Il tesoro del presidente del Paraguay/4. Il combattimento

4. Il combattimento

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IV.

Il combattimento.


E
ra tempo!

La flotta alleata correva a tutta velocità addosso al valoroso incrociatore, che si trovava completamente immobile coi fuochi spenti, nell’assoluta impossibilità di manovrare o di salvarsi con una pronta fuga.

Era composta di tre fregate e di quattro corvette, armate di trentanove pezzi d’artiglieria, quasi tutti di grosso calibro, e di parecchie mitragliatrici e montate da tremiladuecento uomini; una forza imponente, invincibile pel povero Pilcomayo, che aveva un così scarso armamento e un così poco numeroso equipaggio, quantunque valorosissimo e pronto a tutto, anche a saltare in aria piuttosto di cedere le armi e le munizioni che formavano il carico. Scorgendo il pallone slanciarsi rapidamente in alto e salire con una rapidità straordinaria, un urlo di furore scoppiò a bordo delle navi nemiche. Senza dubbio gli alleati sospettavano il bel tiro giuocato dal capitano Candell, non ignorando che il Pilcomayo portava, oltre le armi, i milioni donati al presidente Lopez.

Sopra ogni ponte di comando s’udì un solo grido:

— Fuoco su quel pallone!

A quell’ordine parecchie scariche partirono dalle navi. I marinai, inerpicatisi rapidamente sulle coffe, sulle crocette [p. 29 modifica]e persino sui pennoni, scaricavano le loro carabine, mentre le mitragliatrici, volte colle canne all’insù, vomitavano senza interruzione i loro messaggeri di morte. Due navi arrestarono persino la loro marcia innanzi e ripresero il largo; tirarono in aria alcune cannonate, ma ormai era troppo tardi.

Il pallone era già alto assai e continuava a salire con crescente rapidità. In pochi istanti scomparve fra le tenebre.

Era allora giunto a duemilacinquecento metri di altezza, e, incontrata una corrente favorevole, filava al disopra dell’oceano con una velocità non inferiore ai cinquanta o sessanta chilometri all’ora.

Mastro Diego, Cardozo e lo stesso agente del Governo, usciti tutti e tre sani e salvi da quell’uragano di piombo e di ferro, in preda ancora ad una viva emozione, si erano curvati sul bordo della navicella, concentrando tutta la loro attenzione sui punti luminosi che solcavano l’oceano. In quel momento nessuno si occupava dell’aerostato, che li portava chissà mai verso quali terre o verso quali mari; non pensavano che al povero Pilcomayo, che avevano abbandonato in così terribili condizioni, stretto da ogni parte dalla squadra degli alleati e coi fuochi spenti.

Dopo le violenti scariche di moschetteria indirizzate all’aerostato, un profondo silenzio era succeduto. Nessun rumore perveniva agli orecchi degli aeronauti, nemmeno i muggiti delle macchine, che pur dovevano funzionare; nemmeno i comandi dei capitani, che pur in quel momento dovevano echeggiare a bordo di tutte le navi.

Ad un tratto però, un lampo balenò sul mare e una forte detonazione s’innalzò nell’aria. Poi un altro ancora, un terzo, infine molti altri, seguìti da scoppi violentissimi e da lunghi crepitii, che parevano prodotti dai fucili e dalle mitragliatrici. Linee di fuoco s’incrociavano per ogni dove, mandando in aria nuvoloni di polvere che di quando in quando si tingevano di rosso; poi in mezzo a quel furioso cannoneggiare si udivano delle grida che a poco a poco diventavano più fioche, man mano che l’aerostato si allontanava dal teatro della pugna. [p. 30 modifica]

D’improvviso un gran lampo fendette le tenebre salendo alto e lanciando per ogni dove dei punti luminosi, seguìto a breve distanza da un cupo rimbombo che durò qualche minuto, poi tutto tacque e tutto divenne oscuro.

Mastro Diego e Cardozo, che avevano seguìto le diverse fasi della battaglia col cuore stretto e la fronte madida d’un freddo sudore, si risollevarono, guardandosi fissamente in viso.

— Sono saltati, — disse il mastro con viva emozione.

— Lo credi? — chiese Cardozo, sui cui occhi tremolava un lagrimone.

— Lo temo.

— Ma può essere saltata una nave nemica.

— No, poichè non avrebbero taciuto le artiglierie.

— Ah! Potessimo saperlo!

— Il vento ci allontana rapidamente, e quando spunterà l’alba chissà quanto saremo lontani dalla foce del Rio della Plata.

— Ma un giorno sapremo bene la sorte toccata ai nostri disgraziati compagni.

— Lo spero, purchè noi non siamo più disgraziati di loro.

— Cosa intendi di dire, Diego?

— Non voglio lasciarti delle illusioni, mio buon Cardozo. Non voglio nasconderti che noi ci troviamo forse in peggiori condizioni dei nostri compagni.

— Perchè?

— Sai tu dove finiremo noi? Il mare ci sta sotto e forse ci inghiottirà.

— Ma non corriamo verso la costa americana?

— Per ora no; il vento ci porta verso il sud.

— Ma possiamo incontrare una nave e scendere. Non hai mai manovrato simili navigli?

— Mai, Cardozo.

— E il signor Calderon?

— Credo che ne sappia quanto me.

— Pure ci sarà un mezzo per scendere.

— Per questo non occorrono grandi cognizioni: basta dare [p. 31 modifica]uno strappo a questa corda che scende dall’alto e aprire la valvola.

— Quando conosci la manovra necessaria per discendere, non ti domando di più, Diego.

— Vedremo se basterà, Cardozo.

— A quale altezza ci troviamo?

— A tremila metri, — rispose il mastro, — ma tendiamo ad alzarci ancora, poichè vedo che il barometro si abbassa.

— Buono! Non mi spiacerebbe salire in cielo.

— Ciò non accadrà, sta certo, ragazzo mio: anzi non tarderemo a scendere, lo vedrai. Il gas sfugge sempre, per quanto sia buono il tessuto che lo tiene prigioniero.

— Di’: non ti pare che il pallone sia stato poco riempito? Vedo che fa delle grandi pieghe.

— Se lo avessero riempito completamente, a quest’ora sarebbe scoppiato, poichè, quantunque non m’intenda di manovrare simili vascelli dell’aria, so che il gas si dilata di mano in mano che il pallone sale e che diminuisce la pressione atmosferica, in virtù della sua forza espansiva, e so ancora che parecchi aerostati sono scoppiati per averli appunto troppo gonfiati.

— Speriamo che non ci tocchi una simile sorte. Diamine! Che brutto capitombolo, mio vecchio lupo di mare!

— Un saltino di tremila metri!

— Meno male che abbiamo il mare di sotto.

— Ma nessuno di noi lo toccherebbe ancora vivo: te lo assicuro, Cardozo.

— Camminiamo molto? È strano: si direbbe che noi siamo perfettamente immobili.

— E invece io credo che corriamo con grandissima velocità. All’alba vedremo quanto saremo lontani dalla costa americana. Ah! Se potessimo attraversare la Repubblica Argentina e calare in mezzo al Paraguay, fra le brave truppe del nostro valoroso Presidente! Sarebbe quello il più bel giorno...

Un risolino secco secco, ironico, gli interruppe la frase. Il vecchio marinaio si volse cogli occhi in fiamma e la fronte aggrottata, e si trovò dinanzi all’agente del Governo, il quale, [p. 32 modifica]appoggiato al bordo della navicella, colle braccia incrociate sul petto, lo guardava in istrana guisa.

— Cosa avete, signore, per ridere a quel modo? — gli chiese con voce ruvida.

— Rido, perchè voi parlate di scendere nel Paraguay, mentre il vento ci spinge sopra l’Oceano Atlantico, — rispose l’agente con voce lenta, misurata.

— È impossibile, signore! — esclamò il mastro. — Poco fa il vento soffiava dall’est e portava verso la costa.

L’agente alzò le spalle e gli mostrò senza dir verbo la bussola.

I due marinai si precipitarono verso l’istrumento e si risollevarono entrambi pallidi, mormorando: — Andiamo al largo!...

Per alcuni istanti un profondo silenzio, rotto solo dallo sfregamento delle pieghe dell’aerostato, che il vento agitava, regnò nella navicella. Malgrado il loro non comune coraggio i due marinai del Pilcomayo si sentivano prendere da una vaga paura, ben sapendo quali disastrose conseguenze poteva produrre quella corsa sopra l’Oceano Atlantico.

— Possiamo fare nulla per ritornare? — chiese Diego all’agente.

— Nulla, — rispose questi senza dimostrare la più piccola emozione.

— Quando scenderà il pallone?

L’agente crollò il capo, poi volse le spalle, si appoggiò al bordo della navicella e guardò altrove.

— Auff! — esclamò il mastro, tergendosi alcune gocce di freddo sudore. — Comincio a vedere buio nella nostra situazione, che poco fa mi pareva tanto rosea. Bah! Dopo tutto eravamo votati alla morte come i nostri compagni rimasti sul Pilcomayo.

— Chissà che il vento cangi, Diego, — disse Cardozo.

— Speriamolo, piccino mio... Dimmi: hai paura?

— No, te lo giuro. Ho provato un po’ di emozione, ma è passata.

— Ciò mi fa piacere, Cardozo. Ora coricati, che devi es[p. 33 modifica]sere stanco, e lascia a me la cura di vegliare. Se avrò bisogno delle tue braccia ti sveglierò, non temere.

— Ti ubbidisco; ma quando sorgerà l’alba tirami le gambe.

— Te lo prometto, figlio mio. Sdraiati sopra quei sacchi di zavorra e dormi tranquillo, chè per ora non c’è alcun pericolo.

Cardozo, che faticava assai a tenere gli occhi aperti, si gettò sui sacchi, si avvolse in una coperta per ripararsi dal freddo che si faceva sentire assai acuto a quell’altezza, e non tardò ad addormentarsi. Diego, dopo aver dato uno sguardo alla bussola e uno al barometro, che indicava sempre un’altezza di tremila metri, si cacciò in bocca un pezzo di tabacco e si appoggiò al bordo della navicella, guardando le fitte tenebre che si estendevano sopra l’oceano.

Un silenzio quasi perfetto regnava attorno al pallone, il quale continuava la sua rapida corsa con un dondolamento appena sensibile. Non si udivano nè il muggito delle onde, che forse il vento che regnava in quelle alte regioni lasciava tranquille, nè alcuna detonazione che indicasse la vicinanza della flotta alleata, nè alcun rumore che segnalasse il passaggio di qualche battello a vapore, nè una voce umana, nè un grido di uccello qualsiasi.

E se il silenzio era profondo, l’oscurità non lo era meno.

Fitte tenebre avvolgevano la superficie della terra, che pareva ormai completamente scomparsa, nè appariva, per quanto il mastro aguzzasse gli occhi, alcun lume in nessuna direzione, che indicasse la presenza o di una costa o di un essere umano qualsiasi. Solo sopra il pallone scintillavano superbamente gli astri a milioni e milioni, fra cui spiccava vivamente quell’ammirabile Croce del Sud, che nello emisfero meridionale indica il Polo Antartico.

A poco a poco però verso l’est cominciò a manifestarsi un vago chiarore, che ben presto fece impallidire gli astri e fugare le tenebre. Giù in fondo, verso la terra, cominciò ad apparire una superficie bruna dapprima, azzurra poi, che [p. 34 modifica]si perdeva con certi riflessi d’acciaio verso il nord, il sud e il ponente.

Alla luce biancastra successe una luce rossastra, che tinse splendidamente la superficie del pallone e che fece scintillare qua e là l’azzurra superficie del mare, cospargendola di pagliuzze infuocate; poi un’onda di luce viva, brillante, spuntò sull’orizzonte e il sole apparve in mezzo a due grandi nuvole fiammeggianti.

Il mastro, che sonnecchiava col capo appoggiato al bordo della navicella, si rialzò, si stropicciò gli occhi e guardo sotto di sè a lungo. Nulla, assolutamente nulla: la superficie del mare era completamente deserta e sull’orizzonte occidentale, dove dovevasi trovare la costa americana, nessuna terra appariva.

Carrai! dove siamo noi? — mormorò egli, masticando energicamente la sua cicca. — Si direbbe che il mare in queste poche ore si è bevuto la flotta degli alleati e ha coperto l’America tutta.

Si volse e guardò nella navicella: l’agente del Governo era ancora là, appoggiato al bordo, colle braccia incrociate sul petto e gli sguardi fissi dinanzi a sè, sempre calmo, sempre freddo. La sua faccia pallida e punto simpatica non manifestava nè alcuna sorpresa, nè alcuna apprensione.

Sdraiato sui sacchi di zavorra, il giovane Cardozo dormiva tranquillamente, colle pugna chiuse, ma il sorriso sulle labbra.

— Il piccino sogna senza dubbio... — mormorò il marinaio, guardandolo con occhio amoroso. — Che peccato che io l’abbia immischiato in questo brutto viaggio, che può mandarci a bere a crepapelle in fondo all’oceano!

Guardò la bussola e lanciò una sorda imprecazione:

— Ancora verso l’est! — esclamò con ira. — Dove finiremo noi?

Guardò il barometro e vide che segnava duemilaottocento metri. Questa scoperta, ancora più grave dell’altra, lo sgomentò. — Di già scendiamo!... — mormorò. — E invece di avvicinarci alla costa ci allontaniamo sempre più!... Dove saremo noi fra quarantotto ore?... [p. 35 modifica]

S’avvicinò all’agente del Governo e gli battè leggermente sulla spalla.

— Cosa desiderate? — gli chiese Calderon senza volgersi.

— Sapete, signore, che noi discendiamo?

— Lo so... — rispose l’altro sempre calmo.

— E non vi spaventa ciò?

— Forse che io ho un mezzo per innalzarci?

— No, ma...

— Quando il sole comincerà a scaldarci, il gas si dilaterà e supereremo i tremila metri.

— Dite il vero, signore?

L’agente alzò le spalle e non rispose.

— Hum! Che razza di orso è quest’uomo! — brontolò il mastro. — Il capitano già lo vedeva come il fumo negli occhi, e aveva i suoi buoni motivi. Ma bah! Si addomesticherà.

Si avvicinò a Cardozo e lo svegliò. Il ragazzo si stropicciò gli occhi, si stirò le membra e balzò agilmente in piedi.

— Ah! Sei tu, mio buon Diego! — esclamò. — Io sognavo di essere a casa mia, anzichè in questo pallone. Ah! Il sole è finalmente spuntato! E dunque, dove siamo? Si vede la costa?

— Dove ci troviamo non te lo saprò mai dire, poichè non credo che qui ci sia un ottante per fare il punto; la costa poi credo sia tanto lontana ch’è meglio non pensarci, almeno per ora.

— Sicchè la flotta degli alleati?...

— È scomparsa.

— L’avesse almeno inghiottita il mare.

— Io dico invece che naviga allegramente portando con sè le spoglie del povero Pilcomayo. Ma lasciamo andare quei birbanti e cerchiamo invece di porre sotto i denti qualche crosta di pane. Io spero che il capitano avrà pensato anche al nostro stomaco.

— Cerchiamo, Diego. Vedo qui una quantità di sacchi e sacchetti e casse, che qualche cosa di utile devono contenere.

— Faremo l’inventario. [p. 36 modifica]

Il previdente capitano aveva pensato a tutto. I due marinai trovarono nella navicella una quantità di oggetti che dovevano in avvenire essere a loro di somma utilità, sia sul mare che in terra.

Un centinaio di chilogrammi di biscotti, sufficienti per quattro o più settimane, un’abbondante provvista di carne conservata e di pesce secco, alcuni pacchi di cioccolato, vesti di ricambio, coperte di lana, due carabine di precisione e due pistole con abbondanti munizioni, una scure, un paio di coltelli, tre cinture di salvataggio che dovevano rendere grandi servizi nel caso che il pallone dovesse cadere in mare, poi due barometri, due termometri e due bussole. Da ultimo una piccola cucina portatile, fornita di una discreta quantità di alcool.

— Lo dicevo io che il povero capitano era un gran brav’uomo, — disse Diego dopo di avere esaminato tutta quella roba. — Dovessimo finir anche su di un'isola deserta, avremo da vivere per un discreto numero di giorni e di che procurarci della selvaggina.

— Di’, marinaio, possiamo per ora dare un colpo di dente a qualche cosa?

— Stavo per proportelo, figliuol mio.

In quell’istesso momento il signor Calderon, che non aveva abbandonato il suo posto, pronunciò lentamente queste parole:

— Un punto sull’oceano!