Il sistema della tariffa annonaria sul pane in Roma/Paragrafo I
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IL SISTEMA
della
TARIFFA ANNONARIA
SUL PANE IN ROMA
REPUTATO COME MEZZO DI TUTELA
DEL PUBBLICO INTERESSE
Considerazioni in rapporto alla Notificazione del 16 Dicembre 1865,
protocollo n.° 20795, emanata dall'ecc.ma Magistratura Romana
Firenze
Tipografia di G. Mariani
1866
La facoltà di dire la propria opinione,
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§ I.
Al quesito, se data la libertà del commercio si debbano per utilità pubblica, e si possano con giustizia eccezzionare da questa i così detti generi di prima necessità, risponda l’esperienza degli anni nostri, e i fatti della storia anteriore a noi. Gli autori di trattati speciali o generali di economia pubblica sciolsero questo quesito fin da quando proposero, e poi viddero trionfare il principio della libertà commerciale. Essi osservarono che escludere questi generi dal privilegio della libertà di trafficarli, era un favorire quelle conseguenze dannose pei popoli che si cercava di ovviare. Le ragioni di ciò furono disconosciute da qualche Governo come il nostro, forse da troppa solerzia intimidito, e ritenne di eccezzionarli. Un rapido sguardo sulla storia della tariffa che ci occupa ne dimostrerà la disconvenienza ed i danni.
Pio VII fu il primo Pontefice che nel 3 Settembre 1800 decretò la libertà commerciale, e sopraffatto dal desiderio di giovare alla classe più bisognosa del popolo «rinunziò alla felice esperienza degli altri Governi che sembrava gli suggerissero il contrario e volle che il grano si spianasse a tariffa, cioè in proporzione esatta del suo costo.» Prima di quest’epoca la tariffa sul pane era in qualche modo giustificata. In questa di Pio VII poteva scusarsi, ma nel nostro tempo non può non condannarsi come un errore ed un’ingiustizia. Innanzi al 1800 le scienze economiche erano bambine, le arti industriali, e quella dei panattieri, erano rette, e sostenute da privilegi; i governi studiavano di premunirsi dal flagello delta carestia sulle risorse del proprio paese. V’era in Roma un numero determinato di panattieri, e tra questi equamente si ripartiva la quantità del lavoro giornaliero. V’era il sistema annonario dei magazzini di grano sostenuti a spese del governo, da cui i fornaj traevano a prezzo determinato il grano da panizzare. Determinate e fissate dalla consuetudine erano pure le spese che incontravano per la panizzazione, come semplici i modi di confezionare le diverse qualità di pane. Da qui i dati meno incerti su cui il governo poteva ritrarre il prezzo quasi certo di esso, e darne il precetto nella vendita ai fabbricatori. Pure, malgrado la sicurezza di questi estremi che sembrano rappresentare tutti gli elementi per la formazione di una giusta tariffa, esistono memorie che dimostrano esser corsa praticamente tutt’altro la faccenda.
La celebre tariffa Paolina, perché opera di Paolo V, nel 1606 fu dovuta riformare in onta alla perpetuità del sistema annonario, da Benedetto XIII nel 27 Settembre 1729, perchè evidente si mostrò la rovina di moltissimi fornari. Nè bastò questa riforma a ripararne il danno, poichè il governo dei Pontefici stimò opportuno nel 1742 sussidiare questa classe d’industriosi di scudi settemila, qual sussidio fu ripetuto nel 1743. Clemente XIV nel 1764 riconobbe giusti i reclami dei fornari, ed ordinò che si riformasse la tariffa Benedettina, e malgrado ciò risulta da un Chirografo di Benedetto XIV che a titolo di sovvenzione furono distribuiti ai fornari trentamila scudi. Convenne finalmente (prima del Motuproprio di Pio VII che accordava la libertà di commercio, abolendo il sistema annonario, e il privilegio universitario delle classi industriose) riformare la tariffa ancora una volta, ciò che avvenne nel 1787, per cura del Prefetto annonario Monsig. Della Porta.
Questi fatti dimostrano quanta apparente giustificazione avesse il sistema della tariffa nell’epoche in cui l’economia dello stato non apprendeva i precetti che dai fatti che corrono fra le domestiche pareti. Assicurato a Roma il principio della libertà di commercio, nel 1800 il Decreto del Pontefice avendone eccezionata la vendita sul pane, creò nuove ed insormontabili difficoltà alla formazione della tariffa, poiché, le basi su cui dovea comporsi entravano in una fase di continuo oscillamento. E così mentre prima di quest’epoca il traffico della panificazione era, come si è detto, un fatto di famiglia, in cui spesso il dono del padre compensava il danno sofferto dal fratello.
Ora da quest’epoca muove il quesito, se dalla data libertà commerciale si debba per utilità pubblica e si possa senza ingiustizia, escludere la vendita del pane. Lasciando da parte le ragioni di più alto valore per una tesi generale, seguiremo le traccie della storia per rilevare più particolarmente il carattere d’insufficienza con cui ha proceduto il divieto arrecando danno ai produttori, non giovando ai consumatori, a garantire l’interesse dei quali tanta opera inutile è stata messa.
Col Motuproprio del 1800 verniero chiusi i granai dello Stato; ogni panizzatore non acquistava a prezzo fisso col contante o a credito dal governo; ma al mercato, ove i prezzi sono dalle circostanze e infinitamente variati, ove le qualità dei grani possono essere tanto diverse da quella che servì all’esperimento dei prodotti presi per norma dalla tariffa. Da quest’epoca la panificazione cominciò a migliorare il suo processo, i suoi metodi di lavoro, e al pane si dettero volume, e forme variate e fu nel 11 Maggio 1818 che una legge della Prefettura di Annona e grascia soppresse solennemente la tariffa del pane, lasciando pure la storia, le denominazioni dei forni in bajoccanti e decinanti, desunte dalla maniera di fabbricare il pane. Dal 180O fino al 15 Maggio 1818 come procedesse la legge, due sole cose sappiamo; che il pane cioè fu venduto a tariffa sulle basi di quella del 1787 a quel modo che sarà potuto andare fra le incessanti tempeste politiche che occuparono, e si rintesero nel paese; l’altro che nel 1816 per autorità superiore da tal computista Ascani, fu redatto uno schema di calcolazioni per uso della tariffa includente maggiori spese di quelle ammesse nella tariffa del 1787.
Restato il commercio del pane sciolto da ogni vincolo oltre a vent’anni, e variati interamente i modi, e le maniere di confezionarlo, accresciuto il numero dei forni sotto il primitivo impulso di una rinascente operosità che già dava estimazione e credilo a ciò che dianzi reputavasi quasi un ingombro, venne in mente a Gregorio XVI nel primo mese del 1838, di ascoltare da una Deputazione che elesse a suo talento, la risposta del quesito «se convenisse adattare per Roma una tariffa atta a mantenere il prezzo del pane nella proporzione di quello del grano; e nel caso affermativo, quali norme dovessero stabilirsi per la formazione di quella». La scarsezza de! raccolto dei grani in quest’anno dette motivo al Pontefice di muovere tale domanda; e torni pure al meritato encomio l’atto che ricorda Deputazione e Sovrano concordi nel negare un cambiamento ai prezzi infimi regolatori dei dazi del divieto di estrazione, o d’introduzione dei Grani nello stato secondo la tariffa allora vigente del Camarlingato (28 Giugno 1823) nel proposito di adottare piuttosto un calmiere da tenere nella proporzione più vantaggiosa ai pubblico il prezzo del pane con quello del Grano. Fu adunque emanata immediatamente la legge della tariffa sul pane per organo della Prefettura di annona, e grascia rappresentata allora dal Presidente Monsig. Serafini. Ma la legge per essere compatibile, ebbe bisogno di tali artificii che arrestassero il corso del miglioramento che faceva l’industria, perché fosse nella norma che assegnava comprensibile l’oggetto. Ebbe bisogno di prescrivere e regole e leggi, per trovare i modi onde sapere il prezzo delle contrattazioni dei grani sul pubblico mercato, da cui desumere il prezzo medio. Ebbe bisogno di ammettere dei principii incerti troppo per condurre le sue calcolazioni, E così l’artificio della legge sorse a fiscaleggiare tutti gli atti di questa industria, e affastellò il desiderio di giovare coll’ingiustizia, il vantaggio pubblico ridicolo o nullo, colla rovina di tante famiglie industriose.
Nè fu difficile rovistando nelle polverose memorie della Prefettura dell’Annona, ritrovare un vecchio sistema da mettersi a nuovo perchè figurasse per la comparsa del tempo suo. 11 prospetto di calcolazione che si disse Scalone, e dal suo autore Ascani, fatto nel 1816 ad oggetto dì regolare i prezzi settimanali del pane, fornì le norme da seguirsi per l’osservanza della nuova legge, ed eccone i principii artificiosi.
1. Un rubbio di grano di buona qualità molito che sia dà una quantità certa di prodotti panizzabili divisi in fiore di farina, semolette e spolveri.
I fornai tutti di Roma avevano due sistemi di lavorare il pane; i primi si dissero venali o da stufa, i secondi casareccianti.
2. Conservando a ciascuno il proprio modo di panificare si dava in obbligo ai venali d’impiegare tanto fiore per fare altrettanti piccoli pani detti pagnottelle, e colle semolette i spolveri, e una certa quantità dello stesso fiore per farne pani in grosso volume che distinsero col nome di 2.a qualità, mentre sotto date proporzioni con le stesse materie panizzabili fu assegnato ai casareccianti che dovessero fabbricarne pani egualmente in grosso volume di 1.a e di 3.a qualità.
3. Così fu fatta ragione della quantità del lavoro giornaliero di ciascun fornaio desumendone la quota approssimativa dalla quantità annuale del grano che si moliva in Roma, ed all’epoca Ascani si determinò che fosse di due rubbia al giorno.
4. Occorreva conoscere il prezzo medio di questo grano, e a ciò ottenere si emanò, e si richiamò in vigore, non saprei ben dire una legge che obbligava individualmente i contraenti nelle contrattazioni dei grani, ad esibire all’Ufficio annonario il referto, o assegno del loro contrailo esprimente la qualità, il prezzo la quantità, e la compagnia dei misuratori annonari che lo avesse pesato, e consegnato al compratore. Da queste assegne di contratti settimanalmente estraevano il prezzo medio che dissero coacervato, perchè desunto dalla somma del prezzo di ciascuna partita di grano, divisa per la somma della quantità delle rubbia.
5. S’indagarono finalmente le spese che ciascun fornajo nella sua specialità sosteneva per la panificazione di ogni rubbio di grano sulla norma di due rubbia di consumo al giorno; e sopra questi dati, con questi mezzi si compose il prospetto o scalone Ascani per l ’apprezzamento settimanale del pane nelle assegnate qualità.
Ogni mente di superficiale intelligenza bastava ad apprezzare il falso meccanismo di questa legge e solo gli uomini di cui feriva l’industria avvisarono il loro danno sotto lo spirito di coazione su cui veniva basata.
Il 3 febbraio 1838 fu emanata la prima tariffa estratta sui dati delle calcolazioni enunciate, eseguite per opera di Gio. Battista Franceschi, e il suo nuovo scalone non ebbe altre modificazioni che quelle che importavano — le maggiori spese — il maggior dazio di consumo — lo spiano non più di due rubbia di grano, ma di tre al giorno per ciascun fornaio. Questa legge quanto poco inconsulta, e tanto meno opportuna per lo scopo che si voleva raggiungere, accompagnata da severi atti di fiscalità, sorvegliata nella sua esecuzione da certi ministri che non vale il lezzo di ricordare spinse i fornai dopo pochissimi giorni a muovere istanza all’Em.o Gamberini Segret. di Stato, perchè venisse modificata la legge, specialmente in ordine a certe spese trascurate a loro danno. Ma non bastava che ciò venisse riconosciuto per giusto. Esposti a continua perdita d’interesse non poteron tollerare di restarsene silenziosi, e continui reclami avanzarono ai Magistrati contro l’aggravio che risentivano dagli estremi su cui veniva basata la tariffa. E poichè appellare a’ Giureconsulti per invalidare sulle sue enormità, e distruggere la legge, era reso impossibile, se non altro dai tempi che avevano fatta della legge tariffale una emanazione sovrana, interposero i buoni uffici della Camera di Commercio a cui diressero una «analisi ragionata della Notificazione annonaria del 1 Febbraio 1838 sulla ripristinazione della tariffa sul pane» la Camera la rimise munita di analoghe osservazioni all’Em. Camarlingo, questi all’Emo. Gamberini da cui fu trasmessa al Presidente dell’Annona, il quale la referì alla Deputazione, e non fu che nel Settembre del 1839 che ottenessero qualche maggior riguardo sulle spese, ciò che importò una piccola modificazione sullo Scalone Franceschi.
Così ha proceduto per varii anni questa industria sempre in atto supplichevole alla legge, e sacrificando a’ Mani infernali de’ suoi ministri sorvegliatori della esecuzione, onde ottenere uno scampo dalla totale rovina fino a che nel Giugno del 1846 andò la legge in dimenticanza totale.
Eletto a Pontefice Pio IX, abolite le Prefetture, e organizzato col Motuproprio del 2 Ottobre 1847 il Consiglio e Senato di Roma, col parag. 49 gli attribuì «l’Annona e Grascia, ad ogni altro oggetto di sussistenza degli abitanti, ed approvigionamento della Città». E fu questo Municipio composto la più parte di Uomini doviziosi di sapienza civile, i cui alti nell’epoca difficile di sua esistenza rimangono come un documento di lode della loro abilità al Magistrato, e il popolo di Roma lo ricorda ancora con grata ed eterna rimembranza; fu desso Municipio che il 17 Agosto 1848 con Notificazione riprovò altamente il vincolato commercio del pane. Giovi ricordare alcune parole di questa, che sonano contro il sistema della tariffa, una condanna solenne perpetua come innanzi avea risuonato in molti altri paesi civili. «Considerando, sono le sue espressioni, che la tariffa sul peso, c sul prezzo del pane ed ogni altro vincolo all’assoluta libertà del Commercio oltre tanti altri disordini riconosciuti e confermati dall’esperienza, impedisce quei salutari effetti che dalla libertà stessa derivano, per la concorrenza dei commercianti da cui naturalmente consegue a vantaggio del popolo la diminuzione dei prezzi». Si aboliva dunque solennemente.
Succedute le malaugurate vicende del 1849 e tra queste dispersa una parte di Civile rappresentanza che aveva reso chiaro il suo nome, il resto si confuse ad attraversare vicende politiche di cui è doloroso il ricordo. Fatto è che inaugurata la restaurazione della legittima autorità, in luogo del Municipio fu stabilita una Commissione a cui successero altri uomini, che chiamando a censura quest’atto di sapienza economica vi scorsero il carattere del tempo anziché il risultato di una verità utile al Governo ed ai popoli.
Cosi il 5 Settembre 1850 fu veduto con sua Notificazione riordinata quella tariffa dianzi condannata all’oblio come insapiente ed ingiusta. E la lotta si ristabilì fra l’Autorità che imponeva una legge insopportabile, e il ceto dei fornai che gridava alla perdita dei suoi interessi, alla miseria della sua industria e dava in mano alla plebe, pur pocanzi turbolenta e ribelle allo stesso Governo, appiglio di usare della sua prepotenza sull’avvilito Fornaio.
Nella primavera del 1853 per naturali cagioni, o se pur vuolsi artificiose, non sapute riparare da quella Autorità che con mano di ferro imponeva la tariffa, accadde un aumento saltuario e progressivo fino al più alto limite dei prezzi dei grani. In questo, l’Autorità Municipale che riposava tranquillamente sul suo letto di rose, più che procedere nella emanazione delle sue tariffe settimanali di pari passo coll’aumento dei grani portando l’aumento sul prezzo de! pane, se ne rimase per più mesi silenziosa spettatrice dello scempio di tanti interessi per cui furono gettate alla mendicità molle famiglie industriose.1
Dal giorno 30 Aprile che la tariffa segnò il prezzo medio del grano in Sc. 10,27 fino al 27 Giugno ohe una nuova tariffa vidde la luce, i grani percorsero la scala rapida degli aumenti fino a Sc. 18 il rubbio, e il prezzo de! pane con quest’ultima non fu aumentato che di due baiocchi la diecina.2 Riuscite vane le proteste, i richiami, la provvidenza soccorse col buon raccolto, e meno rovinoso sarebbe stato pei Fornari l’attendere naturalmente l’abolizione di una legge cotanto lesiva, e vessatoria. Ma poiché ne esacerbava la durezza ad ogni naturale aumento dei grani, si risolvettero finalmente dì tutto tentare con legalità di mezzi per venirne liberali. Così scelta nel loro ceto una Commissione a cui offersero ampio mandato di procura per intentare all’uopo anche una Causa, avvenne che verso la metà del 1855 si trovassero gli atti iniziati in via di contenzioso amministrativo presso l’Eccma Presidenza di Roma e Comarca, come a colei che esercita un’autorità tutoria sul Municipio Romano. Fu allora che questo lasciò in non curanza la tariffa. Alcun tempo dipoi ordinò ai Fornai di dare le assegne del prezzo col quale intendevano vendere il loro pane settimanalmente, e fatto elenco di queste, si contentò annunziarlo al pubblico facendo maggior rilievo delle assegne a prezzo minore. Finalmente dopo alcuni mesi cessarono pure queste inutili sollecitudini, e non restò che l’obbligo di tenere affisso in luogo visibile della bottega il prezzo che ciascuno assegnava alle singole qualità di pane.
La libertà di panificare a conto e rischio dell’industrioso, fu così assicurata, e confusa col libero corso nel movimento oscillatorio di ogni altra merce, e derrata. Si aperse l’adito alla concorrenza, e si accrebbe il numero dei forni. Si sviluppò la squisitezza del gusto, e si ampliò, e migliorò il numero, e le qualità di pane, come furono introdotti alcuni sistemi nuovi di lavorazione. Ciascun fornaio, come ogni altro negoziante, attendeva ad ottenere il maggiore smercio di pane da cui il reale guadagno, e da ciò la nettezza, la pulizia, l’eleganza dei fondachi, la bontà il minor prezzo possibile della merce. Aperti crediti alle fonti bancario, raddoppiarono il capitale dei loro negozii, e con questo sovvennero i venditori di seconda mano; e così offersero ad altri un mezzo d’industria. Con lo stesso mezzo favorirono l’importazione dei grani, e via via si adopravano a cuoprire un bisogno dello stato tanto doppiamente sentito, quanto più la pastorizia va coprendo intieramente il posto dell’industria agricola. Ampliato il capitale e il suo circolo di azione, poterono i fornai far fronte ai maggiori bisogni, che sentiti in seno di ogni famiglia pel naturale sviluppo di estimazione di tutte le cose, redarguiti sul lavoro degli uomini, portarono a prezzo più elevato la fatica.
Per tal modo i fornai venivano servendo la società e il governo; trattenevano i lavoratori dagli scioperi, aprivano un’industria ai terzi; sostenevano il credito della Piazza, cuoprivano un bisogno dello Stato, e colle copiose provviste di grano impedivano ai consumatori di sentire l’aggravio degli aumenti dei grani quando insorgevano per accidentali cagioni di commercio.
In mezzo a questo stato di cose salgono al Magistrato del Campidoglio uomini nuovi; ed ecco altra potenza di mente, altri moti di cuore dominare la prudenza del Rettorato Municipale di Roma. Si vagheggiano le aspirazioni plebee, si studia la pedagogia delle leggi economiche sul pregiudizio popolare, si provoca nuovamente il sistema della tariffa impegnandovi l’Autorità Suprema, e il 16 Decémbre 1865 una Notificazione Municipale ne annunziava l’ordinamento. L’impressione che ne ebbero i fornai fu quella di una mano di gelo che afferra le spalle di un uomo sudante. L’immaginazione del passato gli si dipinse nella mente dietro il velo dell’avvenire, e n’era d’onde ... Pure in dieci anni mai v’era stato abuso di libertà perchè fa concorrenza dei fornai è numerosa oltre il consumo di pane che occorre in Roma. Di salubre e buona qualità si aveva il pane da baiocc. 18 20 22 24 25 26 27 e 28 la decina, nè v’era nel mercato alcuno di quei disordini che meritassero l’intervento governativo.
Il giorno 25 Decembre 1865 sacro al S. Natale, si applicò la 1.ma tariffa che assegnava i prezzi alla 1.a 2.a e 3.a qualità di pane in baiocchi 27 21 19 e baioc. 33 ogni 10 libbre anche di pagnottelle, restandone esclusa ogni altra specie. Per lai modo tornò a vedersi organizzalo un sistema di tariffare il pane sulle busi di quello anteriore al 1848, che è quanto dire, sulle norme del sistema del 1838, che fu copiato all’incirca su quello del 1816, comechè cinquantanni del secolo decimonono non avessero progredito pell’intelligenza dell’economia politica tanto poco da saper fare un calcolo sulle maggiori spese. Ma tralasciamo la fatua importanza, la ridicola necessità, e la nulla sapienza civile di quest’atto condannato col breve riassunto dei dati della storia discorsa, e lasciamo che il pubblico potere, il buon senso, ed il tempo ne facciano la dovuta giustizia. Passiamo al secondo paragrafo dove si conoscerà pur troppo quanto l’attuale Municipio Romano sia rimasto indietro ai progressi della nostra scienza ed arte tecnologica.
- ↑ I fallimenti dei fornai in quest’anno giunsero per attestazione pubblica a non meno di sedici.
- ↑ «Nel 1854, e precisamente il 18 Gennaio, venne ad aggiungersi un altro dannoso inconveniente col dare esecuzione ad un progetto che è degno di essere ricordato per lo meno come un atto di carità infruttuosa perchè male ordinata. Erano i grani in sul prezzo di scudi 14; il Municipio soccorso da mano beneficiente acquistò molte centinaia di rubbia di grano, e scelti dodici, o quattordici forni sparsi per le varie regioni di Roma, e a questi somministrando il grano a dato costo, esigeva che vendessero il pane a baiocchi 28, e dopo poco tempo anche a baj. 23, ritenendosene egli l’amministrazione. Quali fossero le conseguenze di questa istituzione in aspetto pietoso, facilmente l’immagina chi ha sentore di ciò che è economia politica. Il prezzo sul mercato delle merci tende a livellarsi, e fu perciò che i fornai che lavoravano a proprio conto dovettero, malgrado l’esistenza delle tariffe, livellare il prezzo del pane che fabbricavano al di sotto della tariffa stessa, per sostenere meno enormemente le spese di fabbricazione che gli avrebbero divorato i capitali colla diminuitone del lavoro. Alla line dei conti chiusa l’amministrazione, ciò che fu nel 30 Giugno di do anno, una somma intengissima si trovò andata in amorosa perdita fra le mani del Municipio, alla quale dovettero tener conto tutti i fornai, ad eccezione di quelli che ajutarono l’impresa caritatevole.