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ma dovevano essersi già lanciate sulle tracce del fuggitivo, pronte a tagliargli la strada al sud e al nord nel caso che avesse da virare di bordo per riguadagnare l’alto mare.
Il Pilcomayo correva da mezz’ora, senza deviare di una sola linea dalla rotta stabilita, quando a trecento metri da prua apparve improvvisamente, quasi a fior d’acqua, un punto luminoso che si muoveva con grande rapidità.
— Oh! Oh! — esclamò mastro Diego, che diede tosto un mezzo giro di ruota. — Chi è che vuole farsi tagliare dal nostro sperone? Bada, mio caro, che è molto solido e che farà di te una frittata.
— Oh! Una lancia a vapore a prua! — gridò una vedetta posta sulle crocette di maestra.
— Che nessuno faccia fuoco! — gridò il comandante.
La lancia segnalata, appena accortasi della presenza del legno, aveva prontamente virato di bordo, filando verso il sud. In pochi istanti scomparve fra le tenebre.
— Di’, Diego; cosa credi che sia venuta a fare qui? — chiese una voce.
Il marinaio che così parlava era un ragazzo di sedici o diciassette anni, magro ma nervoso, che pareva dotato della straordinaria agilità delle scimmie, bruno come un indiano, ma di lineamenti belli e con certi occhi in cui si leggeva di già un coraggio più che straordinario.
— Ah! Sei tu, ragazzo, — disse il mastro: — quella lancia è un uccello di rapina che è venuto a spiarci.
— Allora siamo stati scoperti.
— Ora te ne accorgi?
— Lo avevo sospettato, Diego. E come ne usciremo?
— Se non sapessi che, malgrado la tua giovane età, hai nelle vene del buon sangue e che hai già dato prove di non dubbio coraggio, mi guarderei bene di dirti la verità.
— Tu vuoi dire adunque che la nostra pelle corre un serio pericolo.
— Temo che fra un paio d’ore si vada tutti a picco, povero ragazzo.
— Non ho paura, Diego, — disse l’ometto con fierezza. —