Il guarany/Parte Seconda/Capitolo XIV
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CAPITOLO XIV.
LA CANZONE.
Pery vide passar poco dopo Loredano e Ruy Soeiro.
Era la terza volta che gli avventurieri, dopo essere stati nelle sue mani, gli sfuggivano per una specie di fatalità.
L’Indiano riflettè alcuni istanti, e fece una subita risoluzione; modificò interamente il suo disegno.
A principio avea deciso di non assaltare di fronte i tre nemici, non perchè li temesse, ma sul dubbio che, morendo, potessero effettuare a man salva il loro divisamento, il cui secreto egli solo conosceva.
S’accorse ora che non ci avea altro rimedio fuorchè ricorrere a cotesto spediente; il tempo passava, e da un momento all’altro Loredano potea eseguire la sua trama.
Ciò di cui avea bisogno era trovar un mezzo, nel caso che soccombesse, di avvisare don Antonio de Mariz del pericolo che lo minacciava; questo mezzo erasi già presentato al pensiero dell’Indiano.
Recossi da Alvaro che lo aspettava.
Il giovane già era in preda ad altre preoccupazioni; pensava a Cecilia, alla sua affezione troncata, alla sua più dolce speranza inaridita e forse spenta per sempre.
Talvolta presentavasegli pure allo spirito l’immagine malinconica d’Isabella; e ricordavasi che ella pur amava, e non era riamata.
Questa riflessione creava un certo vincolo fra lui e la fanciulla; ambedue soffrivano per la stessa causa, ambedue provavano il medesimo affanno, e ne traevano il medesimo disinganno.
Dipoi sorgeva l’idea, esser lui che Isabella amava, e, senza volerlo, riandava nella memoria quelle parole sì piene di sentimento, rivedea quel sorriso languido, quegli sguardi di fuoco, che la mestizia rendeva sì teneri e dolci.
Pareagli di sentir ancora l’alito profumato della giovane, la pressione del capo di lei svenuto sulla sua spalla, il contattò delle sue mani, e l’eco di quei lamenti mormorati con voce tanto compassionevole.
Il cuore gli palpitava con una violenza straordinaria; e dimenticava tutto per contemplare unicamehte quella bella immagine, d’un bruno soave; quel tipo brasiliano, cui l’amore dava un riflesso e una splendida aureola.
Ma di repente trasaliva, come se la giovane gli stesse ancora da lato; passava la mano sulla fronte per istrapparne quelle rimembranze che lo tenevano a disagio, e tornava all’indifferenza di Cecilia e al disinganno delle sue speranze.
Quando Pery si avvicinò, Alvaro trovavasi in uno di quegli istanti di tedio e sazietà di vita, che succedono ai dolori profondi.
— Dimmi, Pery: parlasti di nemici?
— Sì, rispose l’Indiano.
— Voglio conoscerli.
— Perchè?
— Per andarli ad affrontare.
— Ma sono tre.
— Meglio.
L’Indiano esitò un istante.
— No; Pery vuole combatter da solo i nemici della sua signora; se morrà, saprai tutto: finisci allora quello che Pery avrà cominciato.
— Perchè questo mistero? Non mi puoi dir fin d’ora quali sono questi nemici?
— Pery lo può; ma non vuol dirlo.
— Perchè?
— Perchè tu sei buono; e pensi che pur lo sieno gli altri; tu difenderesti i malvagi.
— Ti prometto di no. Dimmi i loro nomi.
— Odimi. Se Pery non compare domani, nol rivedrai più: ma l’anima di Pery ti dirà i loro nomi.
— In che modo?
— Lo vedrai. Sono tre uomini; vogliono oltraggiare la signora, uccidere suo padre, te, tutti quelli della casa. Hanno altri che li secondano.
— Una rivolta!... sclamò Alvaro.
— Il capo di loro vuol rapir Cecy, che tu ami; ma Pery nol permetterà.
— È impossibile! disse il giovane maravigliato. T’inganni.
— Pery ti dice il vero.
— Non posso prestarvi fede!...
In fatti il cavaliere, che attribuiva la diffidenza dell’Indiano a una di quelle esagerazioni generate dall’estrema devozione per la figlia di don Antonio, non potea prestar fede ad un delitto orribile di quella fatta; la sua dirittura d’animo respingeva la possibilità di un tale attentato.
— Il fidalgo era amato e rispettato da tutti gli avventurieri: giammai negli otto anni trascorsi dal giovane al suo fianco era accaduto nella banda un solo atto d’insubordinazione contro la persona del capo; vi furono falli di disciplina, risse fra i compagni, tentativi di diserzione; ma non più di questo.
L’Indiano sapeva che Alvaro sarebbe molto difficile a credere quanto dicevagli; ed era per ciò che ostinavasi a custodir parte del secreto, sospettando che il giovane da leale cavaliere non prendesse la difesa dei tre avventurieri.
— Tu dubiti di Pery?
— Chi fa un’accusa come questa, è tenuto a provarla. Tu sei un amico; ma gli altri pur lo sono, e hanno diritto a difendersi.
— Quando un uomo sta per morire, tu giudichi che possa mentire? dimandò l’Indiano con fermezza.
— Che vuoi dir con ciò?
— Pery va a vendicare la sua signora; va a separarsi da tutto ciò che ama; se perderà la vita, dirai ancora che s’inganna?
Le parole dell’Indiano fecero grave impressione sopra Alvaro.
— Non sarebbe meglio che tu parlassi a don Antonio de Mariz?
— No; egli e tu siete atti a combattere uomini che assaltano di fronte; Pery sa cacciare la tigre nella foresta, e uccidere il serpente che sta per avventare il colpo.
— Ma dunque che vuoi da me?
— Che se Pery muore, abbi fede in quello che ti dice; che faccia quello ch’egli fece; che salvi la signora!
— Assassinare?... Giammai, Pery; giammai il mio braccio brandirà il ferro altrimenti che contra il ferro!
L’Indiano gettò sul giovane un’occhiata che brillò nelle tenebre.
— Non ami Cecy? Alvaro trasalì.
— Se tu l’amassi, uccideresti tuo fratello per liberarla da un pericolo.
— Pery, forse non comprendi quello che ti dico. Darei, senza esitare, la mia vita per Cecilia; ma il mio onore appartiene a Dio nel cielo, e alla memoria di mio padre.
Questi due uomini si guardarono un momento in silenzio; ambedue avevano la stessa grandezza d’animo, lo stesso coraggio elevato fino all’eroismo, la stessa nobiltà di sentire; e frattanto le condizioni della vita li ponevano in contrasto.
In Alvaro, l’onore, quello spirito di lealtà cavalleresca, dominava sopra tutte le sue azioni; non ci era affezione o interesse che potesse spezzare quella linea invariabile che si avea tracciato, e ch’era la linea del dovere.
In Pery la devozione vincea tutto; vivere per la sua signora, creare attorno di lei una specie di providenza umana, era la sua vita; egli sacrificherebbe il mondo, se fosse possibile, solo per potere, come il Noè indiano, salvare un palmizio per ricoverarvi Cecilia.
Tuttavia quelle due tempre, una figlia della civiltà, l’altra della libertà selvaggia, ancorchè separate da una distanza immensa, comprendevansi: la vita avea tracciato loro un cammino differente; ma Dio avea infuso nei loro animi lo stesso germe di forza e di vigore, che alimenta i grandi sentimenti.
Pery si accorse che Alvaro non cederebbe; Alvaro sapea che Pery, malgrado il suo rifiuto, compirebbe esattamente ciò che avea deliberato.
A principio l’ostinazione del cavaliere parve aver fatto impressione sull’animo dell’Indiano; ma poscia egli rizzò alteramente il capo, e battendo colla mano sul suo largo e vigoroso torace, disse con un accento d’energia ammirabile:
— Pery solo difenderà la signora: non ha bisogno di alcuno. È forte; reca come l’uccello le ali nelle sue freccie; come il serpente a sonaglio il veleno nelle sue saette; come la tigre la forza nel suo braccio; come lo struzzo la celerità nel suo corso. Solo può morire una volta; ma una vita gli basta.
— Ebbene, amico, rispose il cavaliere nobilmente, tu vai a compire il tuo sacrifizio; io adempirò al mio dovere. Reco pure una vita e la mia spada. Farò dell’una l’ombra di Cecilia; coll’altra traccerò attorno di lei un cerchio di ferro. Puoi star certo che i nemici che passeranno sopra il tuo corpo, passeranno pure sul mio, prima di arrivare a quello della tua signora.
— Tu sei grande; potevi nascere nel deserto ed esser re delle foreste; Pery ti chiamerebbe fratello.
Si strinsero la mano e si avviarono verso casa; cammin facendo Alvaro pensò che ancora non conosceva gli uomini contro i quali dovea difendere Cecilia, e chiese i loro nomi; Pery ricusò formalmente, e promise che il cavaliere li saprebbe a suo tempo.
L’Indiano avea le sue buone ragioni per operar così.
Giunti a casa, si separarono; Alvaro si diresse alla propria stanza; Pery incamminossi verso il giardino per veder Cecilia.
Erano allora ott’ore di notte: tutta la famiglia trovavasi riunita a cena; la stanza della fanciulla era senza luce.
Pery esaminò i dintorni per vedere se ogni cosa era queto e tranquillo; e dopo quell’esame scrupoloso si assise sopra una panca del giardino e aspettò.
Mezz’ora dopo una luce rischiarò la finestra della camerale la porticina aprendosi lasciò vedere il corpicino grazioso di Cecilia, che risaltava nel vano illuminato.
La fanciulla, scorgendo l’Indiano, corse alla sua volta.
— Mio buon Pery, diss’ella; tu soffristi molto oggi, non è vero? E trovasti la tua signora cattiva, ben ingrata, per ordinarti di partire! Ma ora, mio padre il disse, rimarrai con noi sempre.
— Tu sei buona, signora: tu piangevi quando Pery si accingeva a partire; tu implorasti per lui.
— Dunque non sei in collera con Cecy? disse la fanciulla sorridendo.
— Lo schiavo può esser in collera colla sua signora? dimandò l’Indiano ingenuamente.
— Ma tu non sei schiavo!... rispose Cecilia con un gesto di contrarietà; tu sei un amico sincero e devoto. Mi salvasti la vita due volte; fai l’impossibile per vedermi contenta e soddisfatta; ti esponi tutti i giorni a morire per cagion mia.
L’Indiano sorrise.
— Che vuoi che Pery faccia della sua vita, signora?
— Voglio che ami la sua signora; che le obbedisca; che apprenda ciò che ella gl’insegnerà. per essere un cavaliere come suo fratello don Diego e il signor Alvaro.
Pery crollò il capo.
— Ascolta, continuò la fanciulla con una grazia incantatrice; Cecy va ad apprenderti a conoscere il Signore del cielo, a pregare, a leggere piacevoli storie. Quando tu saprai tutto questo, essa trapunterà un manto di seta per te; tu porterai una spada al fianco e una croce sul petto. Che ne dici?
— La pianta ha bisogno del sole per crescere; il fiore ha bisogno dell’acqua per aprire il suo calice; Pery ha bisogno di libertà per vivere.
— Ma tu sarai libero; tu sarai nobile e forte, come mio padre!
— No, signora; l’uccello che vola nell’aria cade, se gli si tarpano le ali; il pesce che guizza nel fiume muore, se è gettato sul terreno; Pery sarebbe come l’uccello e come il pesce, se tu gli troncassi le ali, se lo togliessi dalla vita in cui nacque.
Cecilia battè col piede in segno d’impazienza.
— Non andar in collera, signora.
— Tu non fai quello che Cecy ti chiede?... Ebbene Cecy non ti guarderà più; non si trastullerà più teco; non ti chiamerà più suo amico. Mira: non mi curo più del fiore che tu mi desti.
E la fanciulla, guastando colle dita il fiore che si trasse dai capelli, corse alle sue stanze e battè la porta con violenza.
L’Indiano ritirossi mesto alla sua capanna.
D’improvviso udì nel silenzio della notte elevarsi una voce argentina, che cantava un’antica canzone portoghese, con un sentimento e un’espressione incantevole.
I dolci suoni di un chitarrino spagnuolo accompagnavano quella musica originale e graziosa.
La canzone diceva così:
Fu già un tempo: un prence more
Lasciò
Sua magion d’argento e d’oro.
Salì in groppa al suo corsiero,
Partì
Senz’un paggio, uno scudiero.
D’un castello al barbacane
Giunse,
E a sua eccelsa torre immane.
Ivi ai pie di quella ch’ama,
Giurò
Fedeltade alla sua dama.
Sorridea la bella diva;
Che mai
Si mostrò ritrosa e schiva.
Tu sei moro; io son cristiana:
Disse
La vezzosa castellana.
Moro, ti do il mio amore;
Cristian,
Sarai mio nobii signore.
La sua voce era un incanto;
L’occhio,
Languidetto, chiedea tanto!
Per l’addietro assai potente
Fui re:
Schiavo or sono di tua mente.
Per te lascio la mia reggia
Fedel;
La più vaga che il sol veggia.
Per te lascio il paradiso;
Mio ciel
E il divino tuo sorriso.
E la donna a tanto affetto
Lieta,
Un monil trasse dal petto.
E le due alme cristiane
Un bacio
Sulla croce fè germane.
La voce blanda e soave si perdette nel silenzio dell’eremo; l’eco ripetè un istante le sue dolci modulazioni.
fine della seconda parte.