Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/275


— 269 —

— Vi sono degli uomini presso la porta?

— Non vedo alcuno.

— Discendiamo, e soprattutto non facciamo rumore.

Si aggrapparono ai rami, guadagnarono silenziosamente il tronco dell'albero e si lasciarono scivolare fino a terra. Appena il mastro si trovò libero, si raddrizzò con uno scatto da belva, esclamando con intraducibile accento d’odio:

— Ora a noi due, signor Calderon!

— Fuggiamo, marinajo, — disse Cardozo. — Qui possono sorprenderci e assassinarci.

— Andiamo, figliuol mio.

Voltarono in fretta l’angolo della casa e si slanciarono di corsa nella prima strada che si videro dinanzi. Avevano percorso appena cento metri, quando si arrestarono entrambi alla vista di un uomo che si avanzava a lenti passi, rasentando i muri delle case. Quantunque la notte fosse assai oscura, i due marinai l’avevano conosciuto.

— Calderon! — esclamò Cardozo.

— È Dio che ce lo manda, — mormorò il mastro con voce lugubre. — Il destino ci doveva questa rivincita!

— Attento che non ci fugga, marinajo.

— Il traditore morrà.

— Bada che non sia armato.

— Lo ucciderò, ti ripeto.

Spinse Cardozo dietro l’angolo di una casa, e gli si mise dinanzi colla terribile navaja in pugno, raccolto su se stesso, come una tigre che sta per avventarsi sulla preda.

L’agente del Governo, poichè era proprio lui, diretto senza dubbio alla casa del console argentino, si avanzava senza sospetto, colla sua solita calma e immerso, a quanto pareva, in profondi pensieri. Non aveva nemmeno fatto caso a quei due uomini, che forse non aveva neanche scorti.

— Eccolo! — mormorò il marinajo quando se lo vide vicino.

Fece un salto innanzi e piombò con slancio irresistibile addosso all’agente, afferrandolo strettamente per la gola.

— Mi conosci, traditore? — gli ruggì agli orecchi il ma-