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«Dev’essere quella della Francia, dove va il mio papà a lavorare» rispose l’altro. «Allora io dirò alla mamma di darle una lettera per il mio papà.» Ma in quella la maestra, che stava aggruppandoli intorno alla fontana della piazza, insegnò loro di gridare: Viva la Regina d’Italia! — e il bimbo fu molto spiacente per la sua lettera.

«Verrà coi corazzieri?» dimandò un ragazzetto dell’elementare al maestro. «No, no: solamente col suo seguito: le dame e i cavalieri.»

«Chi sa che bei cavalli colle gualdrappe rosse e oro!» E una bambina diceva: «La Regina avrà il manto e anche la corona, come la nostra Madonna del Santuario.»

La piazza era affollata: sui terrazzini della casa comunale e della locanda sventolavano le bandiere tricolori. Sui gradini della piccola chiesa spalancata era disteso un tappeto. Il Sindaco, il Curato e il segretario uscirono a dar un’occhiata agli scolari, a far loro raccomandazioni e allinearli come soldatini, e fecero sgombrare il centro della piazza da tutte le mamme che avrebbero voluto esser vicino ai ragazzi per vederli riverire la Regina.

Di uomini ce n’eran pochi: quasi tutti all’estero a far il muratore o lo sterratore, ma que’ pochi, un gruppo là di fianco alla locanda, erano un bel campione del sesso forte del paese.

Vincenzo, alto, con la sua gran barba grigia che conservava ancora un fondo nero: diritto della persona, colle spalle quadre e due enormi piedi calzati di scarponi ferrati, era sempre la vecchia guida conosciuta da tutti gli alpinisti d’Italia e d’Inghilterra, i quali venivano ancora a chiamarlo per salire alle vette più difficili e pericolose.