Il guarany/Parte Prima/Capitolo XIII
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CAPITOLO XIII.
LE DUE CUGINE.
Isabella e Cecilia, che tornavano dal bagno conversando, accostaronsi alla porta, non senza terrore alla vista dell’animale; terrore, che dileguossi allo scorgere il sorriso del vecchio fidalgo, che si compiacque nella bellezza della sua figliuola.
In fatti Cecilia era in quel momento di una leggiadria che fascinava.
Avea i capelli ancora umidi, da cui gemeva di tratto in tratto qualche gocciola, che andava a perdersi nella cavità del seno coperto dai lini della sua veste; la pelle fresca, come se onde di latte le corressero per le spalle; le guancie vivide, come due cardorose che si aprono al tramonto del sole.
Le due fanciulle parlavano con qualche vivacità; ma avvicinandosi alla porta, Cecilia, che andava un poco innanzi, voltossi verso sua cugina sulla punta dei piedi, e con un piglio imperioso alzò il dito alle labbra raccomandando silenzio.
— Sai, Cecilia, che tua madre è molto in collera con Pery? disse don Antonio, accarezzandola in viso e dandole un bacio sulla fronte.
— Perchè, padre mio? Fece egli qualche cosa di male?
— Una delle sue, e di cui già conosci una parte.
— E io vado a contarti il resto! interruppe donna Lauriana, toccando colla mano il braccio di sua figlia.
E difatti rappresentò co’ colori più tetri, e coll’enfasi più drammatica, non solo il rischio imminente, che a parer suo aveva corso la casa intera, ma i pericoli che minacciavano tuttavia la pace e la tranquillità della famiglia.
Riferì che se per un miracolo la sua casiera non fosse giunta un’ora prima allo spianato, e visto l’Indiano far atti diabolici colla tigre, cui insegnava naturalmente la maniera di penetrar nella casa, tutti a quell’ora sarebbero stati morti.
Cecilia impallidì, ricordandosi in che modo lieta e folleggiante avea attraversata la valle e se n’era ita al bagno; Isabella si serbò calma, ma i suoi occhi brillarono.
— Perciò, concluse perentoriamente donna Lauriana, non è più possibile che continuiamo con una simil maledizione in casa.
— Che dite, madre mia? sclamò Cecilia rattristata; avete intenzione di mandarlo via?
— Senza dubbio; questa sorta di gente, che non è gente, può solo viver bene nei boschi.
— Ma egli ci ama tanto! Fece tanto per noi, non è vero, padre mio? disse la fanciulla rivolgendosi verso il fidalgo?
Don Antonio rispose alla figlia con un sorriso, che la quetò:
— Voi lo sgriderete, padre mio, io mi mostrerò in collera, continuò Cecilia; ed egli si emenderà e non farà più alcun male.
— E quello che fece poc’anzi? replicò Isabella dirigendosi a Cecilia, con voce alta abbastanza per essere udita.
Donna Lauriana, che vedea la sua causa male avviata dopo l’arrivo delle fanciulle, non ostante la ripugnanza che provava per Isabella, si accorse di avere in lei un alleato; e le rivolse la parola; il che accadeva una volta per settimana.
— Accòstati, fanciulla; che dicesti esser avvenuto poco fa?
Il viso d’Isabella illuminossi.
— È pure un pericolo che corse Cecilia.
— Quale! madre mia; fu più una paura d’Isabella che altro.
— Paura, sì; ma per quello che vidi...
— Raccontami ciò; e tu, Cecilia, statti qui cheta.
La fanciulla pel rispetto che avea a sua madre, non ardì più proferire una parola; però giovandosi del moto fatto da donna Lauriana in voltarsi per udire Isabella, accennò col capo a sua cugina di nulla dire.
La fanciulla fece mostra di non aver capito, e rispose alla sua zia:
— Cecilia stava bagnandosi, e io mi era adagiata in riva al fiume; dopo alcun tempo vidi Pery che passava da lungi sul ramo di un albero. Disparve, e d’improvviso una saetta partita da quel luogo venne a cadere a due passi dalla mia cugina!
— Ascoltate, signor Mariz! sclamò donna Lauriana; ascoltate le valentìe di quel bell’arnese!
— Al tempo stesso, continuò Isabella, udimmo due colpi di pistola, che ancora più ci spaventarono, perchè di certo erano diretti dalla nostra parte.
— Gran dio! È peggiore di un giudeo! Ma chi diede le pistole a cotesto indemoniato?
— Fui io, madre mia; rispose timidamente Cecilia.
— Sarebbe stato meglio che ti fossi occupata d’altro, o che con esse gli avessi.... Gran dio! perdonatemi!
Don Antonio, quantunque rimasto un po’ in disparte, avea udito le parole d’Isabella: il suo volto prese una grave espressione.
Fece un lieve cenno a Cecilia, e si allontanò con lei, mostrando sembiante di voler passeggiare per lo spianato:
— Quanto dice tua cugina è vero?
— È vero, padre mio; ma sono certa che Pery nol fece per mala intenzione.
— Tuttavia, replicò il fidalgo, ciò può ripetersi; d’altra parte tua madre è intimorita; onde è meglio allontanarlo.
— Egli ne sarà molto rattristato!
— Ed io e tu del pari, perchè lo stimiamo; ma non saremo ingrati: io pagherò la mia e la tua porzione di gratitudine; lascia ciò alla mia cura.
— Sì, padre mio! sclamò la fanciulla cogli occhi umidi di pianto per riconoscenza e ammirazione: Sì! Voi che sapete comprendere tutto ciò ch’è nobile!
— Come tu, mia Cecilia! rispose il fidalgo accarezzandola.
— Oh! io l’appresi nel vostro cuore, e nelle vostre menome azioni.
Don Antonio l’abbracciò.
— Ah! ho una cosa a chiedervi!
— Dì pure: è tanto tempo che non mi chiedi più nulla, e io già stava per lagnarmene.
— Ordinerete che sia conservato quest’animale?
— Giacchè lo desideri...
— Sarà un ricordo, che terremo di Pery.
— Per te; chè per me il miglior ricordo sei tu. Senza di lui potrei ora stringerti fra le mie braccia?
— Sapete che mi vien voglia di piangere al solo pensare ch’egli se ne va?
— È naturale, figlia mia; le lagrime sono un balsamo che Dio concesse alla fragilità della donna, e negò alla forza dell’uomo.
Il fidalgo si separò da sua figlia, e si accostò alla porta, ove si trovavano ancora sua moglie, Isabella e Ayres Gomes.
— Che decideste, signor don Antonio? dimandò la dama.
— Decisi di fare il voler vostro, per tranquillità vostra e quiete mia. Oggi stesso o domani Pery lascerà questa casa; ma finchè egli rimane qui, io non voglio, disse caricando leggermente sopra questo monosillabo, che gli sia detta una sola parola sgarbata. Pery esce da questa casa perchè glielo chiedo, e non perchè ciò gli sia ordinato da alcuno. Intendete, moglie mia?
Donna Lauriana, che comprendeva quanto ci avesse di energia e di risoluzione in quella impercettibile accentuazione data dal fidalgo a una semplice frase, abbassò il capo.
— Mi assumo di parlare io stesso a Pery! Gli dirai da parte mia, Ayres Gomes, che si rechi da me.
Lo scudiero fece un inchino; il fidalgo che già si ritirava, voltossi.
— Ah! Mi dimenticava d’una cosa. Manderete a imbalsamare questo bello animale, che voglio conservare; sarà una rarità per la mia armeria.
Donna Lauriana fece un gesto come di ribrezzo.
— E servirà a far avvezzare mia moglie alla sua vista, e a toglierle in parte la paura delle tigri.
Don Antonio si allontanò.
La dama potè allora pensare ai ricci de’ suoi capelli e agli ornamenti del capo; avea ottenuta una vittoria importante.
Pery andava finalmente ad esser espulso da quella casa, ove, a parer suo, non avrebbe mai dovuto entrare.
In questo mezzo Cecilia, separatasi da suo padre, avea attraversato l’angolo della casa per entrare nel giardino, e incontrato Alvaro, che passeggiava inquieto e pensieroso.
— Donna Cecilia! disse il giovane.
— Oh! lasciatemi, signor Alvaro! rispose Cecilia senza fermarsi.
— In che vi offesi per essere trattato così?
— Scolpatemi, sono attristata; in nulla mi offendeste.
— È perchè quando si commise uno sbaglio...
— Uno sbaglio? dimandò la fanciulla maravigliata.
— Sì! rispose il giovane abbassando gli occhi.
— E che sbaglio commetteste voi, signor Alvaro?
— Vi disubbidii.
— Ah! è cosa seria! disse la fanciulla con un mezzo sorriso.
— Non vi sdegnate, donna Cecilia! se sapeste che inquietudine ciò mi cagionò! Mi pento mille volte di quello che feci, e tuttavia sembrami che sarei capace di farlo di nuovo.
— Ma, signor Alvaro, dimenticate che parlate di cosa che ignoro; so appena che si tratta di una disubbidienza!
— Vi ricordate che ieri mi ordinaste di custodire un oggetto, che....
— Sì! interruppe la fanciulla arrossendo; un oggetto che....
— Che vi apparteneva, e ch’io contro vostra volontà vi restituii.
— Come! che dite?
— Oh! perdonate! fu un atto d’audacia! ma....
— Ma infine io non intendo una parola di tutto questo! sclamò la fanciulla con un moto d’impazienza.
Alvaro vincendo al fine il suo imbarazzo, raccontò prestamente ciò che avea fatto la sera innanzi.
Cecilia, udendolo, ripigliava la sua serietà.
— Signor Alvaro, diss’ella in tuono di rimprovero, faceste male a prendervi questa licenza, molto male! Che nessuno almeno lo sappia.
— Lo giuro sul mio onore!
— Non basta; voi stesso disfarete quello che avete fatto. Non aprirò quella finestra, finchè vi sarà colà un oggetto, che non venne da mio padre, e che non posso toccare.
— Signora!... balbettò il giovane pallido e confuso.
Cecilia alzò gli occhi, e vide nel volto di Alvaro tanto rammarico, tanto cordoglio, che si sentì commossa.
— Non accusatemi di quello che accade, diss’ella con dolcezza; la colpa è vostra.
— Lo sento; e non me ne dolgo.
— Ben vedeste che non potendo accettarlo, vi chiesi di conservarlo come un ricordo.
— Oh! io lo conserverò; mi insegnerà a espiare il mio fallo, e me lo rammenterà sempre.
— Sarà adesso una triste rimembranza.
— E posso pretenderne delle liete!
— Chi lo sa! disse Cecilia spiccando dalle bionde treccie de’ suoi capegli un gelsomino; è sì dolce lo sperare!
Volgendosi per ascondere il rossore delle sue guancie, Cecilia vide da presso Isabella, che divoravasi quella scena con uno sguardo ardentissimo.
La fanciulla mandò un grido di sorpresa, ed entrò rapidamente nel giardino. Alvaro raccolse nell’aria il piccolo fiore che fuggì dalle dita di Cecilia, e lo baciò stimando che nessuno lo vedesse.
Quando il cavaliere diè cogli occhi nella fanciulla, rimase tanto turbato, che lasciò cadere il gelsomino senza accorgersene.
Isabella lo raccolse; e presentandolo ad Alvaro, disse con un accento di voce inimitabile:
— È anche una restituzione!
Alvaro impallidì.
La fanciulla gli passò tremante dinanzi, e entrò nella camera di sua cugina.
Cecilia, scorgendo Isabella, arrossì e non osò alzare gli occhi per quello che avea veduto e udito; per la prima volta l’innocente fanciulla si avvide che eravi nella sua pura affezione qualche cosa che si ascondeva agli occhi degli altri.
Isabella, entrando nella camera di sua cugina, a cui fu attirata da un sentimento irresistibile, si pentì tosto di averlo fatto; il turbamento che provava era sì grande, che temè di tradirsi; accostassi al letto rimpetto a Cecilia, muta e cogli occhi rivolti al suolo.
In questo modo scorse un lungo intervallo; dipoi le due fanciulle quasi al tempo stesso alzarono il capo, gettando uno sguardo sulla finestra; i loro occhi s’incontrarono, e ambedue arrossirono ancora più.
Cecilia stancossi di rimanere in quello stato; la fanciulla gaia e faceta, che conservava in un cantuccio del cuore, sotto il riso e le grazie, il germe di quella fermezza di carattere, che era propria di suo padre, si sentì offesa in vedersi obbligata ad arrossar di vergogna avanti un’altra persona come se avesse commesso un fallo.
Si rivestì di coraggio, e prese una risoluzione, la cui energia si disegnò in un moto impercettibile dei sopraccigli, che inarcandosi si toccarono un istante.
— Isabella, aprimi questa finestra.
La fanciulla sentì un guizzo, come se una scintilla elettrica le fosse corsa per l’ossa; esitò, ma alla fine attraversò la camera.
Due sguardi, avidi, ardenti, caddero sulla finestra nell’atto che si aperse.
Non vi era nulla.
L’emozione da cui fu presa Isabella, era tale, che involontariamente si voltò verso sua cugina, uscendo in un’esclamazione di giubilo; la sua fisonomia illuminossi d’uno di que’ riflessi divini, che sembrano discendere dal cielo sul capo della donna che ama.
Cecilia guardava sua cugina senza comprenderla; ma a poco a poco la meraviglia andò dileguando, e lo spavento e lo stupore disegnaronsi nel sembiante della fanciulla.
— Isabella!...
La giovane cadde in ginocchio ai piedi di Cecilia.
Erasi tradita.