Il guarany/Conclusione/Capitolo V

Conclusione - V. L'inondazione

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Conclusione - V. L'inondazione
Conclusione - Capitolo IV

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CAPITOLO V.


L’INONDAZIONE.

Era notte alta; ombre molto dense coprivano le rive del Parahyba.

D’improvviso un rumor sordo e cavernoso, come di tremito sotterraneo, diffondendosi per quella solitudine, ruppe il profondo silenzio dell’eremo.

Pery trasalì: levandosi tese gli occhi sulla larga pianura del fiume, che attorcendosi come un serpente mostruoso con squame d’argento, andava a perdersi nel fondo negro della foresta.

Lo specchio delle acque, terso e liscio come un cristallo, rifletteva il chiarore delle stelle, che già scoloravansi per l’approssimarsi del giorno; tutto era immobile e cheto.

L’Indiano curvossi sulla sponda della piroga, e tese l’orecchio: lungo la superficie del fiume [p. 136 modifica]udiasi un suono strepitoso, pari allo spezzarsi della cateratta, che si precipita dall’alto delle roccie.

Cecilia dormiva tranquillamente; la sua respirazione leggera mandava quell’armonia dolce e sottile delle foglie di canna, quando stormiscono all’alito dei zeffiri.

Pery gettò uno sguardo di disperazione sulle sponde, che alzavansi a qualche distanza sulla placida corrente del fiume.

Ruppe il laccio cui era legata la piroga, e lanciossi a terra con tutta la forza del remo, che ruppe l’acqua profondamente.

In riva al fiume sorgeva una bella palma, il cui alto tronco era coronato da una grossa e folta vetta, formata dai ventagli delle sue foglie vaghe e graziose.

I cipò e le parassite, abbarbicandosi ai rami degli alberi vicini, scendevano fino a terra, formando festoni e cortine di frondi, che si attaccavano al fusto e ai bracci della palma.

Toccando il margine, Pery saltò a terra, prese fra le braccia Cecilia mezzo addormentata, e stava per recarla nell’interno della vergine foresta, che gli si stendeva dinanzi.

In quel momento il fiume inarcossi alla superficie, come un gigante che gonfia il petto e si torce in convulsioni, e adagiossi di nuovo nel suo letto, mettendo un gemito profondo e cavernoso.

In distanza il cristallo della corrente ondeggiò; le acque s’incresparono, e un lenzuolo di spuma [p. 137 modifica]si stese sopra quella pianura liscia e tersa, somigliante a un’onda marina che invade la spiaggia.

Subito dopo tutto il letto del fiume si coperse di quel velo sottile, che si sdoppiava con una celerità spaventosa, rumoreggiando come un manto di seta.

Allora nel fondo della foresta rintronò un fracasso orrendo, che veniva rimbombando per lo spazio; sarebbesi detta la folgore che scorreva senza freno per le latebre delle boscaglie.

Era sera!

Non c’era più tempo per fuggire; l’acqua avea mandato il suo primo ruggito, e rizzando il capo precipitavasì furiosa, invincibile, divorando lo spazio come fosse un mostro del deserto.

Pery fece quella pronta risoluzione, che era richiesta dall’urgenza del pericolo: invece di guadagnare il bosco, si sospese a uno dei cipò, e salendo sulla vetta della palma, ivi riparò con Cecilia.

La fanciulla, desta con violenza e desiderosa di conoscere quanto accadeva, interrogò il suo amico.

— L’acqua!... rispose egli accennando all’orizzonte.

In fatti una montagna bianca, fosforescente, ingolfavasi fra le arcate gigantesche dalla foresta, precipitandosi sopra il letto del fiume e muggendo come l’oceano, quando percuote le roccie co’ suoi marosi.

Il torrente passò rapido, veloce, vincendo nel [p. 138 modifica]corso il tapir delle selve e lo struzzo del deserto; il suo dorso enorme si contorceva e si divincolava pe’ tronchi diluviani di quei grossi alberi, che crollavano le cime a quell’urto erculeo.

Di poi un’altra montagna, una seconda, una terza si alzarono nel fondo di quella boscaglia; e quasi in un turbine confuse lottarono corpo a corpo, sfracellando e schiantando col peso quanto si opponeva al loro passaggio.

Sarebbesi detto che il Parahyba, levandosi qual nuovo Briareo nel mezzo del deserto, protendesse le sue cento braccia titaniche, e stringesse al petto, soffocando in una convulsione orribile, tutta quella foresta secolare nata col mondo.

O che uno di quei mostri enormi, di que’ boa tremendi, che vivono negli abissi delle acque, mordendo la radice di qualche roccia rotasse l’immensa sua coda, e ravvolgesse fra le sue mille spire il bosco crescente lungo le sponde.

Gli alberi crepitavano; e divelti dal seno della terra o spezzati nel tronco, prostravansi vinti sotto il gigante, che caricandoli sugli omeri li portava verso l’oceano.

Il fracasso di quelle montagne d’acqua che si frangevano, lo strepito del torrente, il fragor delle roccie mobili che si urlavano e andavano in polvere, riempiendo lo spazio di una fitta nebbia, formavano un concerto orribile, degno del dramma maestoso che si rappresentava su quella gran scena.

Le tenebre avviluppavano il quadro, e appena [p. 139 modifica]lasciavano scorgere i riflessi argentei di spuma, e la muraglia negra che circondava quel vasto recinto, ove uno degli elementi regnava da sovrano.

Cecilia, appoggiata all’omero del suo amico, assisteva compresa da orrore a quel pauroso spettacolo; Pery sentiva il turbamento di quel corpo delicato, ma le labbra di lei non mettevano un solo grido di ambascia.

Al cospetto di tai solenni spettacoli, di siffatti cataclismi della natura, l’anima umana si sente tanto piccina, si annichila al punto da dimenticar l’esistenza; l’affanno è surrogato dal terrore, dal rispetto, da quella emozione che ammutolisce e paralizza.

Il sole, dissipando le tenebre della notte, comparve sull’orizzonte; il suo aspetto maestoso rischiarò il deserto; le onde della sua luce sfolgorante si versarono in cascate sopra un lago immenso, senza confine.

Tutto era acqua e cielo.

L’inondazione1 avea coperto le rive del fiume fin dove la vista potea giungere; le grandi masse d’acqua, che il temporale durante una [p. 140 modifica]notte intera avea versato sui monti, ai confluenti del Parahyba, erano discese al basso, e di torrente in torrente avean formato quella tromba gigantesca, che si era rovesciata sul piano.

L’uragano continuava ancora lungo tutte le Cordigliere, che apparivano coperte da una nuvolaglia oscura; ma il cielo, azzurro e limpido, sorrideva mirandosi nello specchio delle acque.

L’inondazione cresceva ognora più; il letto del fiume sempre più s’innalzava; i piccoli alberi scomparivano, e le frondi dei superbi jacarandá2 galleggiavano ormai come gruppi d’arbusti.

La vetta della palma, su cui trovavansi Pery e Cecilia, pareva un isola verdeggiate, che si bagnasse nelle acque della corrente; i ventagli aprendosi formavano nel centro una specie di cuna, ove i due amici, stretti insieme, chiedevano al cielo una sola morte, come una sola era la loro vita.

Cecilia aspettava il suo ultimo momento con quella sublime rassegnazione evangelica, che solo viene infusa dalla religione di Cristo; moriva tranquilla. Pery avea confuso la sua anima in quell’ultima preghiera, che spirava sulle sue labbra.

— Possiamo morire, amico mio! diss’ella con una sublime espressione.

Pery abbrividì; anche in quell’ora suprema il [p. 141 modifica]suo spirito rivoltavasi a una tale idea, e non sapeva comprendere che la vita della sua signora dovesse essere come quella di un semplice mortale.

— No! sclamò egli. Tu non puoi morire.

La fanciulla sorrise dolcemente.

— Guarda! diss’ella con voce soave. L’acqua sale, sale...

— Che importa! Pery vincerà l’acqua, come vinse tutti i tuoi nemici.

— Se fosse un nemico, tu lo vinceresti, Pery, ma è Dio... È il suo potere infinito!

— Nol sai? disse l’Indiano come inspirato dal suo amore ardente: il Signore del cielo manda talvolta a coloro che ama un buon pensiero!

E l’Indiano alzò gli occhi con un’espressione ineffabile di riconoscenza.

Parlò in tuono solenne:

«Fu un tempo, ben lontano da quello che siamo adesso. Le acque caddero e cominciarono a coprire tutta la terra. Gli uomini salirono sulle vette dei monti; un solo restò nel piano colla sua sposa. Era Tamandarè3, forte tra i forti: era più savio di tutti. Il Signore gli parlava di notte, e il giorno egli insegnava ai figli della tribù quello che apprendeva dal cielo. [p. 142 modifica]

«Quando tutti salivano ai monti, egli disse: restate meco, fate come faccio io e lasciate pur venir l’acqua.

«Ma non l’ascoltarono, e corsero all’alto; e lui solo lasciarono nel piano colla sua compagna, che non l’abbandonò.

«Tamandarè prese sua moglie fra le braccia, e ascese con lei sull’occhio della palma: quivi aspettò che l’acqua venisse e passasse; la palma producea frutti che li alimentavano.

«L’acqua venne, salì e crebbe; il sole tramontò e risorse una, due e tre volte. La terra scomparve; gli alberi scomparvero; scomparvero anche i monti.

«L’acqua toccò il cielo; e il Signore comandò allora che si arrestasse. Soltanto l’occhio del sole mirava quello spettacolo; non vedeva che cielo ed acqua, e fra l’acqua e il cielo la palma che galleggiava portando Tamandarè e la sua compagna.

«La correntìa scalzò la terra; svelse la palma; se la carreggiò sul dorso al disopra della terra, degli alberi, dei monti.

«Tutti perirono. L’acqua toccò il cielo tre soli e tre notti; dipoi si abbassò; si abbassò finchè scoperse la terra.

«Quando venne il giorno Tamandarè vide che la palma erasi arrestata in mezzo al piano, e senti l’uccelletto di paradiso, il guanumby, che batteva le ali.

«Discese colla sua compagna e popolò la terra.» [p. 143 modifica]

Pery avea parlato in quel tuono inspirato che dà la fede profonda, con quell’entusiasmo proprio delle anime ripiene di poesia e di sentimento.

Cecilia l’ascoltava sorridente, e bevea ad una ad una le sue parole, come fossero parte dell’aria che respirava; pareale che l’anima del suo amico, quell’anima nobile e bella, si sciogliesse dal corpo a ciascuna di quelle frasi solenni, e trapassasse nel suo cuore aperto a riceverla.

L’acqua salendo bagnò le punte delle larghe foglie della palma, e una goccia scorrendo lungo il ventaglio andò a umettare i candidi lini di Cecilia.

La fanciulla, per un moto istintivo di terrore, si ristrinse attorno al suo amico; e in quel momento supremo, in cui l’inondazione apriva le sue fauci enormi per inghiottirli, mormorò dolcemente:

— Dio mio!... Pery!...

Allora seguì su quel vasto deserto d’acqua e di cielo una scena stupenda, eroica, sovrumana; uno spettacolo grandioso, una sublime follia.

Pery, preso da disperazione, delirante, si sospese ai cipò, che si intrecciavano ai rami degli alberi già coperti d’acqua, e con uno sforzo erculeo, cingendo colle braccia poderose il tronco della palma, lo fece crollare fino alle radici.

Tre volte i suoi muscoli d’acciaio, contraendosi, inclinarono il tronco robusto, e tre volte [p. 144 modifica]il suo corpo piegossi, cedendo al ritraimento violento dell’albero, che tornava al luogo segnatogli dalla natura.

Lotta terribile, spaventosa, folle, insensata: lotta della vita contro la materia, dell’uomo contro la terra, della forza contro l’immobilità.

Vi ebbe un momento di riposo, in cui l’uomo, raccogliendo tutta la sua possa, appuntossi di nuovo contro l’albero; l’impeto fu terribile, e parve che il corpo fosse per infrangersi in quella tensione formidabile.

Ambedue, albero e uomo, libraronsi sul seno delle acque; il fusto oscillò; le radici si divisero dalla terra già soccavata profondamente dalla corrente.

La vetta della palma, chinandosi dolcemente, strisciò a fior d’acqua come un nido di cigno, o una di quelle isole fluttuanti formate dalle piante acquatiche4.

Pery stava di nuovo seduto presso alla sua signora quasi svenuta; e prendendola fra le braccia, le disse con un accento di felicità suprema: [p. 145 modifica]

— Tu vivrai!...

Cecilia aperse gli occhi, e vedendosi da lato il suo amico, udendo ancora le sue parole, provò quell’incanto, che esser deve il gaudio della vita eterna.

— Sì!... mormorò ella. Vivremo!... là nel cielo, in grembo a Dio, presso a quelli che amiamo!...

L’angelo batteva le ali per volare alla propria sede.

— Sovra quell’azzurro che tu vedi, continuò Cecilia, Iddio dimora nel suo trono, circondato da coloro che lo amano e lo adorano. Noi andremo colà, Pery! Tu vivrai colla tua sorella, per sempre!...

Ella affisò gli occhi negli occhi del suo amico, e chinò languidamente il biondo capo.

Pery sfiorò col suo alito ardente quelle guancie leggiadre, ma non ebbe coraggio di toccarle.

Un sorriso divino fiorì sulla bocca di Cecilia; le sue labbra si aprirono, come le ali di un bacio presto ad involarsi.

La palma, trascinata dall’impeto della fiumana, correndo con una rapidità vertiginosa, disparve nell’orizzonte.


Fine.

Note

  1. Il Parahyba va soggetto a grandi inondazioni per cagione delle pioggie frequenti, che cadono sui monti e ingrossano i suoi confluenti nell’inverno. Anticamente, quando le selve non erano ancora distrutte, quelle inondazioni erano molto maggiori che al presente.
  2. Legno brasile; legno santo.
  3. È il nome del Noè indigeno. La tradizione recava che nell’occasione del diluvio egli si salvò sull’occhio d’una palma, e poscia popolò la terra. La leggenda di Pery è un’imitazione.
  4. Della possibilità e verosimiglianza del fatto, in cui traducemmo la tradizione indigena, facendo riparar Pery con Cecilia sull’occhio di una palma, solo può dubitare chi non vide quegli alberi delle foreste brasiliane, specialmente quando nelle piene i fiumi li svelgono dalle rive, e via li portano sul loro dorso.