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conquistatori guerrieri, nè scienziati, ma prettamente i conquistatori della natura, i quali obbligavamo questa inesauribile madre al parto finallora creduto impossibile, del tulipano nero.

Ma niente tien meno presso il popolo che la risoluzione presa di non applaudire che a tale o a tal’altra cosa. Quando una città è in treno d’applaudire, è come quando l’è in treno di fischiare; non sa mai finirla.

Ella dapprima applaudì dunque a Van Herysen e al suo mazzo, applaudì le sue corporazioni, applaudì sè stessa; difatti giustamente questa volta, confessiamolo, ella applaudì all’eccellente musica che i signori della città prodigavano generosamente ad ogni fermata.

Tutti gli occhi cercavano presso il semidio della festa, che era il tulipano nero, l’eroe della festa che era naturalmente l’autore del tulipano.

Quest’eroe conoscendosi dal discorso, che abbiamo visto con tanta coscienza elaborare da Van Herysen, avrebbe prodotto dicerto più effetto dello stesso Stalolder.

Ma per noi l’interesse della giornata non è nè nel venerabile discorso del nostro amico Van Herysen, per eloquente che fosse, neppure nella gioventù aristocratica masticante i suoi gravi pasticci, e nemmeno alla povera meschina plebaglia mezza nuda trangugiante anguille affumicate simili a bastoni di vainiglia. Non è l’istesso interesse per le belle olandesi dalle trecce rosse e dal candido seno, nè per i loro ortolani grassi pinzati che non erano mai usciti quattro braccia fuori della porta di casa, neppure per gli smilzi e gialli viaggiatori giunti da Ceylan e da Giava,