Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 27 — |
— Signor Calderon, — disse il capitano, rivolgendosi verso l’agente del Governo. — preferite morire, o vivere?
— Perchè questa domanda? — chiese l’agente.
— Perchè, se voi rimanete con me, fra un’ora sarete morto, mentre, se salite sul pallone..., chissà, potreste salvarvi.
— Il mio posto è presso il tesoro del Presidente.
— Sta bene, signore.
Un altro colpo di cannone rimbombò sul mare e una seconda palla cadde a pochi metri dal Pilcomayo.
Il capitano gettò uno sguardo sull’aerostato, il quale era quasi interamente gonfiato.
— Togliete il tubo, — comandò egli, — legate l’orifizio e attaccate la navicella.
Quei diversi comandi furono tosto eseguiti.
— Manca nulla? — chiese poi, volgendosi verso gli ufficiali.
— Nulla, signore, — risposero. — Armi, viveri, vesti, zavorra sono a posto.
Un’altra palla partita dalla fregata attraversò il ponte dell’incrociatore, sfiorando questa volta il pallone.
— Imbarca! — comandò il capitano con voce un po’ commossa.
L’agente del Governo, mastro Diego e il giovane Cardozo salirono lestamente nella navicella.
Allora il capitano, levandosi di tasca due grossi astucci, li consegnò nelle mani del mastro.
— Questi sono i milioni del Presidente, — gli disse. — Io li affido alla tua lealtà e al tuo onore.
— Saranno sicuri, mio comandante, — rispose il marinaio con viva emozione.
— Addio, mio valoroso.
— Che Dio vi salvi, signore.
Il capitano fece un gesto. I marinai lasciarono andare le funi e l’aerostato libero s’alzò maestosamente nell’aria, mentre l’equipaggio dell’incrociatore gridava:
— Viva il Paraguay! Viva il Presidente!...