Il guarany/Conclusione/Capitolo IV
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CAPITOLO IV.
L’URAGANO.
Dopo la refezione Pery si rimise di nuovo al suo lavoro.
Cecilia, che dal primo dì sentivasi abbattuta e languida, avea ricuperato un po’ della sua vivacità e della sua gaiezza dei tempi più fortunati.
Il suo leggiadro volto serbava ancora un velo di quella mestizia, che le causarono le scene dolorose di cui era stata testimone, e sovratutto l’ultima sciagura, che l’orbò di suo padre e di sua madre.
Ma questo cordoglio assumeva sulla sua faccia un’espressione tanto angelica, una tal mansuetudine e una soavità, che dava nuovo incanto alla sua bellezza ideale.
Lasciando il suo compagno occupato nella sua opera, recossi in riva al fiume e si assise presso il cespuglio, cui era legata la piroga.
Pery la vide allontanarsi, e sempre tenendola d’occhio continuò a preparare la verga, che dovea servirgli di arco, e le canne silvestri, a cui il suo braccio avrebbe impresso il volo dell’aquila.
La fanciulla colla faccia sostenuta nella palma della mano, e gli occhi fissi nella corrente del fiume, meditava; di quando in quando chiudeva le palpebre; agitava impercettibilmente le labbra: in quei momenti pareva che conversasse con qualche spirito invisibile.
Talora un dolce sorriso le oscillava sulle labbra e svaniva subito, come se il pensiero che veniva a posarvisi tornasse a nascondersi nel fondo del cuore, d’onde era partito.
Alla fine levò la fronte con quel piglio da regina, che talvolta s’improntava nel biondo suo capo, cui solo mancava il diadema; la sua fisonomia mostrò un’espressione di fermezza, che ricordava il carattere di don Antonio de Mariz.
Avea preso una risoluzione salda, immutabile; e si accingeva a mandarla ad effetto con quella stessa forza di volontà, con quel coraggio che avea redato da suo padre, e che dormiva nel fondo del suo animo, per rivelarsi nei casi estremi.
Alzò gli occhi al cielo, e chiese a Dio il perdono per un fallo, e al tempo stesso un conforto per la buona azione che andava a praticare: la sua orazione fu breve, ma ardente e piena di fervore.
In quest’intervallo Pery vedendo che le ombre della sera già si stendevano sul letto del Parahyba, s’accorse che era tempo di partire, e si dispose a continuare il viaggio.
Nell’atto che metteasi all’opera, Cecilia gli corse incontro, e gli si pose in faccia, in modo da impedirgli la vista del fiume.
— Non sai, diss’ella sorridendo, che ho una cosa a chiederti?
Questa parola bastava a far sì, che Pery altro più non vedesse che gli occhi e le labbra della sua signora, in atto di dirgli ciò che bramasse.
— Desidero che raccolga molto cotone per me, e mi rechi una pelle d’un qualche animale.
— Perchè? dimandò l’Indiano maravigliato. Che vuoi farne?
— Del cotone filerò un vestito; della pelle tu coprirai i miei piedi.
Pery sempre più attonito ascoltava la sua signora, senza comprenderla.
— Così, disse la fanciulla sorridendo, permetterai che t’accompagni; gli spini più non mi offenderanno.
L’Indiano era rimasto immobile per lo stupore; ma d’improvviso mandò un grido, e stava per lanciarsi nel fiume.
Cecilia alzandogli la mano al petto, lo rattenne.
— Attendi!
— Guarda! rispose l’Indiano inquieto, accennando al fiume.
La piroga abbandonato il cespuglio, cui era stata legata, movevasi in balìa delle acque, e girando sopra di sè spariva portata dalla corrente.
Cecilia, dopo di averla guardata, si volse sorridendo:
— Fui io che la sciolsi!
— Tu, signora? Perchè?
— Perchè non ne abbiamo più di bisogno.
Fissando allora sul suo amico i begli occhi azzurri, disse con quella voce grave e riposata, che rivela un pensiero ben ponderato e una risoluzione irrevocabile:
— Pery non può vivere allato a sua sorella nella città dei Bianchi? Sua sorella rimane con lui nel deserto, nel mezzo delle foreste.
Era questa l’idea che poc’anzi tumultuava nel suo spirito, e per cui avea invocato la grazia divina.
Non fu senza qualche sforzo, che ella riuscì a dominare i primi timori che l’assaltarono, quando guardò in faccia a quell’esistenza lontana dalla società, nella solitudine, nell’isolamento.
Ma qual’era il laccio, che la teneva avvinta a quel mondo incivilito? Non era ella in certo modo figlia di quelle campagne, creata di quell’aere puro e libero, di quelle acque cristalline?
La città apparivale soltanto come un ricordo della prima infanzia, come un sogno della cuna; avea lasciato il Rio de Janeiro a cinque anni, nè più l’avea riveduto.
I campi al contrario avean per essa altre reminiscenze ben più vive e presenti; il fiore della sua giovinezza era stata vivificato da quelle aure; la gemma si era schiusa ai raggi di quello splendido sole.
Tutta la sua vita, tutti i suoi bei giorni, tutti i suoi piaceri infantili viveano colà, parlavano in quegli echi della solitudine, in quei mormorii confusi, in quello stesso silenzio.
Apparteneva quindi più al deserto, che alla città; era più una vergine brasiliana, che una zitella del gran mondo; i suoi abiti e i suoi gusti ritraevano più delle semplici pompe della natura, che delle feste e delle gale dell’arte e della civiltà.
Deliberò di rimanere.
L’unica felicità, che ancora potesse godere in quel mondo, dopo la perdita della sua famiglia, era vivere colle due persone che l’amavano: questa felicità non era possibile; dovea perciò scegliere fra i due affetti.
Qui il suo cuore fu sospinto dalla forza invincibile che lo trascinava; ma dipoi, vergognando di aver ceduto sì presto, procurò di scolpare se stessa.
Disse allora che fra i suoi due fratelli era giusto che accompagnasse prima quello che solo vivea per lei, che non aveva un pensiero, una cura, un desìo, che non fosse inspirato da lei.
Don Diego era un fìdalgo, erede del nome di suo padre; avea un avvenire avanti di sè, una missione a compiere nel mondo; egli si sceglierebbe una compagna che gli addolcisse l’esistenza.
Pery avea tutto abbandonato per lei, il suo passato, il suo presente, il suo avvenire, la sua ambizione, la sua vita, la sua religione stessa; era tutto per lei, e unicamente per lei; non dovea dunque esitare.
Oltracciò Cecilia aveva ancora un pensiero che le sorrideva: voleva aprire al suo amico il cielo, che ella intravedeva nella sua fede cristiana; voleva dargli un luogo presso di sè nella dimora dei giusti, appiè del trono celeste del Creatore.
È impossibile descrivere quanto avvenne nello spirito del selvaggio all’udire le parole di Cecilia: il suo intelletto incolto, ma vigoroso, che si innalzava ai più alti concetti, non potea comprendere quell’idea; dubitò di ciò che ascoltava.
— Cecilia rimane nel deserto... balbettò egli.
— Sì! rispose la fanciulla prendendolo per le mani: Cecilia resta con te e non ti lascerà. Tu sei re di queste foreste, di queste campagne, di questi monti; tua sorella ti accompagnerà!
— Sempre?...
— Sempre?... Vivremo insieme come ieri, come oggi, come domani. Ti metti in affanno per ciò?... Io pure sono figlia di questa terra, fui creata in seno di questa natura. Amo questo bel paese!...
— Ma, signora, non vedi che le tue mani sono fatte per i fiori e non per gli spini; che i tuoi piedi sono più propri per la danza, che per la corsa; che il tuo corpo è destinato anzi per l’ombra, che pel sole e per la pioggia?
— Oh! Io sono forte! sclamò la fanciulla, levando il capo con alterezza. A te da presso non ho alcuna paura. Quando io sarò spossata, mi reggerai sulle tue braccia. La tortorella non si appoggia sull’ala del suo compagno?
Occorreva vedere la gentilezza, l’amabilità con cui pronunciava tutte queste frasi graziose, che fiorivano sulle sue labbra. Lo scintillare dello sguardo, la vivacità del volto e la novità del gesto affascinavano.
Pery rimase estatico al prospetto di quell’immensa felicità, che neppur in sogno avea immaginata.
La sera si avanzava, ed occorreva attendere al modo di passare la notte in terra; il che era molto più pericoloso, non per lui cui bastava il ramo di un albero, ma per Cecilia, avvezza al suo letto di piume di jurity, ai suoi morbidi tappeti di pelli.
Avanzando lungo la sponda per scegliere il luogo più acconcio, Pery uscì d’improvviso in una sclamazione di giubilo, scorgendo la piroga intrigata in una di quelle isole fluttuanti formate dalle parassite del fiume, che galleggiavano sull’acqua.
Era quello il miglior letto che potesse aver la fanciulla in mezzo al deserto; andò a prender la piroga, ne tappezzò il fondo colle foglie soffici delle palme, e prendendo Cecilia fra le braccia la pose a giacere in quella cuna.
La fanciulla non consentì che Pery remasse; la piroga corse dolcemente sulla superficie del fiume, sospinta soltanto dalla corrente.
Cecilia si trastullava; sporgevasi sulle acque per cogliere in passando un fiore, per inseguire un pesce che baciava la faccia tersa delle onde, per immergere le mani in quell’acqua cristallina, per contemplare la sua immagine in quel miraglio vacillante.
Dipoi rivolgevasi al suo amico, e gli parlava con quella voce argentina, con quella graziosa garrulità propria di una leggiadra e scherzosa fanciulla, onde le cose più leggere e più frivole acquistano un incanto e una grazia infinita.
Pery stava pensieroso; il suo sguardo si fissava sull’orizzonte con un’attenzione straordinaria; l’inquietudine che si disegnava sul suo sembiante era indizio di qualche pericolo, ancorchè rimoto.
Sopra la linea azzurrata dalla Cordigliera degli uragani, che risaltava sur un fondo di porpora e di corallo, ammontavansi grossi nugoli oscuri e massicci, che feriti dai raggi del tramonto gettavano riflessi color di rame.
Di lì a poco quei picchi e quelle roccie disparvero avvolte in un manto color di bronzo, che innalzavasi a guisa di quelle colonne e volte di stalattiti, che incontransi nelle grotte delle montagne del Brasile.
L’azzurro puro e ridente, che copriva il resto del firmamento, contrastava con quella fascia oscura, che andava a grado a grado intenebrando, a misura che la notte cadeva.
Pery voltossi.
— Vuoi tu andar per terra, signora?
— No: sto qui sì bene! Non mi vi recasti tu?
— Sì; ma...
— Che cosa?
— Nulla; puoi dormir senza tema!
Avea riflettuto che fra due pericoli il meglio era eleggere il più rimoto; quello che ancora era lontano e fors’anco non poteva sopravvenire.
Perciò risolse di non dir nulla a Cecilia, e di serbarsi attento e vigilante per salvarla, se quanto egli temea si avverasse.
Pery avea lottato colla tigre, cogli uomini, con una tribù di selvaggi, col veleno; e avea vinto. Era giunta l’occasione di lottare cogli elementi; aspettò colla stessa fiducia calma e impassibile, pronto ad accettare il combattimento.
Si fece notte.
L’orizzonte, sempre nero e chiuso, illuminavasi talvolta di un lampeggiar fosforescente, come gli occhi dell’hirara nel mezzo delle tenebre; un sordo tremito parea scorrere per le viscere della terra, e facea ondulare la superficie delle acque, come il seno di una vela gonfiata dal vento.
Frattanto ogni cosa era queto d’intorno; le stelle trapuntavano l’azzurro del cielo; le aurette aleggiavano tra le frondi degli alberi; i dolci mormorii della solitudine cantavano l’inno della notte.
Cecilia si addormentò nella sua culla, mormorando una preghiera.