Il tesoro del presidente del Paraguay/3. Le casse del capitano Candell
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III.
Le casse del capitano Candell.
Il suo equipaggio, da tre notti preparato alla pugna e formato tutto di persone che avevano già dato prove di non dubbio valore, era a posto di combattimento: i fucilieri dietro le murate colle carabine in pugno e la sciabola d’arrembaggio al fianco e gli artiglieri attorno al grosso pezzo, posto in batteria sulla torretta corazzata, e dietro la mitragliatrice.
Il capitano sul ponte di comando, col portavoce in una mano e un revolver nell’altra, aveva a fianco i suoi ufficiali, mentre mastro Diego si teneva ritto dietro la ruota del timone, pronto a virare di bordo o a dirigere l’incrociatore dentro la foce del Rio.
Un profondo silenzio regnava sul legno, rotto solamente dai colpi precipitati della macchina e dai muggiti del vapore.
Dopo i segnali fatti, nessun altro razzo aveva solcato le tenebre, né sul mare né sulla costa: però il nemico tutti lo sentivano vicino. Le navi segnalate parevano scomparse, ma dovevano essersi già lanciate sulle tracce del fuggitivo, pronte a tagliargli la strada al sud e al nord nel caso che avesse da virare di bordo per riguadagnare l’alto mare.
Il Pilcomayo correva da mezz’ora, senza deviare di una sola linea dalla rotta stabilita, quando a trecento metri da prua apparve improvvisamente, quasi a fior d’acqua, un punto luminoso che si muoveva con grande rapidità.
— Oh! Oh! — esclamò mastro Diego, che diede tosto un mezzo giro di ruota. — Chi è che vuole farsi tagliare dal nostro sperone? Bada, mio caro, che è molto solido e che farà di te una frittata.
— Oh! Una lancia a vapore a prua! — gridò una vedetta posta sulle crocette di maestra.
— Che nessuno faccia fuoco! — gridò il comandante.
La lancia segnalata, appena accortasi della presenza del legno, aveva prontamente virato di bordo, filando verso il sud. In pochi istanti scomparve fra le tenebre.
— Di’, Diego; cosa credi che sia venuta a fare qui? — chiese una voce.
Il marinaio che così parlava era un ragazzo di sedici o diciassette anni, magro ma nervoso, che pareva dotato della straordinaria agilità delle scimmie, bruno come un indiano, ma di lineamenti belli e con certi occhi in cui si leggeva di già un coraggio più che straordinario.
— Ah! Sei tu, ragazzo, — disse il mastro: — quella lancia è un uccello di rapina che è venuto a spiarci.
— Allora siamo stati scoperti.
— Ora te ne accorgi?
— Lo avevo sospettato, Diego. E come ne usciremo?
— Se non sapessi che, malgrado la tua giovane età, hai nelle vene del buon sangue e che hai già dato prove di non dubbio coraggio, mi guarderei bene di dirti la verità.
— Tu vuoi dire adunque che la nostra pelle corre un serio pericolo.
— Temo che fra un paio d’ore si vada tutti a picco, povero ragazzo.
— Non ho paura, Diego, — disse l’ometto con fierezza. — Mi vedrai combattere come un vecchio marinaio e morire da coraggioso.
— Lo so: tu sei di buona razza. Tuo padre è morto da eroe sul ponte del suo legno colla bandiera paraguayana in pugno e tuo fratello ha mostrato ai brasiliani come sanno morire i figli della nostra patria. Qual dolore per la tua povera madre, se anche tu le venissi a mancare!...
— Diego, — disse il ragazzo con viva emozione, — non è questo il momento di ricordarmi la famiglia, nè che una madre adorata mi attende in chissà quali ansie.
— Hai ragione, Cardozo: certe cose fanno più male che bene, quando si ha assoluto bisogno di sola audacia. Ma io veglierò su di te come se tu fossi mio figlio, e qualunque cosa possa accadere mi troverai sempre al tuo fianco.
— Grazie, Diego, — disse il ragazzo sorridendo. — Purchè una palla non ti mandi a dormire prima di me.
— Allora buona notte; ma qualcuno avrà cura di te. Il comandante ti vuole molto bene e non ti dimenticherà!... Ah! Ci siamo!...
— Cosa vedi?
— Dei lumi dinanzi a noi.
— La flotta nemica?
— Senza dubbio, e veglia proprio dinanzi all’imboccatura del Plata.
— Prepariamo gli orecchi alla musica. Udremo fra breve un bel concerto.
— Ah! Tu scherzi?
— Ti dispiace, vecchio lupo?
— Tutt’altro, figlio mio, poichè ciò indica che tu non hai paura.
— Mastro Diego! — gridò in quell’istante il comandante.
— Ai vostri ordini, signore! — rispose il timoniere.
— Poggia al sud in maniera da evitare l’incontro degli alleati. Li scorgi?
— Perfettamente.
— Sta bene! Marinai, pronti a far parlare il cannone, e possibilmente rispondete presto e picchiate sodo.
I fanali della flotta erano lontani sei o sette miglia, ma si distinguevano perfettamente sulla oscura linea dell’orizzonte. Dal loro numero era facile arguire che i legni erano molti e disposti in modo da chiudere gran parte della grandissima imboccatura del fiume gigante.
Il Pilcomayo, che divorava la via con crescente velocità, piegò verso il sud, dove non si vedeva brillare alcun fanale, e in meno di mezz’ora giunse nelle acque del Rio.
— Si vede nulla? — chiese il capitano ai marinai in vedetta sulle crocette.
— Nave a babordo! — gridò una voce.
Tutti i cannocchiali e tutti gli occhi si volsero verso la direzione indicata. Una massa nera, di dimensioni enormi, era apparsa a sole poche gomene di distanza e correva addosso all’incrociatore coll’intenzione di calarlo a fondo con un buon colpo di sperone.
— A tutto vapore! — gridò il capitano Candell. — Diego, tutta la barra all’orza!
Un istante dopo, e a sole poche braccia dalla poppa del Pilcomayo, passava la nave nemica, la quale, trasportata dal proprio slancio, passò oltre, scomparendo fra le tenebre.
— Auff! — esclamò il mastro, asciugandosi la fronte col dorso della mano. — Un momento di ritardo ed eravamo perduti!
— L’hai veduta bene, vecchio lupo? — chiese Cardozo, che non aveva lasciato il suo fianco.
— Sì, figlio mio, e ti so dire che era una fregata delle più grosse. Se ci toccava, ci sventrava completamente.
— Tornerà alla carica?
Mastro Diego non rispose. Un lampo era balenato al largo, seguìto da una fortissima detonazione. Una palla passò fischiando sopra il ponte dell’incrociatore, perdendosi in mare.
— Maledizione! — esclamò il capitano Candell. — La partita è perduta!
— Perchè, signore? — chiese una voce.
— Ah! Siete voi, signor Calderon? — chiese il comandante con ironia. — Vi credevo nella vostra cabina al sicuro dalle palle degli alleati.
— Vi ho fatto una domanda, non vi ho detto di scherzare alle mie spalle, — disse l’agente del Governo con voce pacata, ma quasi minacciosa.
— Allora vi dirò che questo colpo di cannone farà accorrere tutta la flotta nemica, la quale ci chiuderà la via. Guardate se ho ragione.
Infatti i fanali delle navi, poco prima immobili, si erano messi in movimento e si avvicinavano rapidamente. Per di più, dei razzi s’alzavano sulla costa, solcando le tenebre in tutte le direzioni.
— Passerete? — chiese l’agente del Governo, dopo alcuni istanti di silenzio.
— È impossibile, ora che siamo stati scoperti.
— E dunque che avete intenzione di fare? Se ci gettassimo alla costa?
— Non avremo fatto un miglio entro terra, che avremo addosso i soldati argentini o del Montevideo.
— E dunque che contate di fare?
— Riprendere il largo, salvare il tesoro del Presidente e poi tornare qui per farmi uccidere, onde non lasciarvi il sospetto che io abbia avuto paura degli alleati, — rispose il capitano con fierezza.
— Non so con quali mezzi intendete di salvare i milioni del signor Lopez.
— È affare che riguarda me solo.
— No, signore, e vi ordino di forzare il passo, dovessimo andare a picco tutti.
— Dopo, prima no.
— Capitano Candell, voi mi ubbidirete, o darò io il comando di andare innanzi.
— Fatelo, signore, e vedremo se i miei fedeli marinai ubbidiranno a voi o a me.
L’agente del Governo, ben comprendendo che sarebbe stata una prova inutile, si morse le labbra e fece un gesto di dispetto.
— Farò rapporto al Presidente, — disse con sorda voce.
— Fatelo pure, signore; ma difficilmente io allora sarò ancora fra il numero dei viventi.
Imboccò il portavoce e, raddrizzando l’alta statura, gridò:
— Timoniere, vira di bordo e avanti al largo!
Un istante dopo l’incrociatore virava di bordo, volgendo la poppa verso la costa americana e si slanciava a tutto vapore sulle onde dell’Oceano Atlantico.
La fregata poco prima incontrata riapparve ancora a breve distanza, mostrando il suo acuto sperone. Tre lampi seguìti da tre detonazioni balenarono sul suo ponte e tre grossi proiettili fischiarono fra l’attrezzatura dell’incrociatore.
— Troppo in alto, miei cari, — disse il capitano Candell, ridendo. — Ehi? mastro Alonzo, manda un confetto nel corpo di quel birbante! — Il mastro cannoniere, che non aspettava che quel comando, si curvò sul grosso pezzo, mirò alcuni istanti, poi strappò violentemente il cordone tira-fuoco.
Una gran fiamma irruppe dalla bocca, illuminando il ponte dell’incrociatore, seguìta da un formidabile scoppio che fece tremare l’intera alberatura. Pochi secondi dopo, al largo si udiva uno schianto e si vide la fregata rallentare la corsa e poi fermarsi quasi istantaneamente.
— Buono! — esclamò il capitano Candell.
Sul ponte della fregata si videro correre dei fanali, poi una voce distinta gridò: — L’elica si è spezzata!
— E uno, — disse mastro Diego. — Quel dannato legno per ora ci lascerà tranquilli.
Altri due lampi balenarono dai sabordi della fregata, poi una serie di detonazioni che parevano prodotte da qualche mitragliatrice, echeggiarono verso poppa.
— Quei galantuomini vanno in bestia, — disse il giovane Cardozo, che non si prendeva la cura di porsi al riparo da quella grandine di palle. Bah! Siamo duri noi: è vero, vecchio lupo?
— Sì finora, — rispose il mastro. — Vedremo dopo però, se la nostra pelle resisterà ai cannoni della squadra intera.
— Che ci insegua?
— Senza dubbio, figlio mio. Guarda quei fanali come corrono.
— Ma noi corriamo di più, mastro.
— Se durerà il carbone. Temo che noi ne abbiamo poco nel ventre. Ah!... Ancora quei dannati di ieri sera!
Verso il nord due razzi si erano innalzati e un altro verso l’est. Certamente partivano dalle due navi segnalate alcune ore prima e che dovevano ancora incrociare al largo. Vedendo quei segnali, la fronte del capitano Candell si corrugò.
— Temo di finirla male, se non mi spiccio a salvare il tesoro, — mormorò. — Ho almeno tre ore di vantaggio: ciò può bastarmi.— Discese dal ponte di comando, facendo segno agli ufficiali di seguirlo, e si avvicinò alla misteriosa cassa che era stata trasportata in coperta.
— Tutto è pronto? — chiese agli ufficiali.
— Tutto, — risposero.
— Allora affrettiamoci.
— A che fare? — chiese una voce.
— Ah! Ancora voi, signor Calderon, — disse il capitano. — Ora lo vedrete.
— Ma cosa contiene quella cassa?
— Un pallone, signore.
— Un pallone!... E per che farne?
— Carrai! Per salvare i milioni del Presidente.
— Non vi comprendo.
— Comprenderete dopo. Ora lasciatemi tranquillo; ho i minuti contati.
Poi disse lentamente e con voce perfettamente tranquilla:
— Ingegnere, fate spegnere i fuochi!...
— Ma, signore! — esclamò l’agente del Governo. — Non vedete che la squadra degli alleati ci dà la caccia?
— La vedo.
— Se fate spegnere i fuochi, non avrete più scampo.
— Lo so; ma mi preme che le scintille che potrebbero uscire dalla ciminiera non facciano scoppiare il mio pallone.
— È una pazzia, un voler farsi uccidere.
Il valoroso comandante alzò le spalle.
Fece un cenno ad alcuni marinai che si erano riuniti ai piedi degli alberi di maestra e di trinchetto. Tosto i due gherlini legati all’anello che si vedeva emergere dalla misteriosa cassa, portata poco prima sul ponte, vennero ritirati, e si vide innalzarsi un pallone, sgonfiato ancora, ma che doveva avere dimensioni enormi a giudicarlo dalla sua lunghezza.
Quando l’estremità giunse quasi a livello degli alberi, un tubo che saliva dalla stiva fu introdotto nell’apertura inferiore, la quale venne sollecitamente legata.
— Aprite la valvola, — comandò il capitano ad un ufficiale.
Si udì un fischio acuto, che pareva prodotto da una violentissima fuga di gas e si vide a poco a poco il pallone gonfiarsi con un dondolamento marcatissimo, e tendendo a salire.
— Ma dove avete questo gas? — chiese il signor Calderon, che sembrava eccessivamente sorpreso di quanto vedeva.
— Immagazzinato a forza dentro solidissimi cilindri d’acciaio, che ho portato con me da Boston, — rispose il capitano. — Basta adattare il tubo e aprire il rubinetto: una cosa facilissima, come ben vedete.
— E quando il pallone sarà pronto, cosa farete?
— Faccio entrare nella navicella due o tre uomini dei più fidati e dei più valorosi, affido a loro il tesoro e taglio la fune, — rispose pacatamente il comandante. — Vi assicuro che gli alleati non si prenderanno i milioni.
— Ma neanche il Presidente.
— E perchè no, signor Calderon? Il vento in questa stagione e in questa regione soffia quasi sempre dall’est; il pallone verrà spinto verso terra, passerà sopra le teste degli alleati e andrà a cadere molto lontano. Agli uomini che lo montano non sarà difficile guadagnare il Paraguay.
— Ma se il vento, per una circostanza qualsiasi, cambiasse e lo portasse invece al largo, assai lontano dalla costa?
— Meglio che i milioni cadano in mare, che nelle mani dei nostri nemici. Ora vi prego di lasciarmi tranquillo, onde io sorvegli attentamente il gonfiamento.
L’aerostato si gonfiava rapidamente, assorbendo l’idrogeno carbonato pressato nei cilindri d’acciaio. Ormai si librava nell’aria tendendo le funi che parecchi marinai trattenevano. Ancora pochi cilindri, e sarebbe stato pronto a prendere il largo.
Ad un tratto si udì in lontananza una detonazione e una palla venne a cadere a poche braccia dalla poppa dell’incrociatore, facendo rimbalzare l’acqua.
— Ah! Sono qui, — disse il capitano con voce perfettamente tranquilla. — Presto, un altro cilindro, e poi fate attaccare la navicella.
Guardò verso il punto ove era balenato il lampo e scorse a circa sei chilometri un gran vascello, il quale si avvicinava rapidamente. Un po’ più lontano si vedevano altri legni i quali si disponevano in modo da circondare il povero incrociatore.
— Quando saranno a buon tiro, il pallone sarà libero, — disse egli.
Lanciò uno sguardo sul suo equipaggio, che aspettava intrepidamente l’attacco della flotta nemica, poi gridò:
— Mastro Diego!
Il timoniere si fece innanzi, salutando.
— Mio vecchio amico, — disse il comandante, — affido a te un grave incarico.
— Comandate, signore.
— Tu devi salire in questo pallone e tentare la sorte.
— Vi salirò, mio capitano, — rispose il mastro senza esitare.
— Affido a te i milioni del Presidente.
— Sta bene, comandante.
— Giurami che, se tocchi la costa, glieli recherai in qualunque luogo egli si trovi.
— Lo giuro sul mio onore e sulla bandiera della nostra patria.
— Grazie, mio valoroso. Scegli un compagno di tua fiducia.
— Eccolo, capitano, — disse il mastro, additandogli il giovane Cardozo. — Non avrai paura tu, figlio mio?
— No, Diego, — rispose il ragazzo, — anzi ti ringrazio di aver pensato a me.
— Signor Calderon, — disse il capitano, rivolgendosi verso l’agente del Governo. — preferite morire, o vivere?
— Perchè questa domanda? — chiese l’agente.
— Perchè, se voi rimanete con me, fra un’ora sarete morto, mentre, se salite sul pallone..., chissà, potreste salvarvi.
— Il mio posto è presso il tesoro del Presidente.
— Sta bene, signore.
Un altro colpo di cannone rimbombò sul mare e una seconda palla cadde a pochi metri dal Pilcomayo.
Il capitano gettò uno sguardo sull’aerostato, il quale era quasi interamente gonfiato.
— Togliete il tubo, — comandò egli, — legate l’orifizio e attaccate la navicella.
Quei diversi comandi furono tosto eseguiti.
— Manca nulla? — chiese poi, volgendosi verso gli ufficiali.
— Nulla, signore, — risposero. — Armi, viveri, vesti, zavorra sono a posto.
Un’altra palla partita dalla fregata attraversò il ponte dell’incrociatore, sfiorando questa volta il pallone.
— Imbarca! — comandò il capitano con voce un po’ commossa.
L’agente del Governo, mastro Diego e il giovane Cardozo salirono lestamente nella navicella.
Allora il capitano, levandosi di tasca due grossi astucci, li consegnò nelle mani del mastro.
— Questi sono i milioni del Presidente, — gli disse. — Io li affido alla tua lealtà e al tuo onore.
— Saranno sicuri, mio comandante, — rispose il marinaio con viva emozione.
— Addio, mio valoroso.
— Che Dio vi salvi, signore.
Il capitano fece un gesto. I marinai lasciarono andare le funi e l’aerostato libero s’alzò maestosamente nell’aria, mentre l’equipaggio dell’incrociatore gridava:
— Viva il Paraguay! Viva il Presidente!...