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Nell’Albergo del Panorama tutti erano in faccende: sopra a tutti le signorine e i ragazzi, in un gaio andirivieni con fasci d’ellera e di rododendri fra le braccia. Nell’agosto il prato ha pochi fiori, e vi supplivano con mazzi d’erica, cardi selvatici e rami spinosi carichi di more, che sembravano orribili a certe signore e destavano gli entusiasmi di una signorina artista che s’incaricava di ornare il salotto di lettura e il grande salone da pranzo. Avevano messo del verde dappertutto; avevano nascosto gli usci della cucina e della cantina con intieri rami di larice e di pino, e sulle pareti e negli angoli erano trofei di verde.

Sarebbe arrivata la Regina!

«La Regina della Svizzera o dell’Italia» chiedeva un bimbo dell’asilo a un suo compagno. [p. 168 modifica]

«Dev’essere quella della Francia, dove va il mio papà a lavorare» rispose l’altro. «Allora io dirò alla mamma di darle una lettera per il mio papà.» Ma in quella la maestra, che stava aggruppandoli intorno alla fontana della piazza, insegnò loro di gridare: Viva la Regina d’Italia! — e il bimbo fu molto spiacente per la sua lettera.

«Verrà coi corazzieri?» dimandò un ragazzetto dell’elementare al maestro. «No, no: solamente col suo seguito: le dame e i cavalieri.»

«Chi sa che bei cavalli colle gualdrappe rosse e oro!» E una bambina diceva: «La Regina avrà il manto e anche la corona, come la nostra Madonna del Santuario.»

La piazza era affollata: sui terrazzini della casa comunale e della locanda sventolavano le bandiere tricolori. Sui gradini della piccola chiesa spalancata era disteso un tappeto. Il Sindaco, il Curato e il segretario uscirono a dar un’occhiata agli scolari, a far loro raccomandazioni e allinearli come soldatini, e fecero sgombrare il centro della piazza da tutte le mamme che avrebbero voluto esser vicino ai ragazzi per vederli riverire la Regina.

Di uomini ce n’eran pochi: quasi tutti all’estero a far il muratore o lo sterratore, ma que’ pochi, un gruppo là di fianco alla locanda, erano un bel campione del sesso forte del paese.

Vincenzo, alto, con la sua gran barba grigia che conservava ancora un fondo nero: diritto della persona, colle spalle quadre e due enormi piedi calzati di scarponi ferrati, era sempre la vecchia guida conosciuta da tutti gli alpinisti d’Italia e d’Inghilterra, i quali venivano ancora a chiamarlo per salire alle vette più difficili e pericolose. [p. 169 modifica]

Vicino a lui, più alto di lui, c’era un altro colosso i cui capelli biondi contrastavano col bruno dell’altro. Il vecchio gli teneva una mano sulla spalla e pareva dire: questo è degno di succedere a me!

Arrivò correndo il figlio dell’albergatore. «È qui! è qui! È a piedi: ha svoltato l’angolo della cappelletta.»

Tutti i ragazzi sorrisero impazienti, schierandosi meglio: gli assessori si tirarono un passo indietro dal sindaco e le signore fecero ala alla porta della locanda formando un gruppo vivace colle loro vesti chiare e colorate e i grandi cappelli di paglia.

Arrivando su dalla strada mulattiera si sbuca subito nella piazza, che par metter lì tutto quel di meglio che possiede per far accoglienza a chi arriva. E la Regina si fermò, sorpresa, come davanti a un palcoscenico.

«È lei? mai più! sì, è lei! evviva la Regina!»

Sempre ferma, appoggiata all’alto bastone ferrato, Ella sorrise salutando.

«Ma non ha il manto! non ha la corona. Eppure è lei, è lei!»

«Non è a cavallo.... e neppure in lettiga. Dove sono i cavalieri? dove sono i corazzieri?»

Aveva seco una signora e una signorina vestite di panno blu, molto semplicemente, e tre signori col cappello a punta ornato di una penna di fagiano, i pantaloni corti e le ghette alte. Ed ella, la Regina, la prima signora d’Italia, era lì vestita come le montanare valdostane: gonnella corta orlata di rosso, grembialino di seta nera, bustina di velluto verde da cui usciva a sbuffi la camicia di tela bianca; in testa un cappello di panno verde colla tesa diritta, foderata [p. 170 modifica]di seta rosa pallido coi nastri rosa svolazzanti. Ma, fossero le perle che aveva al collo o i grossi orecchini di brillanti che scintillavano al sole, o fosse la bella persona, nessuno l’avrebbe presa per una montanara: era regina meglio che se avesse avuto il manto e la corona.

Non faceva che passare da quel villaggio di montagna per salire a vette più alte: aveva quasi i minuti contati se non voleva arrivare troppo tardi alla vetta, eppure non il più piccolo segno d’impazienza o di noia vedendosi arrestata da quella schiera di fanciulli che aveva fiori da presentarle, poesie da recitare. Ascoltò attenta il discorso del sindaco, accolse gli omaggi di tutti, entrò in chiesa a far una breve preghiera e vi ammirò un antico affresco, e quando finalmente giunse alla porta della locanda, s’arrestò ancora per salutare con un cenno della mano e un sorriso la vecchia guida che conosceva da un pezzo.

«M’accompagnate voi, non è vero?» dimandò.

«Maestà, non vorrei cedere questo onore a nessuno, neppure se fossi moribondo.»

«È vostro figlio questo? Che omone!»

«Maestà: non è mio figlio, vorrei che lo fosse: è una guida che fra pochi anni tutti conosceranno. Oggi avrà il suo battesimo. Se Sua Maestà lo permette, viene ad accompagnarla.»

«Oh nessun giudice migliore di voi, Vincenzo. Intanto ditemi come si chiama.»

Il giovane, ch’era sempre rimasto in silenzio, colla testa alta ed il viso che si coloriva a vampate per l’intensa soggezione, rispose colla voce tremante, ma forte: «Mi chiamo Natale Martinez, per servirla.»

Due giorni dopo, il vecchio Vincenzo e Natale, [p. 171 modifica]dopo aver accompagnata la Regina al di là del monte, superando il ghiacciaio, ritornavano a casa. Era una notte senza stelle e ci voleva la loro pratica della montagna e il loro coraggio per viaggiare così al buio. Ma non badavano neppure alla strada, tutti presi dalla soddisfazione di quella traversata compiuta così felicemente, malgrado un’improvvisa tormenta e inaspettati crepacci formatisi in quei giorni. Vincenzo non aveva voluto cedere a nessun altri l’onore di sporgere il braccio a Sua Maestà, di tagliarle i gradini nel ghiaccio, di tenerla legata alla sua corda nelle salite più ripide, ma aveva trovato modo di far valere anche la prontezza, la calma, l’occhio e il piede sicuro del suo allievo, il quale guidava dietro a loro la dama che accompagnava la Regina. In un certo punto essa era stata presa da una spossatezza e da un capogiro che potevano riuscirle pericolosi, e Natale la sollevò nelle sue braccia e la portò per un tratto, fino a un posto dove si potesse fermare, e lo fece con un rispetto, una rapidità, e una tale delicatezza, che la dama e la Regina non poterono a meno di osservare e lodare fra loro parlando francese. Vincenzo, che era stato in Francia, capì tutto e lo riferì poi a Natale tornando.

L’affezione veramente paterna che dimostrava Vincenzo a Natale, inteneriva quest’ultimo e gli apriva il cuore. Di discorso in discorso si lasciò andare quella sera a confidargli il suo dolce segreto, i suoi progetti per l’avvenire.

Voleva tanto bene, da molti anni, a una ragazza; una povera ragazza che dopo aver avuto un’infanzia malinconica e dura, ora aveva una giovinezza infelice. La miseria della sua famiglia le dava un senso di [p. 172 modifica]umiliazione, e la teneva sempre lontana dalle ragazze della sua età....

Vincenzo ascoltava, e quando Natale tacque, disse col suo vocione da basso profondo: «Tu non mi dici il nome della ragazza, ma non sarei Vincenzo se non l’avessi capito. Pensaci bene, ragazzo mio, io ho paura che tu ti lasci tirare dal tuo buon cuore per compassione della sua vita triste. Tu sei uno dei giovani meglio provvisti della valle e puoi sposare anche una ragazza ricca: sei figlio unico, hai casa, terre e bestie....»

«Dunque non ho bisogno che la moglie me ne porti» rispose Natale. «Basta: alla ragazza non ho ancora parlato, ma il cuore mi dice che anche lei mi vuol bene e sarà contenta di entrare in casa nostra.»

«Lo credo bene, ragazzo mio! Ah ahi un giovinotto più modesto di te, non si trova a girar tutto il mondo!»

«Modesto, dite! Ma non sapete che ho qui il cuore che mi scoppia dalla superbia, e non vedo l’ora di essere a casa per raccontare a mio padre e a mia madre tutto quello che la Regina ha detto di me?»

Erano arrivati alle prime case del paese e s’erano fermati per salutarsi vicino a un filare d’alberi al di là del quale era un grosso mucchio di letame.

«Tu sai che questo farà loro piacere» rispose Vincenzo sorridendo. «Ma se non ci fossi io a raccontarlo fuori, a tutto il paese, si può star certi che dalla bocca tua non ne uscirebbe una sillaba. Buon riposo, Natale, e sogna una sposa ricca, bella, che sia l’invidia del paese come lo sei tu!»

«L’invidia porta sfortuna, Vincenzo. Mi basta che della mia sposa il paese dica quello che dice della [p. 173 modifica]mamma: — una donna migliore è difficile trovarla. E vedrete che lo diranno tutti. E un diamante nascosto in mezzo alla polvere, ma quand’io l’avrò tirato fuori, tutti stupiranno di trovarlo così lucente!» Risero tutti e due e si lasciarono, non accorgendosi che una testa si era sollevata al di sopra del letamaio, tendendo gli orecchi per ascoltare.

Natale si fece largo fra i rami degli alberi pensando di attraversare il prato per arrivare più presto a casa: e nel momento che passava proprio rasente al mucchio di letame, gli parve di udire un colpo di tosse rattenuto, accompagnato da un fruscio. S’arrestò e chiese colla sua voce forte e sicura: — chi va là! Nessuno rispose: egli, fermo, senza l’ombra di paura, disse forte, colla certezza di parlare a qualcuno nel buio. «Fatti avanti: chi sei? le bestie non tossiscono cosi, ch’io sappia; e i galantuomini non si nascondono.» Aguzzava gli occhi per distinguere nell’oscurità, e fece il giro del mucchio di letame, ma non trovò nessuno. Si levò allora lo zaino da viaggio dalle spalle, e stava cercando zolfini e lampione quando una tosse insistente, prepotente, risonò dall’alto.

La voce di Natale tuonò: «Scendi, se no ti piglio! voglio vedere chi è quell’animale che va a dormire in un simile letto!»

Un’ombra nera si lasciò scivolar giù, e quell’atto pauroso, prima ancora che la lampadina accesa illuminasse il volto di quello sconosciuto, gli fece riconoscere chi fosse.

«Innocente?! cosa facevi lassù?»

«Dormivo» rispose colla voce rauca.

«Bel posto davvero! se non vuoi star in casa, c’è prati e foglie fin che vuoi, qua intorno!» [p. 174 modifica]

«Lassù c’è più morbido» disse Nocente con una smorfia.

«E puoi anche pigliarti una malattia: sei giallo come un limone e senti che tosse! vuoi proprio rovinarti la salute, matto!»

«Meglio rovinar la salute che andar soldato!» rispose colla voce cupa il giovane, ch’era così patite da sembrar già un vecchio.

Alla mente di Natale balenò allora la verità, e i suoi occhi mandarono fiamme. «Non ci arrivavo a capirlo se tu non me lo dicevi, vedi! perchè le persone oneste certe bricconate non le sanno neppur sospettare. Ah ti metti qua a dormire per rovinarti la salute e così essere scartato alla visita! vigliacco!... Già, lo sei sempre stato fin da ragazzo, fin da quando eri alto due spanne. Hai paura, eh! a far il soldato? paura di dover faticare, fannullone! che lasci portar le gerle piene alle tue sorelle e te ne stai tutto il giorno a pipare e a bere coi denari che gli altri guadagnano!... Se ne vadano gli altri a farsi ammazzare per la Patria, vero? ma tu, figuratevi! è così preziosa la tua vita!... Ah! bada che se ora non vado a denunciarti ai Carabinieri non è certo per amor tuo, chè meriteresti una volta o l’altra una lezione! E ora, avanti, marsh! in casa! se non vuoi che ti faccia sentire la forza delle mie mani.» E se lo fece camminar davanti, facendogli ogni tanto sentir la punta ferrata del suo bastone, come mandasse avanti una bestia recalcitrante. Quando furono arrivati alla casa, Nocente in un salto fu sul fienile, e di lassù, al sicuro, lanciò a Natale una pioggia di insulti.

«Va, che il vigliaccone sei tu! perchè sai d’essere grosso e forte, fai il prepotente! ma verrà per te il [p. 175 modifica]giorno del castigo! ah, ah! buon riposo! sogna la tua sposa ricca che deve far crepare d’invidia tutto il paese! ah! la vedremo! verremo a farti la serenata!»

Natale si fermò, come impietrito dalla biliosa malignità che prorompeva da quella bocca cattiva; e, ferito nell’allusione alla sua sposa gridata da quel giovane spregevole proprio lì in quella casa, non trovò voce nè forza di rispondere; udì una finestrina aprirsi, udì una voce chiedere chi gridasse, e non seppe far altro che fuggire giù per il prato, verso casa sua.

La voce era quella di Raffaella. «Perchè gridi tanto, Nocente? che è successo?»

«Oh niente! è quel bestione di Natale. È rabbioso perchè la Regina non ha voluto saperne di lui e l’ha rimandato indietro, e se la piglia con me! Ma la vedremo per l’avvenire! Adesso io ho scoperto il suo segreto; che vuol riuscir a sposare una certa ragazza ricca per far morir d’invidia tutto il paese, e se non vuol che vada in piazza a dirlo dovrà ben rispettarmi, quel vigliaccone!»

Raffaella, aggrappata al davanzale della finestra aveva anch’essa impallidito, anch’essa colpita al cuore dalle parole di Nocente. Richiuse la finestra colle mani tremanti e si buttò barcollando sul letto.