Il guarany/Parte Seconda/Capitolo XIII
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CAPITOLO XIII.
IL CONCLAVE.
È d’uopo far ritorno al luogo ove lasciammo Loredano e i suoi due compagni.
Loredano, dopo che Alvaro e Pery si furono allontanati, alzossi; e passata la prima emozione, provò un accesso di rabbia e di disperazione in vedersi sfuggire di mano i suoi due nemici.
Gli venne un istante il pensiero di chiamare i suoi complici e assaltare il cavaliere e l’Indiano; ma quest’idea svanì subito: l’avventuriere conosceva gli uomini che lo seguivano, e sapeva che potea farne degli assassini, ma non mai degli uomini di energia e risoluzione.
Ora i due nemici che dovea combattere erano formidabili; e Loredano ebbe tema di mettere in compromesso ancora più la sua causa, già molto a mal partito.
Si ruminò quindi in silenzio la propria rabbia, e cominciò a riflettere al modo di uscire dalla posizione scabrosa in cui si trovava.
In questa Ruy Soeiro e Bento Simoes venivano accostandosi, peritosi per quello che avean veduto, e colla tema del minimo accidente che potesse viepiù intricare la loro condizione.
Loredano e i suoi due compagni si guardarono un istante in silenzio; ci avea negli occhi di questi ultimi un’interrogazione muta, inquieta, cui rispondeva perfettamente il volto pallido e contratto del primo.
— Non era desso!... mormorò Loredano con voce sorda.
— Come lo sapete?
— Se lo fosse stato, credete voi che mi avrebbe lasciata la vita?
— È vero; ma chi fu dunque?
— Nol so; adesso però poco importa. Chiunque egli siasi, è un uomo che sa il nostro secreto, e che può denunciarlo, se già nol fece.
— Un uomo?... mormorò Bento Simoes, che fin là era rimasto silenzioso.
— Sì; un uomo. Volete che sia un’ombra?
— Un’ombra no, ma uno spirito! riprese l’avventuriere.
Loredano sorrise di dileggio.
— Gli spiriti han ben altro a fare che occuparsi delle cose di questo mondo; serbatevi le vostre superstizioni, e pensiamo seriamente al partito che dobbiamo prendere.
— Quanto a ciò, Loredano, scusatemi; nissuno mi toglie dal capo che in tutto questo non ci sia una causa soprannaturale.
— Volete tacere, stupido pinzocchero! replicò Loredano con impazienza.
— Stupido!... Stupido siete voi, che non vi accorgete che non ci poteva essere orecchio d’uomo ad udire le nostre parole; nè voce umana che uscisse dalla terra. Venite! Voglio mostrarvi se quanto dico non è il vero.
I due avventurieri accompagnarono Bento Simoes e ritornarono alla macchia di cardi, ove poc’anzi avean fatto combriccola.
— Andate, Ruy, e parlate a gola squarciata per vedere se Loredano ode una parola qualsiasi.
In fatti l’esperienza mostrò quello che già Pery avea scoperto; che cioè il suono della voce, rinchiuso fra quella specie di tubo, elevavasi e si perdeva nell’aria, senza che dai lati si potesse intendere un solo suono distinto.
Ma se Loredano si fosse collocato sopra il formicaio, che penetrava fino al punto ove poc’anzi stavano seduti, avrebbe trovata la spiegazione di tutta la scena passata.
— Adesso, disse Bento Simoes, entrate; io griderò e vedrete che la parola vi passerà sul capo e non uscirà da terra.
— Di questo poco mi cale; rispose Loredano. L’altra osservazione, sì, mi rende tranquillo. L’uomo che ci minacciò non udì; diffida soltanto.
— Ancora persistete in volere che sia un uomo?
— Ascoltate, amico Bento Simoes; vi ha una cosa di cui ho più paura che di una serpe; ed è di una persona visionaria.
— Visionaria! Dite credente!
— L’una val l’altra. Visionaria o credente, se mi parlate altra volta di spiriti e miracoli, vi prometto che rimarrete in questo luogo a servir di pasto ai corvi.
L’avventuriere abbrividì; non era l’idea della morte che facevagli orrore, sì la pena eterna, che secondo una credenza religiosa soffrono le anime, i cui corpi restano insepolti.
— Ci pensaste?
— Sì.
— Ammettete che fosse un uomo?
— Ammetto tutto.
— Lo giurate?
— Lo giuro.
— Sopra...
— Sopra la mia salvazione.
Loredano lasciò andare il collo di quello sciagurato, che cadde in ginocchio chiedendo a Dio, che offendeva, perdono dello spergiuro che commetteva.
Ruy Soeiro tornò; e proseguirono taciturni il cammino che aveano fatto; Loredano pensieroso e i suoi compagni a capo basso.
Sedettero al rezzo di un albero; quivi si arrestarono quasi un’ora, senza sapere ciò che dovessero fare o potessero sperare.
La loro condizione era scabrosa; accorgevansi di essere in uno di quei frangenti della vita, ove un passo, un moto precipita l’uomo nel fondo dell’abisso, o lo salva dalla morte che gli sta sopra.
Loredano ponderava la cosa con quell’energia e risoluzione, che mai non l’abbandonava nei casi estremi; il suo spirito era in preda a una lotta violenta.
Quest’uomo non avea che un sentimento, una fibra, una fonte di vita; era quell’ardente sete di godimenti, quella sensualità esacerbata dall’ascetismo del chiostro, e dall’isolamento del deserto.
Compresso fin dall’infanzia, il suo organismo si espandeva con una forza straordinaria nel mezzo di quel paese vigoroso, di quell’aria pura e sotto i raggi di quel fervido sole che faceva ribollire il sangue.
Sotto l’impero degl’istinti materiali, l’immaginazione di quest’uomo si avea creato due desiderii, che eccitandosi, svolgendosi, concentrandosi, si erano convertiti in due passioni violente.
Una era la passione dell’oro; quella speranza di poter un giorno deliziarsi nella contemplazione di quel tesoro favoloso, che come Tantalo stava per toccare e gli fuggiva di mano.
L’altra era la passione dell’amore; quella febbre che gli bruciava il sangue al vedere quella fanciulla sì innocente, sì candida, che parea non dovesse inspirare se non affezioni caste e pure.
La lotta che in quel momento lo agitava, era fra queste due passioni. Dovea fuggire e salvare il suo tesoro, perdendo Cecilia? Dovea rimanere e arrischiare la vita per saziare il suo sfrenato appetito?
Talvolta dicea seco che gli basterebbe la ricchezza per potersi scegliere nel mondo una donna che l’amasse; tal’altra pareagli che l’universo intero senza Cecilia sarebbe deserto, e che non saprebbe che farsi dell’oro che fosse per acquistare.
Alla fine alzò il capo. I suoi compagni aspettavano una sua parola come una tavola di salvezza; preparavansi ad udirla.
— Soli due partiti ci restano a prendere; o entrare in casa, o fuggire di qua subito; occorre risolvere. Che ne pensate?
— Penso, disse Bento Simoes, ancora trepidante, che dobbiamo fuggir quanto prima, e correre dì e notte senza arrestarci.
— E voi, Ruy, siete dello stesso avviso?
— No; fuggire è quanto denunciarci e perderci. Tre uomini soli in questo deserto, obbligati a fuggire i luoghi abitati, non possono vivere; abbiamo nemici da ogni parte...
— Che proponete dunque?
— Di entrare in casa come se nulla fosse accaduto; che se fossimo scoperti, in tal caso ancora mancano le prove per condannarci; se ignorano tutto, non corriamo alcun rischio.
— Avete ragione, disse Loredano; dobbiamo tornar indietro: è in questa casa che sta la nostra fortuna o la nostra disgrazia. Siamo ormai a tal partito, che ci è forza o guadagnar tutto o perder tutto.
Seguì una lunga pausa, durante la quale Loredano riflettè di nuovo.
— Su quanti uomini potete contare, Ruy? dimandò egli.
— Sopra otto.
— E voi, Bento?
— Sette.
— Devoti?
— Pronti al menomo segnale.
— Bene: disse Loredano col piglio di un generale che sta disponendo un piano di battaglia; domani a quest’ora conducete ciascuno la vostra gente; occorre che a notte tutto sia concertato.
— E adesso che cosa dobbiam fare? dimandò Bento Simoes.
— Aspetteremo che imbrunisca; sul far della notte arriveremo a casa. Uno di noi, tratto a sorte, entrerà il primo; se tutto è tranquillo, ne darà avviso agli altri. Così se uno si perde, due almeno avranno ancora speranza di salvarsi.
Gli avventurieri decisero di passar la giornata nel bosco; un po’ di caccia, alcuni frutti silvestri somministrarono loro una semplice ma abbondante refezione.
Intorno alle cinque della sera determinarono di avvicinarsi alla casa, per esplorare quanto avveniva, ed effettuare il loro disegno.
Prima di partire Loredano caricò la sua carabina, ordinò a’ compagni di far altrettanto, e disse loro:
— Badate bene a quello che dico. Nella difficile condizione in cui ci troviamo, chi non è nostro amico è nostro nemico. Può essere una spia, un accusatore, e in ogni caso sarà in appresso un uomo di meno a combattere.
I due compagni compresero perfettamente la giustezza di quell’osservazione, e gli tennero dietro colle pistole armate, l’occhio in guardia e l’orecchio teso.
Non ostante la loro attenzione, non videro agitarsi le foglie a due passi di distanza, e stendersi per gli arbusti un’ondulazione tanto lieve, che parea prodotta dall’alito del vento.
Era Pery, che da un quarto d’ora accompagnava gli avventurieri, come la loro ombra; l’Indiano avea avvertito alla loro assenza, e congetturando qualche trama, si era messo sulle loro orme, e li avea trovati.
Loredano e i suoi due compagni camminavano già da qualche tempo, quando Bento Simoes si arrestò.
— Chi entrerà il primo?
— La sorte deciderà, rispose Ruy.
— In che modo?
— In questo; disse Loredano: vedete quell’albero? Il primo che giungerà a toccarlo sarà l’ultimo a entrare; e l’ultimo sarà il primo.
— Sta bene!
Tutti e tre si misero le armi alla cintola, e si apparecchiarono alla corsa.
Pery che li seguiva, come prima udì quello che aveano concertato, prese tosto il suo partito; gli avventurieri stavano per separarsi; come Loredano, egli pure disse fra sè:
— L’ultimo sarà il primo.
E prendendo tre freccie, tese la corda dell’arco; ucciderebbe gli avventurieri senza che l’uno si accorgesse della morte dell’altro.
Si mossero al corso; ma fatti appena pochi passi, Bento Simoes, inciampando, cadde fra i piedi a Loredano, e stramazzò al suolo.
Loredano mandò fuori una bestemmia, Bento gridò misericordia, e Ruy che già avea preso un buon tratto innanzi, tornò indietro a vedere quello che era accaduto.
Il disegno di Pery era andato a vuoto.
— Sapete, disse Loredano, che chi cade si dà per vinto. Sarete il primo, amico Bento.
L’avventuriere non fiatò.
Pery non perdette la speranza di poter cogliere ancora un’occasione favorevole per effettuare il suo disegno, e li seguì. Fu allora che da lungi, fra gli alberi, si accorse di Alvaro, che teneva quasi la stessa linea percorsa dagli avventurieri; e sopra il capo di costoro, scoccando una saetta per elevazione1, gli fe’ segno di arrestarsi.
Di poi facendo rapidamente una giravolta, continuò quella conversazione muta che già notammo, e per cui mezzo ottenne che il cavaliere non fosse veduto.
Lasciando Alvaro, l’intenzione dell’Indiano era di prevenire gli avventurieri, aspettarli vicino alla siepe; e nel separarsi per entrare ad uno ad uno, ucciderli.
Ma parea che una fatalità si attraversasse all’opera dell’Indiano, e proteggesse i suoi nemici.
Quando Bento Simoes, staccandosi da’ suoi compagni, mise il piè entro la siepe, Pery udì in quella direzione la voce di Cecilia, che tornava dal passeggio con suo padre e sua cugina.
La mano dell’Indiano, che giammai avea tremato nel mezzo del combattimento, cadde inerte, e si lasciò sfuggir l’arco alla sola idea che la
saetta, che stava per iscoccare, potesse offendere la fanciulla.
Bento Simoes passò incolume, e salì sullo spianato.
Note
- ↑ Saetta per elevazione. — La destrezza e l’abilità con cui gli Indiani tiravano le freccie, faceva l’ammirazione degli Europei. Tirando per elevazione, si mettevano per terra, assicuravano l’arco co’ due diti del piede e scoccavano la saetta nell’aria, che, salendo, descrivea una parabola e andava a cadere al luogo del bersaglio. Ancora testè, nel Parà, vedeansi in alcune comunità di Indiani catecumeni parecchi di questi giuochi, ove il bersaglio era un tronco di banani sterpato. Il tenente Pimentel, figlio del presidente di Matto-Grosso, fu assassinato in questo modo per viaggio dagli Indiani, nel mentre cavalcava in mezzo a molti cavalieri. Nessuno fu ferito; tutte le saette caddero addosso al giovane, contro cui i selvaggi vollero vendicarsi.