Il tesoro del presidente del Paraguay/30. Il tradimento

30. Il tradimento

../29. Nuova Concezione ../Conclusione IncludiIntestazione 9 febbraio 2018 75% Da definire

29. Nuova Concezione Conclusione


[p. 261 modifica]

XXX.

Il tradimento.


N
uova Concezione, chiamata anche La Mocha e nella lingua del paese anche Penco, quantunque non contasse in quell’epoca più di 15.000 abitanti, era, e lo è anche oggidì, una delle più importanti città del Chilì.

Fondata nel 1550 da Pietro Valdivia, il celebre luogotenente di Pizzarro, che aveva conquistato il Chilì, era dapprima situata in fondo alla baia di Concezione. Mercè la sua posizione fortunatissima, il suo commercio e la fertilità delle terre che la circondavano, era fin da quei tempi salita a grande rinomanza, soprattutto per la vicinanza delle celebri miniere di Quilacoya, dalle quali gli spagnoli trassero per lungo tempo gran copia d'oro.

Ma fino dai primi tempi era stata disgraziata per una lunga serie di circostanze.

Abbandonata nel 1554, dopo la sconfitta degli spagnoli a Monte Adalicano, era stata subito incendiata dagli Araucani. Riedificata nel novembre dello stesso anno, il capo araucano Sautarù la riprendeva, trucidando gran parte della popolazione, e tornava a rovinarla completamente. Ricostruita da don Garzia di Mendoza nel 1558, veniva incendiata nel 1603 dal capo araucano Paillamachù-Toqui, e quindi nuovamente riedificata, per venire nuovamente rovinata nel 1730 da uno spaventevole terremoto. [p. 262 modifica]

Non per questo gli abitanti abbandonarono quella città, che pareva perseguitata da un crudele destino. Nel 1731 tornavano a rialzarla; ma venti anni più tardi un altro terremoto la sfasciava da capo a fondo.

Solamente allora decisero di farla risorgere in altro luogo, ossia a tre leghe dal mare, in una vasta pianura detta La Mocha, sulla riva settentrionale del Rio Bobio.

Non tardò a diventare ancora una delle principali città del Chilì e a riguadagnare il perduto commercio, che ogni giorno va crescendo, grazie la sua vicinanza al mare e le innumerevoli produzioni del suolo.

Oggi Nuova Concezione occupa una grande superficie, essendo le sue case tutte di un solo piano, affinchè meglio resistano al terremoto, che si fa di quando in quando sentire con estrema violenza; ha una bellissima cattedrale, un ospedale, un collegio, caserme, spaziosi conventi e diversi consolati, fra i quali quello del Paraguay e di altre repubbliche dell’America del Sud.

La berlina che trasportava l’agente del Governo e i due marinai, dopo di aver attraversato quasi tutta la città con un baccano infernale, senza lasciare quasi tempo a quelli che la montavano di vedere dove andava, si era bruscamente arrestata dinanzi ad una casa di bella apparenza, che sorgeva sulla riva destra dell’Andalien, corso d’acqua che bagna la parte meridionale di Concezione.

L’agente del Governo, che durante il tragitto non aveva pronunciato una sola parola, aprì la portiera e balzò agilmente a terra, dicendo ai due marinai: — Siamo giunti.

Due uomini stavano fermi dinanzi all’abitazione, avvolti nei loro ponchos, che nascondevano quasi del tutto i loro volti. Vedendo l’agente del Governo, lo salutarono con un: Buena noche, caballero, e si ritrassero da una parte per lasciargli libero il passo.

— È questo il Consolato? — chiese il mastro.

— Sì: affrettiamoci, — rispose il signor Calderon.

— Cosa fanno quegli uomini?

— Sono stati posti qui per maggior sicurezza. [p. 263 modifica]

— Hum! — mormorò il marinajo, scuotendo il capo. — Chi può mai sapere che noi siamo giunti? I Brasiliani, o gli Argentini forse?

Seguì l’agente del Governo, che saliva frettolosamente una scaletta. Cardozo tenne loro dietro.

Giunti sul pianerottolo, trovarono un altro uomo, ma armato, il quale li introdusse in un salotto che era illuminato da una sola candela, la cui luce impediva di osservare di primo tratto tutto ciò che conteneva e particolarmente le finestre, che erano state coperte da grandi tende.

— Accomodatevi e attendetemi, — disse l’agente del Governo, indicando ai due marinai due poltrone.

— Dove andate? — chiese Diego.

— Vado ad avvertire il console del vostro arrivo. Intanto potete vuotare qualcuna di quelle bottiglie che occupano quel tavolo.

— Non mancheremo di farlo.

L’agente uscì, seguìto dall’uomo che li aveva introdotti.

— Corpo di una cannoniera sventrata! — esclamò il mastro quando fu solo con Cardozo. – Quante precauzioni! Si direbbe che noi ci troviamo in un paese nemico, anzichè neutrale.

— Il console forse avrà le sue buone ragioni per agire così, — rispose Cardozo. — Chi sa cosa può essere accaduto nel tempo in cui noi siamo stati nelle mani dei Patagoni.

— Che gli Argentini e i Brasiliani si siano alleati coi Chileni?

— Potrebbe essere successo anche questo, marinajo.

In quell’istante udirono un rapido stridore, che pareva provenisse dalla porta.

— Avanti, — disse il mastro, credendo che avessero bussato.

Nessuno rispose e nessuno si vide entrare. Il mastro, ritenendo che non lo avessero udito, si avanzò fin presso la porta; ma tosto retrocedette pallido come un morto e coi capelli irti.

— Che hai, marinajo? — chiese Cardozo sorpreso. [p. 264 modifica]

— Ho... ho... che la porta è stata chiusa! — esclamò il mastro con voce rotta.

— Si fa riaprire.

Il mastro, che pareva in preda ad una terribile agitazione, si scagliò contro la porta, percuotendola con tal fracasso da far tremare l’intera casa. La porta non si scosse nemmeno, tant’era grossa e ben chiusa; ma dal di fuori si udì una voce a gridare:

— Fermi, o faccio fuoco!

— Mille milioni di fulmini! Aprite! — tuonò il mastro.

— Aprite, o saltiamo dalle finestre! — aggiunse Cardozo.

Uno scroscio di risa fu la risposta che ottennero. Il mastro, fuori di sè, cogli occhi schizzanti dalle orbite, corse alle finestre; ma tosto retrocesse, mandando un vero ruggito: erano tutte e due difese da grosse sbarre di ferro e chiuse esternamente da solide imposte.

— Siamo stati traditi! — esclamò il marinajo con voce strozzata.

Poi, come se avesse esaurito in quelle parole tutta la sua straordinaria energia, cadde, come fosse stato fulminato, su di una poltrona.

Cardozo, ancora istupidito da quell’inatteso avvenimento, non si mosse. In mezzo alla stanza, colla destra raggrinzata sull’impugnatura della sua navaja, egli si domandava se era impazzito, o se si trovava in preda ad uno spaventevole sogno.

— Traditi! Traditi! — esclamò finalmente, scuotendosi. — Ah! Calderon! Ti strapperò il cuore!

Stava per avvicinarsi al mastro, che pareva non dovesse più rimettersi da quel tremendo colpo, quando udì scorrere i catenacci e la porta gemere, come stesse per venire aperta.

— A me, marinajo! — esclamò. — I traditori vengono!

Il mastro nell’udire quelle parole si era rapidamente alzato, gettando un urlo di gioia selvaggia. Nella destra stringeva la navaja, arma formidabile nelle mani di quel vecchio marinajo.

La porta si era aperta, e tre uomini erano entrati. Due [p. 265 modifica]erano armati di fucile e alla cintura portavano, per maggior precauzione, delle rivoltelle di grosso calibro; il terzo era disarmato, e pareva una persona autorevole, forse il console.

— Miserabili! — tuonò il mastro, lanciandosi contro di loro col coltello alzato. — Dove siamo noi? Parlate, o vi uccido tutti e tre.

— In casa mia, — rispose l’uomo inerme, mentre gli altri due puntavano i fucili verso i due marinai.

— E a chi appartiene questa casa?

— Al Consolato Argentino, signori, — rispose quell’uomo, sorridendo tranquillamente.

— Al Consolato Argentino! — esclamarono Diego e Cardozo.

— Sì, o signori.

— Ma non sapete che noi siamo sudditi del Paraguay? — chiese il mastro, tendendo i pugni.

— Lo so, o signori, ed è perciò che io in nome del mio Governo vi dichiaro prigionieri di guerra!

— Miserabile! — tuonò il mastro, facendo atto di slanciarsi contro quell’uomo.

— Vi prevengo che se fate un passo vi faccio fucilare, — rispose l’agente argentino.

— Ma cosa si esige da noi? — chiese Cardozo.

— Il versamento dei milioni destinati al vostro Presidente.

— Ma è un furto, indegno di una nazione che si chiama la Repubblica Argentina.

L’agente alzò le spalle.

— Tutto è buono in guerra, — disse.

— Ma noi siamo qui al Chilì, in territorio neutrale, — gridò il mastro.

— Reclamate presso il Governo chileno, se lo potete.

— Siete un miserabile!

— Delle vostre invettive non mi preoccupo.

— Dov’è il signor Calderon? — chiese Cardozo.

— Credo che sia occupato a pranzare.

— È lui adunque che ci ha traditi?

— Ci voleva poco ad indovinarlo.

— Ma chi è adunque lui? [p. 266 modifica]

— Un abile agente del Governo argentino, che era riuscito a guadagnarsi la fiducia del vostro Presidente.

— Ah! — esclamò il mastro, — i miei sospetti erano veri! Ed io, stolto, che lo salvai, invece di abbruciarlo nella prateria; ma giuro a Dio che non morrò finchè non gli avrò immerso nel cuore la mia navaja!

— E lo giuro anch’io, Diego, — disse Cardozo.

— Se lo ritroverete, — disse l’agente argentino con un sorriso ironico. — Orsù, signori, bisogna arrendersi e sborsare i milioni che portate indosso.

— Per poi assassinarci? È così, signore? — chiese il mastro.

— No, e ve ne do la mia parola d’onore.

— I briganti pari vostri non hanno onore.

— Come vi piace. Se depositate i milioni, voi uscirete da qui sani e salvi, e vi faremo imbarcare su di una nave argentina che giungerà in porto domani, onde impedirvi di reclamare verso il Governo chileno, che tutto deve ignorare. Vi si trasporterà in qualche città della nostra repubblica, e al termine della guerra sarete restituiti assieme a tutti gli altri prigionieri.

— E se rifiutiamo?

— Rimarrete qui finchè vi arrenderete.

— Ebbene, in tal caso dovrete aspettare un bel pezzo, poichè nè io, nè Cardozo ci arrenderemo.

— Io credo il contrario.

— Perchè?

— Perchè la fame vi costringerà a capitolare.

Il mastro si slanciò innanzi col coltello in pugno; ma l’agente argentino e i suoi uomini, che si aspettavano senza dubbio quell’assalto, con una mossa rapida si erano gettati fuori della stanza, chiudendo violentemente la porta.

— Vi strapperò il cuore! — urlò il mastro al colmo del furore.

— Come vi aggrada, — rispose l’agente dal di fuori.

— Ah! Briganti! — esclamò Cardozo.

— Li puniremo tutti, figliuol mio, — disse il mastro. [p. 267 modifica]

— Ma in qual modo, che siamo rinchiusi?

— Fuggiremo.

— Per dove?

— Non lo so; ma fuggiremo, te l’assicuro.

— Bisogna fuggire, sì, bisogna uscire a qualunque costo di qui prima che la fame ci tolga le forze.

— All’opera, ragazzo mio. Siamo ancora forti e non del tutto inermi.

— Cosa dobbiamo fare?

— Prima di tutto barrichiamo la porta, — disse il mastro. — Non dobbiamo farci sorprendere nel più bello delle nostre operazioni.

Nella stanza si trovavano per buona fortuna diversi pesanti mobili: una specie di libreria, due grandi tavoli, un pesante cassettone e diverse poltrone e sedie. I due marinai, radunando le loro forze, accumularono tutta quella mobilia contro la porta, formando una barricata tale da sfidare l’urto più potente e da opporre una lunga resistenza alle palle di fucile e di revolver.

— Ora, — disse il mastro quand’ebbero terminato, — esaminiamo la nostra prigione.

— Ah! marinajo! — esclamò Cardozo.

— Cosa c’è ancora? — chiese il mastro.

— Stiamo per essere liberi.

— Sei impazzito, figliuol mio?

— Guarda là.

— Un caminetto!

— Forse possiamo uscire di là.

— Ventre di balena!

— Guardiamo, marinajo.

Presero una candela e si avvicinarono al caminetto, che occupava la parete situata di fronte alla porta d’ingresso. Cardozo esaminò la canna e la trovò tanto larga da permettere la salita ad un uomo di grossezza media.

— Siamo salvi, — disse.

— Dio sia ringraziato! — esclamò il mastro. — È assai alta la canna? [p. 268 modifica]

— Tre metri appena.

— Non perdiamo tempo allora.

— Ma il tetto sarà alto?

— La casa mi parve piuttosto bassa e poi fiancheggia un corso d’acqua.

— È vero, e in caso disperato salteremo nel fiumicello, che mi parve abbastanza profondo.

— Vuoi salire?

— Alzami, e salirò.

Il marinajo prese Cardozo per i piedi e lo spinse in alto. Il bravo ragazzo si aggrappò a due sporgenze, che dovevano aver servito agli spazzacamini, e, puntando le ginocchia contro i muri della gola, si mise ad arrampicarsi colla sveltezza di un vero scoiattolo. Giunto presso l’uscita, si arrestò, trovandosi imprigionato in una specie di pinacolo fornito di alcune aperture assai strette.

— Ebbene? — chiese il mastro con ansietà.

— Bisogna atterrare il pinacolo, — rispose il ragazzo.

— Hai forza bastante?

— Lo spero.

Cacciò le mani in una apertura e scosse furiosamente i mattoni. Il pinacolo, che era di costruzione leggera, gli cadde addosso.

— Auff! — esclamò Cardozo, respirando a pieni polmoni l’aria fresca della notte. — Siamo salvi.

Si issò sul tetto e lanciò un rapido sguardo all’ingiro. Presso la grondaia scorse un albero i cui rami si allungavano sopra le tegole, favorendo in tal guisa la discesa.

— Sali, marinajo, — disse, curvandosi verso la gola del camino. — Fra cinque minuti noi saremo salvi.

— Vengo, — rispose il mastro.

Adoperando i piedi e le mani, s’arrampicò su per la canna e dopo pochi istanti raggiungeva Cardozo, che si era già aggrappato ad un ramo, pronto a discendere nella sottostante via.

— Vedi nessuno? — chiese il vecchio lupo di mare.

— La via è deserta, — rispose il ragazzo. [p. 269 modifica]

— Vi sono degli uomini presso la porta?

— Non vedo alcuno.

— Discendiamo, e soprattutto non facciamo rumore.

Si aggrapparono ai rami, guadagnarono silenziosamente il tronco dell'albero e si lasciarono scivolare fino a terra. Appena il mastro si trovò libero, si raddrizzò con uno scatto da belva, esclamando con intraducibile accento d’odio:

— Ora a noi due, signor Calderon!

— Fuggiamo, marinajo, — disse Cardozo. — Qui possono sorprenderci e assassinarci.

— Andiamo, figliuol mio.

Voltarono in fretta l’angolo della casa e si slanciarono di corsa nella prima strada che si videro dinanzi. Avevano percorso appena cento metri, quando si arrestarono entrambi alla vista di un uomo che si avanzava a lenti passi, rasentando i muri delle case. Quantunque la notte fosse assai oscura, i due marinai l’avevano conosciuto.

— Calderon! — esclamò Cardozo.

— È Dio che ce lo manda, — mormorò il mastro con voce lugubre. — Il destino ci doveva questa rivincita!

— Attento che non ci fugga, marinajo.

— Il traditore morrà.

— Bada che non sia armato.

— Lo ucciderò, ti ripeto.

Spinse Cardozo dietro l’angolo di una casa, e gli si mise dinanzi colla terribile navaja in pugno, raccolto su se stesso, come una tigre che sta per avventarsi sulla preda.

L’agente del Governo, poichè era proprio lui, diretto senza dubbio alla casa del console argentino, si avanzava senza sospetto, colla sua solita calma e immerso, a quanto pareva, in profondi pensieri. Non aveva nemmeno fatto caso a quei due uomini, che forse non aveva neanche scorti.

— Eccolo! — mormorò il marinajo quando se lo vide vicino.

Fece un salto innanzi e piombò con slancio irresistibile addosso all’agente, afferrandolo strettamente per la gola.

— Mi conosci, traditore? — gli ruggì agli orecchi il [p. 270 modifica]marinajo, mentre Cardozo gli si poneva di dietro col coltello in pugno.

L’agente del Governo nel vedersi dinanzi i suoi antichi compagni, che aveva così vilmente traditi e che credeva di ritrovare ancora prigionieri nella casa del console argentino, divenne pallido come un cadavere e tentò, con uno sforzo disperato, di sottrarsi alla stretta che lo strozzava.

— Mi riconosci, traditore? — ripetè il mastro con accento terribile.

— Grazia! — balbettò l’agente.

— Eccola!...

L’acuta navaja del mastro si sprofondò fino all’impugnatura nel cuore del signor Calderon, il quale stramazzò al suolo fulminato.

— Così periscano tutti i traditori! — disse il mastro.

— Fuggiamo, Diego, — consigliò Cardozo.

— Sì, fuggiamo, e cerchiamo d’imbarcarci questa notte istessa su qualche nave.

Ripresero la corsa verso l’ovest e, usciti dalla città, si diressero verso la baja, nella quale si vedevano ancorati numerosi bastimenti. Stavano per dirigersi verso la Sanità onde informarsi se vi era in porto qualche nave con bandiera del Paraguay, quando scorsero un uomo a cavallo, che trottava verso la città.

Un grido sfuggì a tutti e due: — Ramon!

Il cavaliere, che li aveva già oltrepassati di alcuni passi, volse il cavallo e in brevi istanti li raggiunse.

— Diego! Cardozo! — esclamò, balzando a terra. — Ah! Finalmente vi ritrovo!

— Amico mio, siete arrivato in buon punto, — disse il mastro, stringendo energicamente la mano al bravo gaucho.

— Siete arrivato oggi?

— Due ore fa, dopo cinque giorni di galoppo indiavolato, e andavo in cerca del Consolato.

— È inutile cercarlo.

— Perchè?

— Perchè fuggiamo. [p. 271 modifica]

— Per qual motivo?

— Ve lo spiegheremo più tardi.

— Ma non vedo con voi il signor Calderon.

— L’abbiamo ucciso poco fa.

— Ah!...

— Era un traditore.

— Lo avevo sospettato.

— Venite.

— Vi seguo.

Il porto era vicino. Diego corse alla Sanità, e colà seppe che si trovava nella baja un bastimento con bandiera del Paraguay, che doveva partire all’alba.

Senza perdere tempo noleggiarono un’imbarcazione, e due ore dopo si trovavano nella cabina del capitano, al quale raccontavano le loro straordinarie peripezie.

Alle quattro del mattino, all’alta marea, il bastimento scioglieva le vele, portando con sè i portatori del tesoro e Ramon, che non aveva voluto abbandonare i suoi vecchi e valorosi amici.