro amor proprio a brillare per gli arsenali e per i cantieri, per i magazzini e per i bazar, Harlem metteva tutta la sua gloria a primeggiare su tutte le altre città degli Stati con i suoi olmi fronzuti, co’ suoi pioppi slanciati, e soprattutto con i suoi passeggi ombreggiati a cui facevano volta la quercia, il tiglio e il castagno.

Harlem, vedendo che Leida sua vicina, e Amsterdam sua regina prendevano l’una il cammino per diventare una città di scienze, e l’altra quello di diventare una città di commercio, Harlem aveva voluto essere una città agricola, o piuttosto orticola.

In effetto ben riparata, ben riscaldata dal sole, ella dava ai giardinieri tal garanzia, che ogni altra città co’ suoi venti marini, o col suo suolo di piano non avrebbe a loro potuto offrire.

Così vedevansi stabilire ad Harlem tutti li spiriti tranquilli, che amano la terra e i suoi beni, come vedevansi a Rotterdam e ad Amsterdam tutti gli spiriti inquieti e girovaghi che amano i viaggi e [p. 276 modifica]il commercio, come vedevansi stabilire all’Aya tutti i politici e i galanti.

Abbiam detto che Leida era stata la conquista dei sapienti; Harlem dunque prese il gusto delle cose dolci, della musica, della pittura, dei verzieri, dei passeggi, dei boschetti e dei viali.

Harlem divenne pazza pei fiori e tra gli altri dei tulipani. Propose premii a onore dei tulipani, e giungiamo così naturalissimamente, come si vede, a parlare di quello che la città propose il 15 maggio 1673 in onore del gran tulipano nero, senza macchia e senza difetto, che doveva portare cento mila fiorini al suo inventore.

Harlem avendo messo in luce la sua specialità, avendo fissato il suo gusto pe’ fiori in particolare in tempi, in cui tutto era volto alla guerra o alle sedizioni; Harlem avendo avuta l’insigne gioia di veder fiorire l’ideale delle sue pretensioni e l’insigne onore di veder fiorire l’ideale dei tulipani: Harlem graziosa città piena di boschetti e di sole, d’ombra e di luce, aveva voluto fare della cerimonia dell’inaugurazione del premio una festa, che durasse eternamente nella memoria degli uomini.

Ed ella aveane tanto più il diritto, essendo l’Olanda il paese delle feste; giammai natura più flemmatica spiegò ardore più brillante, cantante e danzante di quei dei buoni repubblicani delle Sette Provincie all’occasione dei divertimenti.

È meglio vediate i quadri dei due Tenier.

Egli è certo che i flemmatici sono di tutti gli uomini i più ardenti a spossarsi, non già quando mettonsi al lavoro, ma quando mettonsi al piacere. [p. 277 modifica]

Harlem erasi dunque messa in triplice gioia, perchè aveva da festeggiare una triplice solennità: era stato scoperto il tulipano nero, poi il principe Guglielmo d’Orange assisteva alla ceremonia da vero Olandese come egli era, finalmente era onore degli Stati di mostrare ai Francesi in seguito di una guerra così disastrosa, com’era stata quella del 1672, che le dighe della repubblica batava erano solide a segno da potervi ballare sopra con l’accompagnamento dei cannoni dei vascelli.

La società orticola di Harlem erasi mostrata degna di sè, dando centomila fiorini per una cipolletta di tulipano. La città non aveva voluto rimanere indietro, e aveva votata una somma eguale, che era stata rimessa in mano de’ suoi notabili per festeggiare quel premio nazionale.

Però alla domenica fissata per questa ceremonia eravi un tale accalcarsi di gente, un tale entusiasmo dei cittadini, che era gioco forza, anco col sorriso narcotico dei Francesi che di tutto ridono, ammirare il carattere di que’ buoni Olandesi; pronti a spendere il loro denaro tanto per costruire un vascello destinato a combattere il nemico, cioè a sostenere l’onore della nazione, quanto per ricompensare l’invenzione di un fiore nuovo destinato a brillare un giorno, e destinato a distrarre per quel giorno le donne, i sapienti e i curiosi.

A capo dei notabili e del comitato orticolo brillava il signore Van Herysen, addobbato dei suoi più ricchi abiti.

Il degno uomo aveva fatto tutti i suoi sforzi per rassomigliare al suo fiore favorito con la eleganza di[p. 278 modifica]messa e severa degli abiti suoi, e ci affrettiamo a dire per gloria sua che era vi riuscito a meraviglia.

Nero di spolverino, velluto a squamme, seta violetta, tale era con biancheria nettissima il vestiario di ceremonia del presidente, che procedeva alla testa del suo comitato con un mazzo mostro eguale a quello che portava dugento ventuno anni dopo Robespierre alla festa dell’Ente supremo.

Solo il bravo presidente in luogo del cuore tumido d’ira e di risentimenti ambiziosi del tribuno francese, aveva in petto un fiore più innocente del più innocente che egli tenesse in mano.

Vedevansi dietro al comitato, stretto come piota erbosa, profumato come una primavera, le corporazioni sapienti della città, le magistrature, le milizie, i nobili e i contadini.

Il popolo anco presso i signori repubblicani delle Sette Province non aveva luogo in questa marcia ordinata; facevate ala.

Era del resto il miglior posto di tutti per vedere... e per avere.

Gli è il posto delle moltitudini, che aspettano, filosofia degli Stati, che i trionfi abbiano sfilato, per poi sapere ciò che dirne, e qualche volta ciò che farne.

Ma questa volta non trattavasi nè del trionfo di Pompeo nè di quello di Cesare; questa volta non celebravasi nè la sconfitta di Mitridate, nè la conquista della Gallie. La processione era placida come il passaggio di un branco di pecore, e inoffensiva come il volo di una schiera di uccelli.

Harlem non aveva altri trionfatori che i suoi [p. 279 modifica]giardinieri; adoratrice dei fiori, Harlem divinizzava i coltivatori dei fiori.

Vedevasi nel centro del corteggio pacifico e profumato il Tulipano Nero, portato sopra una barella addobbata di velluto bianco a frange d’oro. Quattro uomini portavano le stanghe, e vedevansi rimpiazzati da altri, come erano egualmente a Roma rimpiazzati coloro, che portavano la madre Cibele, quand’ella entrò nella città eterna portatavi dall’Etruria al suono delle fanfare e all’adorazione di tutto il popolo.

Cotale esibizione del tulipano era un omaggio reso da tutto un popolo senza coltura e senza gusto al gusto e alla coltura dei capi celebri e pietosi, il cui sangue sapevano spargere sulla fangosa piazza del Buitenhof, o più tardi a iscrivere i nomi delle sue vittime sulla pietra più bella del Panteon Olandese.

Era convenuto che il principe Statolder conferirebbe certamente in persona il premio dei cento mila fiorini, il che interessava tutti in generale, e che forse pronunzierebbe un discorso, il che interessava i suoi amici e nemici in particolare.

Difatti nei discorsi i più indifferenti degli uomini politici gli amici o nemici di costoro vogliono sempre travedervi, e credono sempre potervi interpretare per conseguenza un raggio del loro pensiero.

Come se il cappello dell’uomo politico non fosse un coperchio destinato a intercettare ogni luce.

Finalmente quel gran giorno tanto aspettato del 15 maggio 1673 era dunque arrivato, e Harlem tutta intera rinforzata dai suoi dintorni erasi sfilata lungo i magnifici alberi del bosco con la risoluzione col proposito fermo di non applaudire questa volta nè i [p. 280 modifica]conquistatori guerrieri, nè scienziati, ma prettamente i conquistatori della natura, i quali obbligavamo questa inesauribile madre al parto finallora creduto impossibile, del tulipano nero.

Ma niente tien meno presso il popolo che la risoluzione presa di non applaudire che a tale o a tal’altra cosa. Quando una città è in treno d’applaudire, è come quando l’è in treno di fischiare; non sa mai finirla.

Ella dapprima applaudì dunque a Van Herysen e al suo mazzo, applaudì le sue corporazioni, applaudì sè stessa; difatti giustamente questa volta, confessiamolo, ella applaudì all’eccellente musica che i signori della città prodigavano generosamente ad ogni fermata.

Tutti gli occhi cercavano presso il semidio della festa, che era il tulipano nero, l’eroe della festa che era naturalmente l’autore del tulipano.

Quest’eroe conoscendosi dal discorso, che abbiamo visto con tanta coscienza elaborare da Van Herysen, avrebbe prodotto dicerto più effetto dello stesso Stalolder.

Ma per noi l’interesse della giornata non è nè nel venerabile discorso del nostro amico Van Herysen, per eloquente che fosse, neppure nella gioventù aristocratica masticante i suoi gravi pasticci, e nemmeno alla povera meschina plebaglia mezza nuda trangugiante anguille affumicate simili a bastoni di vainiglia. Non è l’istesso interesse per le belle olandesi dalle trecce rosse e dal candido seno, nè per i loro ortolani grassi pinzati che non erano mai usciti quattro braccia fuori della porta di casa, neppure per gli smilzi e gialli viaggiatori giunti da Ceylan e da Giava, [p. 281 modifica]e nemmeno pel popolaccio alterato che ingozza come un rinfresco il cetriolo acconciato nella salamoia. Per noi non istà qui l’interesse della situazione scenico-drammatica.

L’interesse è nella figura raggiante e animata che cammina in mezzo ai membri del comitato di orticoltura, l’interesse è nel personaggio fiorito a cintola, leccato, lisciato, vestito tutto di scarlatto, colore che fa risaltare il suo nero pelame e la sua tinta giallastra.

Questo trionfatore raggiante, inebriato, questo eroe destinato all’insigne onore di far dimenticare il discorso di Van Herysen e la presenza dello Statolder, gli era Isacco Boxtel, che vedeva alla sua diritta andarsi innanzi sopra un drappo di velluto il Tulipano nero, suo prezioso figlio: a sinistra in una vasta borsa i cento mila fiorini in belle monete d’oro luccicanti, abbaglianti, che egli avea preso il partito di sbirciarli di fuori per non perderli un istante di vista.

Di tempo in tempo Boxtel affretta il passo per strisciare il suo gomito al gomito di Van Herysen. Boxtel da ciascuno prende un po’ del suo valsente per formarne un valsente proprio, tale quale ha fatto rubando a Rosa il suo tulipano per farsene sua gloria e sua fortuna.

Anche un quarto d’ora e il principe arriverà e il corteggio farà alto all’ultima posata; il tulipano essendo posto sopra il suo trono, il principe cedendo il primo posto al suo rivale nell’adozione pubblica, prenderà una pergamena squisitamente miniata, sulla quale è scritto il nome dell’autore, e proclamerà a [p. 282 modifica]voce alta e intelligibile, che è stata scoperta una meraviglia; che l’Olanda per l’intermediario di quel Boxtel ha forzato la natura a produrre un fiore nero e che questo fiore chiamerassi per l’avvenire Tulipa nigra Boxtellea.

Di tratto in tratto perciò Boxtel leva gli occhi per un momento dal tulipano e dalla borsa, e guarda timidamente nella folla, perchè in questa paventa soprattutto dì scorgere la pallida faccia della bella Frisona.

La gli sarebbe uno spettro, si capisce, il quale turberebbe la festa, presso a poco come lo spettro di Banco turbò il convito di Macbetto.

E lo ripetiamo, questo miserabile, che scavalcò un muro che non era suo, che scalò una finestra per entrare nella casa del suo vicino, che con una contracchiave riaprì la camera di Rosa, costui finalmente che ha rubato la gloria di un uomo e la dote di una ragazza, costui non si crede mica un ladro.

Egli ha talmente vegliato sul tulipano, lo ha seguito così ardentemente dall’armadio del prosciugatoio di Cornelio fino al palco del Buitenhof, da questo alla prigione della fortezza di Loevestein; hallo visto nascere così bene e crescere sulla finestra di Rosa, ha tante volte intorno a lui intiepidita l’aria col suo alito, che niuno più di lui può vantarsene autore; cosicchè chi adesso a lui prendesse il tulipano nero, parrebbegli che gliel derubasse.

Ma non scorse punto nè poco Rosa.

Ne resultò che la gioia di Boxtel non fosse minimamente turbata.

Il corteggio arrestossi nel centro di una rotonda [p. 283 modifica]ricinta di alberi magnificamente decorati di ghirlande e di iscrizioni; e arrestossi al suono di una musica fragorosa, e allora le giovinette Olandesi fecersi innanzi per scortare il tulipano all’alto seggio, ch’ei doveva occupare sulla gradinata accanto alla poltrona d’oro di Sua Altezza lo Statolder.

E l’orgoglioso Tulipano, collocato sul suo piedistallo dominò ben presto l’assemblea, che battè le mani, e fece risuonare gli echi di Harlem di un applauso prolungato.