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si perdeva con certi riflessi d’acciaio verso il nord, il sud e il ponente.

Alla luce biancastra successe una luce rossastra, che tinse splendidamente la superficie del pallone e che fece scintillare qua e là l’azzurra superficie del mare, cospargendola di pagliuzze infuocate; poi un’onda di luce viva, brillante, spuntò sull’orizzonte e il sole apparve in mezzo a due grandi nuvole fiammeggianti.

Il mastro, che sonnecchiava col capo appoggiato al bordo della navicella, si rialzò, si stropicciò gli occhi e guardo sotto di sè a lungo. Nulla, assolutamente nulla: la superficie del mare era completamente deserta e sull’orizzonte occidentale, dove dovevasi trovare la costa americana, nessuna terra appariva.

Carrai! dove siamo noi? — mormorò egli, masticando energicamente la sua cicca. — Si direbbe che il mare in queste poche ore si è bevuto la flotta degli alleati e ha coperto l’America tutta.

Si volse e guardò nella navicella: l’agente del Governo era ancora là, appoggiato al bordo, colle braccia incrociate sul petto e gli sguardi fissi dinanzi a sè, sempre calmo, sempre freddo. La sua faccia pallida e punto simpatica non manifestava nè alcuna sorpresa, nè alcuna apprensione.

Sdraiato sui sacchi di zavorra, il giovane Cardozo dormiva tranquillamente, colle pugna chiuse, ma il sorriso sulle labbra.

— Il piccino sogna senza dubbio... — mormorò il marinaio, guardandolo con occhio amoroso. — Che peccato che io l’abbia immischiato in questo brutto viaggio, che può mandarci a bere a crepapelle in fondo all’oceano!

Guardò la bussola e lanciò una sorda imprecazione:

— Ancora verso l’est! — esclamò con ira. — Dove finiremo noi?

Guardò il barometro e vide che segnava duemilaottocento metri. Questa scoperta, ancora più grave dell’altra, lo sgomentò. — Di già scendiamo!... — mormorò. — E invece di avvicinarci alla costa ci allontaniamo sempre più!... Dove saremo noi fra quarantotto ore?...