Il podere (Tozzi)/XX
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XX.
Il tipografo Corradino Crestai, detto Ciambella, non aveva pensato a sposare Giulia altro che dopo la morte del Selmi; benchè l’avesse conosciuta parecchio tempo prima in casa di Fosca. Non ne era nè meno innamorato; ma, tra le ottomila lire che gli avrebbero fatto comodo, e l’amicizia che s’era raffermata per la circostanza del processo, egli credeva di doversene innamorare. Lavorava in una piccola e vecchia tipografia, dove c’era una macchina sola; che un uomo robusto mandava, facendo girare una gran ruota.
Qualche giorno prima dell’udienza, Fosca gli aveva detto:
— Perchè non viene tutte le sere a casa nostra?
Egli rispose:
— Ho paura di dare noia. Così, dopo mangiato, me ne vado subito a letto. Ma da stasera, verrò.
Giulia lo fece mettere a sedere e gli domandò se ora si sentiva bene; perchè, una volta, gli capitava di svenire durante la giornata. Egli rispose tutto contento:
— Mi sembra di ringiovanire.
Ma, poi, all’infuori di quelle ottomila lire, non trovarono altro da parlare. Egli ci faceva anche più assegnamento di lei, e le assicurò che le avrebbe avute certamente.
— Stia tranquilla, se glielo dico io! Non mi sono mai sbagliato. Ho sempre capito come vanno a finire le cose. Quel pazzo, se avesse giudizio dovrebbe venire magari da me e dirmi: senta, Ciambella: io con la Cappuccini non ci voglio parlare, perchè ormai m’è entrato questo capriccio nella testa; vengo, perciò, da lei; e la incarico di darle quel denaro che Giulia m’ha chiesto. Io lo accoglierei come se fossimo amici, prenderei il denaro; e tutto sarebbe finito.
Giulia disse, battendosi le nocche sul capo:
— Crede che lui sarebbe capace di fare così?
— Perchè, ormai, non sa che pesci prendere.
— E perciò m’ha costretta ad andare per i tribunali!
E si tirò su le maniche.
— Bel galantuomo, a costringere una ragazza a far queste cose!
— È una vergogna.
— Ma glielo vorrei far capire io. Gli direi: ho quarant’anni e non ho mai avuto da litigare con nessuno, ma so come ci si deve contenere con gli altri! Lei, invece, non sa nè meno quando i polli vanno a letto!
Giulia si mise a ridere:
— È vero! È vero! Dice bene! Fa proprio il suo ritratto!
Ma ella, per stare alla verità, non trovava il suo fidanzato molto faceto, e rideva più per convenienza che per altro.
Ciambella, invece, credeva di dare nel segno; molto lontano dal pensare che Giulia non avesse bisogno di essere consigliata da lui.
La stanza era così bassa che con le punta delle dita si potevano toccare i travicelli; era intonacata di giallo, con attorno una fascia di fiori rossi che parevano tante creste di galletto. Dalla trave di mezzo, pendeva un lume a petrolio. Fosca che non stava quasi mai nella stanza, perchè aveva da medicare la bambina più piccola, per non farsi vedere dal tipografo, s’era chiusa in cucina.
Ciambella fumava, mandando il fumo su per aria, piano piano, e poi restava con la testa un poco rovesciata indietro, piegando in giù la punta degli occhi per guardare Giulia; che accavallava una gamba sopra un’altra o le rimetteva in terra. Egli non aveva mai passato un’ora con una contentezza simile; e disse: — Domani, ho da fare parecchio; ma in certe giornate, la fatica non si sente più.
Giulia sospirò e arrossì; poi, disse:
— Mi ha detto la zia che lei avrebbe pensato a me...
E si fece sempre più rossa, proseguendo:
— Ma non è possibile. Non perchè io abbia un altro impegno...
Ciambella scosse la cenere del sigaro; e rispose:
— E, allora, c’intenderemo, invece. Non c’è fretta. Ne parleremo un’altra volta. Domenica, magari, andiamo a fare due passi in campagna; e ne parleremo allora.
— Come vuole!
Egli ripetè:
— Non c’è nessuna fretta.
Poi sorrise, e aggiunse:
— Quando si sa che tanto lei che io siamo d’accordo! Non ci sarebbe né meno bisogno di dire niente!
La ragazza, allora, si alzò e chiamò Fosca perchè egli salutasse anche lei. Quando le due donne furono restate sole, la zia chiese:
— Che ti diceva?
Giulia fece una risata stizzosa:
— Niente.
— Ma... ti piace?
— In seguito, forse, mi piacerà di più. Ma, tanto, della bellezza a me non importa niente. Nè meno io, del resto, sono bella. Alla sua età, sarò peggio di lui. A me basta che mi voglia bene.
— Quello è l’uomo per te.
— Forse!
Ma ella aveva tutt’altri sentimenti che quelli di una fidanzata: desiderava di vincere la causa e non altro.
La domenica, andarono all’osteria del Giuggiolo; fuor di Porta San Marco. Fosca aveva portato soltanto Jolanda, per non essere in troppi. Tirava vento, e c’era un polverone che si alzava sopra le colline; imbiancandole e attaccandosi alle siepi della strada. Giulia si pigiava il fazzoletto su la faccia. Ciambella si voltava dietro finché non era passata la polvere, tenendosi il cappello perchè non glielo portasse via il vento; e Fosca tappava gli occhi alla bambina.
Poi, tutti e tre tossivano; riaprendo gli occhi appena passato quel fastidio.
La strada, dalla Porta, scende sempre di più; benché volti continuamente tra i campi di tre colline. Se ne vede un pezzo giù nella vallata dove c’è un ponte; e poi risale verso la Costalpino. Di là dalle tre colline s’allontana una gran pianura; e si rialza, a poco a poco, fino a una montagnetta lunga e turchina; dietro alla quale levan la testa i monti della maremma; a file sempre meno colorite. La pianura, nell’ombra, era violacea; e, dove batteva il sole, pareva gialla. L’osteria del Giuggiolo si trova a mezza scesa, tra certe case di contadini costruite lì a strapiombo e rinforzate con sproni di mattoni che le fasciano da tutte le parti. Alle finestre, c’erano i geranii e i garofani; e, sotto, un piazzaletto, un poco più alto della strada, con due acacie dinanzi alla porta; e, all’ombra dei loro rami, due tavolini di legno, imporriti, che avevano un odore come quello dei funghi.
Giulia e Ciambella, senza volere, si trovavano sempre a fianco; qualche passo innanzi alla zia; ma, allora, non si parlavano e si fermavano ad aspettarla. Sorridevano dell’aria che avevano e dei pensieri che si sentivano, come due giovinetti che fanno la prima volta all’amore. Il Crestai, rasato, aveva una ciarpa quasi nuova: il solino, è vero, sfilaccicato; ma uno migliore, nel canterano, non ce l’aveva e s’era scordato di comprarlo. Giulia s’era messa una rosa, e portava i guanti di filo bianco.
Quando si posero a sedere, facendosi portare il pane e il salame sopra un foglio di carta, con un litro di vino, il tipografo parlava ancora più a Fosca che alla ragazza. C’era un grande odore di sambuchi, che veniva dalla siepe della strada; e i loro fiori si sbriciolavano nella polvere. Le api ronzavano. Fosca chiese:
— Non vi date del tu? O che aspettate? Il tipografo rispose:
— Veramente, è tutta la strada che ci penso!
Giulia disse:
— Se dobbiamo cominciare da ora, io sono contenta! Benchè, in principio, sbaglieremo.
Ciambella disse:
— Allora facciamo un brindisi!
E bevvero tutti e tre, guardandosi e ridendo perchè il vino alle donne andava attraverso.
Una cieca, che una bambina trascinava per il vestito, si avvicinò e chiese Telemosina. Il tipografo, che non aveva mai dato niente a nessuno, le dette tre soldi: un soldo per conto di ciascuno.
Tutti e tre sentivano il desiderio di vivere in campagna. Giulia si ricordò della Casuccia, allungò il viso come se avesse potuto vederla; e gli occhi le si arrossarono; ma nessuno se ne accorse. Guardavano tutto e la gente che passava; tenendo immobile la persona e girando la testa. Giulia disse perfino:
— Li avessi io, alla finestra mia, quei geranii e quei garofani!
Il tipografo sentiva che ella parlava meglio di lui; e, per non fare brutta figura, avrebbe voluto raccontare qualche cosa della sua giovinezza. Ma gli pareva che non ci fosse nulla di adatto e di bello per lei. E non era lo stesso come quando stava insieme con gli amici! Sentiva il bisogno di stringerle una mano; e, quando un uomo con la chitarra si mise a cantare nel mezzo della strada, ci mancò poco che non si alzasse a cantare come lui; mentre il desiderio sensuale della vita gli faceva lustrare gli occhi e la pelle floscia della faccia. Come aveva fatto bene a testimoniare nel processo! Allora, disse:
— Sono poche!
Le due donne capirono che egli parlava delle ottomila lire di Remigio; e Giulia ebbe, per la prima volta, un pensiero che somigliava all’amore; per la prima volta, i loro occhi si compresero fino in fondo. Quando tornarono verso casa, il vento era smesso; e i cipressi stavano fermi.
Nè meno ora si presero a braccetto. Ella era molto stanca, e, quando arrivò in cima alla salita, dovette fermarsi. Fosca si mise a sedere sopra un greppo. Intanto, s’era fatto oscuro, e le montagne della maremma non si vedevano più; mescolate con la nebbia cinerea del cielo. Monistero s’era fatto di un rosso più cupo.
Il Crestai pareva davvero ringiovanito, e pensava di sposarsi molto presto; appena che ella avesse vinto la causa.
Dal giorno dopo, cominciò a darsi d’ attorno anche lui; accompagnando Giulia quando andava dall’avvocato. Tutte le volte che si vedevano, non parlavano d'altro; sicuri di farsi piacere. E credevano che tutti i loro conoscenti facessero lo stesso.
Fosca, una volta, domandò:
— Non vi siete nè meno baciati?
— Chi ci pensa mai? Ho altro per il capo.
Saremo a tempo.
E la sera disse al tipografo:
— Sai che la zia si è messa a ridere perchè non ci siamo baciati? Lei non sa che prima noi vogliamo pensare ai denari.
Il tipografo restò un poco vergognoso, quasi contrariato; e rispose, per galanteria:
— Ho io la colpa!
Quando restarono un momento soli, disse impacciato di non trovare un modo migliore per giungere al suo scopo:
— Non voglio più che tua zia dica così! Forse, ha ragione!
La prese per la vita e la baciò; ma ella tenne la bocca chiusa e gli disse che non voleva.
Il giorno dopo, andò a trovarlo in tipografia. Era bianca come un cencio lavato e le tremavano le mani. Non riesciva a tenere nè meno i guanti in mano: ora gliene cadeva uno e ora un altro. Il Crestai, attento, glieli raccattava; e, nel chinarsi i suoi orecchi doventavano rossi. Ella gli raccontò che l'avvocato di Remigio aveva fatto rinviare la causa a due mesi; per una di quelle solite astuzie di procedura, che non mancano mai. Ella non se ne dava pace; ed egli incrociò le braccia insieme, s'appoggiò alla macchina; e, a testa giù, riflettè quel che poteva significare questo rinvio. Poi, disse:
— Non mi piace affatto! Sei sicura che il tuo avvocato non si è messo dalla parte di Remigio? Io gli direi: o lei mi fa vincere la causa presto o io ne trovo un altro! Se lui mi rispondesse: abbia pazienza! io gli direi: ne ho avuta anche troppa!
— Ma l’avvocato non ha nessuna colpa.
— E, allora, come si spiega che non sia riescito come ti aveva promesso? Anzi, lo aveva promesso anche a me. Mi aveva detto: stia sicuro, Ciambella!
— Me l’ha spiegato, ma io non ci ho capito quasi niente.
— Ci andremo insieme, stasera.
— Io mi sento più male del solito. Quando me l’ha detto, mi son sentita girare la testa e se non mi tenevo alla maniglia della porta, sarei andata in terra quanto son lunga.
— Ti voglio accompagnare a casa io, perchè potresti cadere per la strada!
— Non posso nè meno respirare.
— Si vede. Mettiti qui a sedere, prima. Quando ti sentirai meglio, andremo. Vuoi un bicchiere d’acqua?
— Se cel’hai qui in bottega, senza che tu vada a cercarla!
— Mando il ragazzo: tu non te ne preoccupare.
Ella appoggiò la testa alla sedia e disse:
— Il mondo è troppo cattivo! Si vive troppo male! Soffrire tutti i giorni e poi perchè? Almeno, ne valesse la pena! Come mi sento male! Ora sto anche peggio! Non credevo che mi venisse uno strappo di nervi così forte! Come mi ha preso anche tutta la testa! Pare che mi ci ficchino i chiodi!
— Tra poco tornerà il ragazzo con l’acqua: ti farà bene.
Ella gli sorrise:
— Spero.
Ma il ragazzo, benché fosse andato vicino, non tornava ancora: forse, s’era messo a ruzzare con qualcuno. Allora, Ciambella andò sulla porta della bottega; per vedere dov’era. Il ragazzo camminava piano, per non versare l’acqua. Gli gridò:
— Spicciati! Non sai né meno portare un bicchiere pieno?
Poi glielo tolse di mano, e fece bevere la ragazza.
— Aspettiamo un altro minuto: vedrai che ti passerà e ripiglierai colore.
— Mi butterò sul letto, così mi riposerò; sono tanto stanca e con le gambe stroncate!
Ciambella, intanto, si era cambiato il vestito. L’aiutò ad alzarsi; e, prendendola sotto il braccio, l’accompagnò a casa. Ella disse:
— Mi pare impossibile che Dio non pensi a gastigare chi m’ha ridotta così: in due mesi sono calata di venti chili!
— Stai sicura: chi fa del male lo riavrà. Il mondo è un peso: quel che è fatto è reso.
— Ho paura, però, di ammalarmi prima!
— E io non ci sono? Andrei da lui, gli prenderei il collo per dirgli: l’hai avuta vinta tu, ma non la godrai.
— Se fossi sicura che, dopo aspettare così, non sarò sfortunata, mi accorerei meno! Ma non mi riesce. Se avessi indovinato che ci voleva tutto questo tempo, avrei avuto la dignità di non chiedere niente! E una pena. Lo so soltanto io.
Ma Ciambella, sorreggendola su per le scale, le disse tra due baci:
— Tu non sei più sola!