Il guarany/Parte Seconda/Capitolo XI

Parte Seconda - XI. Lo scherzo

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Seconda - XI. Lo scherzo
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CAPITOLO XI.


UNO SCHERZO.

La sera di quella stessa domenica, feconda di tanti avvenimenti, Cecilia e Isabella uscirono del giardino col braccio alla cintola l’una dell’altra.

Erano vestite di bianco; Cecilia era la grazia, Isabella la passione; gli occhi azzurri dell’una scherzavano, i neri dell’altra scintillavano.

Il sorriso di Cecilia era come una goccia di miele o profumo, distillato da’ suoi labbri di corallo; il sorriso d’Isabella era come un bacio ideale, che movea dalla bocca e andava a sfiorare colle sue ali l’anima di coloro che la contemplavano.

Mirando quella bionda fanciulla, tanto graziosa e gentile, il pensiero si elevava naturalmente al cielo, spogliava il suo involucro materiale, e si facea compagno agli angeli di Dio. [p. 120 modifica]

Affisando quella fanciulla bruna, tanto languida e voluttuosa, lo spirito fermavasi sulla terra; dimenticava l’angelo per la donna, e invece del paradiso ricorreva ad alcuno di quei recessi, di quei giardini incantati, ove la vita è un breve sogno.

Nell’atto che uscivano dal giardino, Cecilia guardava sua cugina con una cert’aria maliziosa, che accennava ad alcuno di quegli scherzi che era solita fare.

Isabella, ancora sotto l’impressione della scena del mattino, tenea gli occhi bassi; parevate che dopo quanto era accaduto, tutti, e principalmente Alvaro, le leggessero in fronte il suo secreto, custodito pertanto tempo nel profondo dell’anima.

Frattanto sentivasi felice; una speranza vaga, indeterminata, dilatava il suo cuore, e dava alla sua fisonomia quell’espressione di giubilo, quell’espansione della creatura che si lusinga di esser amata, quell’aureola brillante che ben si può chiamare l’anima dell’amore.

Che cosa sperava? Nol sapea; non poteva definirlo; ma l’aria pareale più profumata, la luce più brillante, al suo sguardo tutto era color di rosa; e quel lieve agitarsi del colletto del suo vestito sul collo morbidissimo cagionavale una sensazione di voluttà.

Cecilia con quel misterioso istinto di donna indovinava, senza comprendere, che alcun che di straordinario avveniva nell’interno di sua cugina; e ammirava quella radiazione di bellezza che splendeva nel suo sembiante. [p. 121 modifica]

— Come sei leggiadra! disse d’improvviso la fanciulla.

E accostando la faccia d’Isabella a’ suoi labbri, v’impresse un bacio soave; la giovane rispose affettuosamente alla carezza di sua cugina.

— Non portasti il tuo braccialetto? sclamò fissando il braccio di Cecilia.

— È vero! rispose la fanciulla con un gesto da cui traspariva un po’ d’imbarazzo.

Isabella giudicò che quel gesto fosse prodotto dalla dimenticanza; ma la vera causa fu la tema che ebbe Cecilia di tradirsi.

— Dobbiamo andare a prenderlo?

— Oh! no! si farebbe troppo tardi, e perderemmo la nostra passeggiata.

— Allora mi traggo il mio: che altrimenti non saremmo più sorelle.

— Non importa; di ritorno ti prometto che compariremo all’intutto sorelle.

Dicendo questo, Cecilia sorrise maliziosamente.

Erano giunte dirimpetto alla casa. Donna Lauriana s’intratteneva con suo figlio don Diego, nell’atto che don Antonio de Mariz e Alvaro passeggiavano sullo spianato conversando.

Cecilia camminò verso suo padre, traendo seco Isabella, che all’avvicinarsi al giovane cavaliere si sentì venir meno.

— Padre mio, disse la fanciulla, io e Isabella vorremmo far una passeggiata. La sera è tanto bella! Se vi chiedessi di accompagnarci assieme al signor Alvaro? [p. 122 modifica]

— Faremmo quello che siamo usi di fare quando chiedi qualche cosa, rispose il fidalgo con galanteria; eseguiremmo i tuoi ordini.

— Oh! ordini, no, padre mio! non è che un desiderio!

— E che sono i desiderii di un angioletto come tu?

— Dunque ci accompagnate.

— Per certo.

— E voi, signor Alvaro?

— Io... obbedisco.

Cecilia, volgendosi al giovane, non potè non arrossire; ma vinse il suo turbamento, e avviossi con sua cugina per la scala che conduceva alla piccola valle.

Alvaro era malinconico; dopo la conversazione avuta con Cecilia, aveala veduta nel tempo del pranzo; la fanciulla schivava i suoi sguardi, e neppur una fiata gli avea rivolta la parola.

Il giovane supponeva che questo fosse l’effetto della sua imprudenza della sera; ma Cecilia mostravasi tanto lieta, tanto soddisfatta, che pareva impossibile che ancora serbasse memoria di quell’offesa, di cui egli si accusava.

Il modo con cui era trattato dalla fanciulla, avea più dell’indifferenza che del risentimento; si sarebbe detto che avea scordato quanto era accaduto; che non serbava di ciò la menoma rimembranza.

Era questo che rendea mesto Alvaro, non ostante la felicità provata quando don Antonio lo [p. 123 modifica]chiamò suo figlio; felicità che io alcuni momenti parevagli un sogno incantevole presso a dileguarsi.

Le due fanciulle erano giunte alla valle e continuavano a camminare fra i gruppi degli arbusti, che costeggiavano quel luogo, formando un grazioso labirinto.

Talvolta Cecilia scioglievasi dal braccio di sua cugina, e correndo pe’ sentieri sinuosi che giravano attorno le piante, ascondevasi dietro le frondi, e si facea per qualche tempo cercare invano da Isabella. Quando questa la scoprirà, prorompevano ambedue in risa, si abbracciavano e continuavano quell’innocente trastullo.

Ma una volta lasciò che don Antonio e Alvaro si avvicinassero; la fanciulla avea uno sguardo tanto scherzoso e un sorriso tanto malizioso, che Isabella mostrossi un po’ inquieta.

— Dimenticai dirvi una cosa, padre mio.

— Sì! e che cos’è?

— Un secreto.

— Vieni dunque a palesarmelo.

Cecilia si separò da Isabella, e accostandosi al fidalgo, gli prese il braccio.

— Abbiate pazienza per un istante, signor Alvaro, diss’ella volgendosi; intrattenetevi con Isabella; dimandatele la vostra opinione sopra quel vago braccialetto che porta. Ancor nol vedeste?

E sorridendo appartossi lievemente con suo padre; il secreto che avea era lo scherzo che [p. 124 modifica]allora praticava, lasciando Alvaro e Isabella da soli, dopo aver lanciato una parola, che non poteva a meno di non produrre il suo effetto.

L’emozione che provarono i due giovani, udendo il detto da Cecilia, non è possibile a descriversi.

Isabella sospettò tosto come andasse la cosa; e si accorse che Cecilia l’avea ingannata per obbligarla ad accettare il presente di Alvaro; l’occhiata lanciatale appartandosi con suo padre, le avea rivelato ogni cosa.

Alvaro poi non comprendeva nulla affatto, se non che Cecilia aveagli dato la maggior prova di disprezzo e d’indifferenza; ma non sapeva indovinare la ragione perchè avesse associato Isabella a quell’atto che dovea essere un secreto fra lor due.

Trovandosi soli in faccia l’uno dell’altro, non ardivano alzare gli occhi, lo sguardo di Alvaro stava fisso sul braccialetto; Isabella tremante ben lo vedeva, e parea che un anello di ferro rovente le cingesse il braccio dilicato.

Stettero in questo modo alcun tempo; alla fine Alvaro, desideroso di trarre una spiegazione, si fe’ coraggio a rompere il silenzio:

— Che significa tutto ciò, donna Isabella? dimandò egli con aria supplichevole.

— Nol so!... Fui derisa! rispose Isabella balbettando.

— Come?...

— Cecilia mi diè ad intendere che questo [p. 125 modifica]braccialetto veniva da suo padre, affinchè lo accettassi; che se avessi saputo...

— Che veniva dalle mie mani, non lo avreste accettato?

— Giammai!... sclamò la giovane con vivacità.

Alvaro maravigliossi del tuono con che Isabella avea proferita quella parola; parvegli che facesse un giuramento.

— Per qual motivo? dimandò un momento dopo.

La giovane fissò in lui i suoi grandi occhi neri: ci avea tanto amore e tanto sentimento in quello sguardo, che se Alvaro se ne fosse accorto, non avrebbe avuto bisogno di risposta alla sua dimanda.

Ma il cavaliere non comprese nè lo sguardo, nè il silenzio di Isabella; capiva che c’era un mistero, e desiderava chiarirlo.

Accostossi alla giovane, e con accento dolce e triste, le disse:

— Perdonatemi, donna Isabella; so che commetto un’indiscrezione; ma ciò che avviene richiede uno schiarimento fra noi. Diceste che foste derisa; anch’io lo fui. Non trovate che il miglior modo di venir a capo di ciò, è il parlarci francamente l’un l’altro?

Isabella sentì turbarsi.

— Parlate: io v’ascolto, signor Alvaro.

— Mi dispenso dal confessarvi ciò che già indovinaste; sapete la storia di questo braccialetto, non è vero? [p. 126 modifica]

— Sì! balbettò la giovane.

— Ditemi dunque come passò dal luogo ove stava al vostro braccio. Non crediate che io voglia biasimarvi per ciò, no; desidero solo conoscere fino a qual punto si presero dileggio di me.

— Già vi confessai quanto sapeva. Cecilia mi ingannò.

— Ma non comprendete la ragione perchè volle ingannarvi?

— Oh! se la comprendo!... sclamò Isabella reprimendo i palpiti del cuore.

— Ditemela dunque. Ve ne prego! ve ne supplico!

Alvaro avea posto un ginocchio a terra, e, presa la mano della giovane, implorava da lei una parola che gli chiarisse l’atto di Cecilia, e gli rivelasse la ragione per cui avea rigettato il dono fattole.

Conoscendola, potrebbe forse scolparsi, forse meritare il perdono della fanciulla; ed era per ciò che chiedea con tanta instanza a Isabella di dirgli il motivo per cui era stata ingannata da Cecilia.

La giovane vedendo Alvaro a’ suoi piè, supplichevole, erasi fatta livida; il suo cuore batteva con tanta veemenza, che vedeasi il vestito rilevarsi sul petto per i forti e frequenti palpiti; il suo sguardo ardente cadeva sopra il cavaliere e l’affascinava.

— Parlate! dicea Alvaro; parlate! Siate buona; non lasciatemi soffrir così, quando una vostra [p. 127 modifica]parola può rendermi la calma e la tranquillità.

— E se questa parola vi facesse odiarmi? balbettò la giovane.

— Non abbiate questo dubbio; qualunque sia la disgrazia che mi annuncierete, sarà ben venuta dalle vostre labbra; è sempre una consolazione ricevere una cattiva nuova da un labbro amico!

Isabella si accingeva a parlare, ma arrestossi conturbata:

— Ah! non posso! bisognerebbe ch’io vi confessassi tutto!

— E perchè nol fate? Non avete confidenza in me? Non mi tenete per amico?

— Se lo foste!...

E gli occhi d’Isabella scintillarono.

— Finite!

— Se foste un amico, mi perdonereste.

— Perdonarvi, donna Isabella! Che mi faceste perch’io debba perdonarvi? disse Alvaro maravigliato.

La fanciulla quasi paventò di quello che avea detto; e si coperse il viso colle mani.

Tutto questo dialogo, vivo, animato, pieno di reticenze e di esitazioni da parte d’Isabella, avea eccitato la curiosità del cavaliere; il suo spirito perdevasi in un pelago di dubbii e d’incertezze.

Ad ogni volta il mistero si rendea sempre più impenetrabile; a principio Isabella dicea che era stata derisa; adesso dava ad intendere che era colpevole: il cavaliere risolse a qualunque costo di scoprire quello che era un secreto per lui. [p. 128 modifica]

— Donna Isabella!

La fanciulla si tolse le mani dal viso; avea le guancie inondate di lagrime.

— Perchè piangete? domandò Alvaro maravigliato.

— Non mel chiedete! Nol so...

— Ascondetemi tutto! Lasciatemi nello stesso dubbio! Che mi faceste mai? Ditelo!

— Volete saperlo? dimandò la giovane con certo impeto.

— Ve ne supplico già da tanto tempo!

Alvaro avea afferrate le mani della giovane e cogli occhi fissi in quelli di lei attendeva finalmente una risposta.

Isabella era bianca come la tela del suo vestito; sentiva la pressione delle mani del giovane nelle sue, l’alito del suo petto lambirle il viso.

— Mi perdonerete?

— Sì! Ma perchè?

— Perchè...

Isabella pronunciò questa parola in preda ad una specie di delirio; una subita rivoluzione erasi operata in tutto il suo organismo.

L’amor intenso, veemente, che dormiva nel fondo della sua anima; quella passione occulta, compressa, soggiogata dalla volontà, si risvegliava, e spezzando le catene che la teneano avvinta, sorgeva potente, indomabile, irresistibile.

Il semplice contatto delle mani del giovane avea occasionato in lei quella rivoluzione; la fanciulla timida stava per trasformarsi nella donna [p. 129 modifica]appassionata, l’amore per traboccare dal cuore, come un torrente dal suo letto profondo.

Le sue guancie si colorarono; il suo seno dilatossi; il suo sguardo languido avvolse il giovane prostrato a’ suoi piè in un’onda di fluido luminoso; la bocca semiaperta pareva attendere, per pronunciarla, la parola che la sua anima dovea recare alle labbra.

Alvaro, affascinato, la guardava; mai l’avea vista sì bella; il bruno soave del volto e del collo della fanciulla illuminavasi di riflessi tanto dolci, avea ondulazioni tanto voluttuose, che il pensiero, senza volerlo, andava a posarsi fra quelle curve graziose, come per sentirne l’ardente contatto, come per vivificarsi sopra quelle forme palpitanti.

Tutto ciò accadeva rapidamente nell’atto che Isabella esitava a proferire la prima parola della sua risposta.

Alfine vacillò d’improvviso e abbandonandosi sopra l’omero di Alvaro, come un fiore appassito sopra lo stelo, mormorò:

— Perchè... vi amo.