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Affisando quella fanciulla bruna, tanto languida e voluttuosa, lo spirito fermavasi sulla terra; dimenticava l’angelo per la donna, e invece del paradiso ricorreva ad alcuno di quei recessi, di quei giardini incantati, ove la vita è un breve sogno.
Nell’atto che uscivano dal giardino, Cecilia guardava sua cugina con una cert’aria maliziosa, che accennava ad alcuno di quegli scherzi che era solita fare.
Isabella, ancora sotto l’impressione della scena del mattino, tenea gli occhi bassi; parevate che dopo quanto era accaduto, tutti, e principalmente Alvaro, le leggessero in fronte il suo secreto, custodito pertanto tempo nel profondo dell’anima.
Frattanto sentivasi felice; una speranza vaga, indeterminata, dilatava il suo cuore, e dava alla sua fisonomia quell’espressione di giubilo, quell’espansione della creatura che si lusinga di esser amata, quell’aureola brillante che ben si può chiamare l’anima dell’amore.
Che cosa sperava? Nol sapea; non poteva definirlo; ma l’aria pareale più profumata, la luce più brillante, al suo sguardo tutto era color di rosa; e quel lieve agitarsi del colletto del suo vestito sul collo morbidissimo cagionavale una sensazione di voluttà.
Cecilia con quel misterioso istinto di donna indovinava, senza comprendere, che alcun che di straordinario avveniva nell’interno di sua cugina; e ammirava quella radiazione di bellezza che splendeva nel suo sembiante.