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— Tre metri appena.

— Non perdiamo tempo allora.

— Ma il tetto sarà alto?

— La casa mi parve piuttosto bassa e poi fiancheggia un corso d’acqua.

— È vero, e in caso disperato salteremo nel fiumicello, che mi parve abbastanza profondo.

— Vuoi salire?

— Alzami, e salirò.

Il marinajo prese Cardozo per i piedi e lo spinse in alto. Il bravo ragazzo si aggrappò a due sporgenze, che dovevano aver servito agli spazzacamini, e, puntando le ginocchia contro i muri della gola, si mise ad arrampicarsi colla sveltezza di un vero scoiattolo. Giunto presso l’uscita, si arrestò, trovandosi imprigionato in una specie di pinacolo fornito di alcune aperture assai strette.

— Ebbene? — chiese il mastro con ansietà.

— Bisogna atterrare il pinacolo, — rispose il ragazzo.

— Hai forza bastante?

— Lo spero.

Cacciò le mani in una apertura e scosse furiosamente i mattoni. Il pinacolo, che era di costruzione leggera, gli cadde addosso.

— Auff! — esclamò Cardozo, respirando a pieni polmoni l’aria fresca della notte. — Siamo salvi.

Si issò sul tetto e lanciò un rapido sguardo all’ingiro. Presso la grondaia scorse un albero i cui rami si allungavano sopra le tegole, favorendo in tal guisa la discesa.

— Sali, marinajo, — disse, curvandosi verso la gola del camino. — Fra cinque minuti noi saremo salvi.

— Vengo, — rispose il mastro.

Adoperando i piedi e le mani, s’arrampicò su per la canna e dopo pochi istanti raggiungeva Cardozo, che si era già aggrappato ad un ramo, pronto a discendere nella sottostante via.

— Vedi nessuno? — chiese il vecchio lupo di mare.

— La via è deserta, — rispose il ragazzo.