XVII

../XVI ../XVIII IncludiIntestazione 9 gennaio 2022 75% Da definire

XVI XVIII

[p. 129 modifica]

XVII.

Quando Natale rivide Dorina, erano passati tre mesi, e la povera ragazzetta che se ne stava tutto il giorno colle mani in grembo ad ascoltare le fitte nelle sue ossa malate, e a guardar dalla finestra, la infelice creatura sospettosa e piena di paure, era sparita. Seduta nel vestibolo, Dorina era occupata a insegnare alla cameriera, che sarebbe partita l’indomani, una trina all’uncinetto, molto difficile, a quel che pareva.

«Oh» fece con un sorriso, vedendo entrare Natale, e arrossì tutta di piacere, ma non parlò, e abbassò subito gli occhi, intenta com’era a contare le maglie del suo lavoro. Finalmente disse: «Oh, Natale!... quanto tempo che non ti si vede! sei proprio un orso: ti facevan paura i forestieri?... Vieni, vieni: t’assicuro che non ce n’è più neppur uno: è proprio una malinconia la casa così vuota.» [p. 130 modifica]

Natale si sedette. «Sei tutta cambiata,» disse guardandola fisso come per cercare nelle linee del viso la Dorina di prima: «Sei ingrassata un poco, e poi.... non so cosa sia.... sei cambiata insomma.»

«Vedi come muovo le mani, ora? ho imparato a far la trina coll’uncinetto. Guarda questo cestino; è pieno di piccoli campioni, tutti di disegno diverso.»

«E quei libri sono tuoi?» dimandò Natale vedendo sul tavolino lì accanto un mucchio di libri e libroni.

«Ma sì!... tutti regali dei forestieri. Quelli lì grandi sono illustrati, sai? Te li presterò da leggere.»

Che aria di donnina aveva preso! Natale provava quasi un senso di soggezione, ma nello stesso tempo un gran sollievo.

Chi è buono davvero, soffre di veder qualcuno con aria umile davanti a sè, o di possedere qualche cosa che altri non ha. Se ha ingegno, proverà una pena innanzi a gente dall’intelligenza limitata, che dice spropositi, e cercherà di far sentire meno che può la sua superiorità. Se è sano e robusto, tacerà davanti ai malati e ai deboli tutte le prove della sua salute. Natale, innanzi alla miseria e alla infermità provava una sofferenza che somigliava a un rimorso: egli si chiedeva che cosa avesse fatto per meritarsi d’essere privilegiato: si sentiva debitore verso gli infelici e si crucciava di non sapere come pagare il suo debito.

Fu dunque una vera gioia per lui di ritrovar che Dorina sapeva ora tante cose che egli ignorava: il contatto coi signorini le aveva dato l’abitudine di parole e di gesti che gli sembravano pieni di una grazia la quale poneva la sua amica in alto, — così in alto, da essere superbia il considerarsi ancora suo eguale. [p. 131 modifica]

Ora Natale sfogliava un librone rilegato di rosso a fregi d’oro, una raccolta di fiabe tedesche, tradotte.

«Oh» esclamò a un tratto «ecco qua la Raffaellina tale e quale! colle sue guancie rosse e i suoi occhietti lucidi e neri.»

«Lascia che veda» disse Dorina. Natale le porse il libro aperto ed ella guardò seria seria, ma non parlò. Però, dopo aver lavorato un poco alla sua trina, disse: «com’è cambiata quella Raffaella! io non l’ho mai vista proprio da vicino, ma mi pare che ora non abbia nulla di bello!»

Questa volta fu Natale che si mise a pensare se Raffaella fosse bella o brutta: non ci aveva mai badato, e alzò la testa a guardar Dorina perchè anche di lei non aveva mai pensato di giudicare se fosse bella o brutta.

«Raffaella non ha i capelli fini e biondi di Dorina» osservò fra sè «non ha la pelle così bianca e quelle manine sottili.» Oh come gli parve bella la piccola inferma in quel punto! così fragile, così trasparente, tutta rosata dal sole che tramontava, come un vaso di porcellana messo contro la luce. Gli balenò alla mente una siepe di biancospino. Dorina era il fiore bianco, leggero che a toccarlo si sciupava. Raffaella era il fruttino rotondo e rosso che piace tanto ai bambini. Poi osservò le sue proprie mani, larghe, abbrunite dal sole, sciupate dal lavoro, e pensò: non son proprio degne di star su questi bei libri e vicino a questa ragazza. Però cedette alle insistenze di Dorina e si portò a casa il librone delle fiabe.

Riportandoglielo una settimana più tardi, disse: «La mamma ha guardato le figure e trovò anche lei che Cappuccetto rosso somiglia tutto a Raffaella.» [p. 132 modifica]

Allora Dorina si fece raccontare della sua amicizia infantile con la piccola bruna dagli occhi lucenti, e come le si gonfiò il cuore d’amarezza pensando a quanto avevano goduto quei due — di sole, di libertà, di verde e d’allegria, mentre ella era rimasta in una camera, senza amici, e tanto sofferente.

Oh se fosse stato possibile tornare indietro tutti quegli anni! — Perchè non ho conosciuto prima Natale? — si diceva. — Ma ora mi voglio ripagare. Raffaella l’ha avuto abbastanza: ora tocca a me. —

Quell’inverno infatti si videro spesso: l’albergatrice s era legata d’amicizia con la buona Grazia, e serbava gratitudine a Natale per aver deciso Dorina a lasciarsi vedere dai forestieri.

Dorina però non ne parlò più, e si sarebbe detto che l’avesse dimenticato, se la sua affezione per Natale non si fosse palesata nel desiderio di fargli parte di tutto ciò che procurava piacere a lei. Se la mamma faceva delle paste dolci: — mandiamone un poco a Grazia? — diceva. (Diceva Grazia, ma pensava Natale). A capo d’anno aveva ricevuto dalla sua amica Ina un grosso panettone e subito aveva detto: — Invitiamo i Martinez a venir su a mangiarlo con noi? —

E come godeva di veder con quanto interesse Natale leggeva i suoi libri. Ce n’erano alcuni che ella non aveva letto ancora perchè erano un po’ difficili, ma gli diceva: «Tu però li puoi leggere: a te piaceranno.»

Qualche volta pensava con una segreta soddisfazione: — certo Raffaella avrò disimparato a leggere: non vedrò più neppure una pagina stampata. — [p. 133 modifica]

In quella primavera arrivò l’annuncio che il Vescovo avrebbe risalito la valle, in tutti i suoi villaggi più nascosti. Erano quindici anni che non veniva, e tutto il paese si mise in moto. Giovinetti e bambini in fasce avrebbero ricevuto la cresima insieme ai ragazzi: ed anche uomini, padri di famiglia, che, assenti dal paese nell’altra occasione, non si erano mai fatti cresimare.

Il Vescovo fu preceduto da un missionario che tenne delle prediche di preparazione, e fu in quel sereno principio d’aprile un rifiorire in tutti i cuori di sentimenti religiosi. Fino a sera tardi la chiesa risplendeva di lumi e risonava di canti, e in tutte le case non si parlava d’altro che di prediche, di cresima e di preparativi; il mercato di Varallo aveva visto quella settimana una folla di montanare scese a far acquisti di stoffe, di scarpe e di veli bianchi.

Natale era profondamente compreso del sacramento che avrebbe ricevuto: parlava poco, ma con una sentita religiosità che aveva, come ogni cosa in lui, un carattere speciale. Poiché era strano in quel ragazzo il contrasto del candore infantile con la gravità già virile, come quello del suo gran corpo già perfettamente proporzionato — senza gli squilibri dei ragazzi che crescono troppo — e del suo viso così serenamente infantile. Era forse la sua statura che gli impediva di correre e di saltare come gli altri ragazzi della sua età? Era un senso di timidezza di essere diverso dai suoi compagni, di destare sorprese e ammirazioni in tutti, che lo teneva lontano dalle brigate e gli faceva prediligere la sua casa e i suoi cari? [p. 134 modifica]

Il fatto è che c’era in lui una serietà insolita nei fanciulli, ma tutta, direi, interiore; poichè anche di essa egli si sentiva spesso intimidito e cercava di farsela perdonare con una dolcezza esteriore, una bontà così pronta che disarmava tutte le invidie e le diffidenze.

Ora egli era il più assiduo alle prediche del missionario, e andava ogni sera a ripeterle a Dorina che non poteva assistervi. Gli pareva di non aver mai conosciuto la religione fino allora, e diceva a sua madre: — Perchè non m’avete mai detto questo? perchè non mi hanno mai raccontato la vita di Gesù così: e tutto quello che Egli ha detto? —

Il Vescovo arrivò verso sera, in uno degli ultimi giorni d’aprile; una tepida sera serena, a piedi, su per il sentiero della montagna. Lo accompagnò fino al confine la popolazione e il clero dell’altro comune. Una lunga fila serpeggiante sui prati di un verde tenero, smaltato di margherite e di ranuncoli, sotto i meli e i noci in fiore: gli uomini della confraternita in lunghe vesti bianche e piccole cappe rosse, le fanciulle vestite di chiaro con veli bianchi, portanti gli azzurri stendardi della Madonna e coi ceri accesi, che brillavano come macchie gialle sulle siepi ancora insecchite.

Arrivati alla pietra di confine, gli stendardi e le croci d’argento si abbassarono, il baldacchino si ripiegò, e il vescovo passò sotto quello dell’altra parrocchia tutto a splendidi ricami d’oro su fondo rosso. C’era ad aspettarlo tutto il paese, e la nuova processione più numerosa, si avviò intonando le litanie con voce forte e lieta, mentre la prima si disperdeva: le donne e le fanciulle commosse e dolenti che tutto [p. 135 modifica]fosse finito, i ragazzi felici delle feste godute, precipitandosi a salti a salti giù per la valle giù in ombra Gli altri intanto salivano la montagna ancora illuminata dagli ultimi riflessi del sole tramontato, animati da un sodio d’idealità che elevava tutti i cuori.

Un solo, un piccolo cuore di fanciulla quel giorno soffriva.

Dorina si sarebbe fatta portare l’indomani in chiesa a ricevere la Cresima, ma al momento dell’arrivo del Vescovo essa era sola in casa, nel paese deserto e silenzioso, colle mani giunte dolorosamente in grembo come quando se ne stava in camera a pensare sempre ai suoi mali. Ora soffriva di un dolore forse non meno acuto, che le dava fitte nell’anima invece che nelle ossa. Ella, alla cui volontà tutto piegava sempre, perchè non aveva intorno che persone che l’adoravano e si studiavano di contentarla in ogni cosa, ella ora non aveva potuto fare che una cosa non fosse.

Ed ecco cosa. Vincenzo si era offerto di essere padrino di cresima a Natale, e Dorina era stata ad aspettare che Grazia si offrisse d’essere madrina a lei: ma l’offerta non veniva, e allora le dissero del desiderio di Dorina.

Oh, ella si teneva così sicura che avrebbe detto subito di si! invece rispose spiacente che non lo poteva, perchè aveva già la sua figlioccia: Raffaella de’ Caprezzi.

Ecco sfasciato il bel sogno di Dorina, di passare quella giornata con Natale, di averlo li alla loro tavola con suo padre e sua madre e Vincenzo.

Una fiammella di rancore contro Raffaella s’accese in lei. Che cosa aveva questa figliola di contadini, [p. 136 modifica]rozza e miserabile, per attirarsi così la tenerezza di Grazia e l’amicizia di Natale? perchè veniva ora ad avvelenarle una giornata così bella?

E si mise a piangere lamentosamente: il suo pianto di quando se ne stava sola ore ed ore l’estate nella sua camera, o nella dispensa umida e buia.

Se ne impaurì ella stessa e serrò le labbra, troncò il lamento. No! la Dorina d’allora non ci doveva essere più. Natale ne aveva fatto, con una parola, una buona Dorina che non pensava più a sè; senza superbie, e che tutti amavano: una Dorina che sapeva godere di tante piccole gioie del mondo.

Si asciugò presto gli occhi: pensò che si era confessata quel pomeriggio e non doveva macchiarsi l’anima con un peccato, e si sforzò di ricomporsi il viso calmo e sorridente. Ma dentro, qualche cosa era rimasto raggrinzito e duro.

«Non è per invidia,» disse fra sè dopo un poco, «è soltanto per pensarlo.... così.... Perchè Raffaella, che sta così bene di salute, che è forte, alta, e può fare quello che vuole, può andare quando vuole in casa di Grazia, perchè, lei che è andata anche incontro al Vescovo, deve essere tenuta a cresima da Grazia e io no?»

In quel momento la porta di strada cigolò e il viso timido di Grazia comparve fra i battenti socchiusi.

«Sei sola? L’ho pensato» disse entrando. «Il paese è vuoto: non c’è che la vecchia Carolina a letto, il povero Martino che s’è rotto la gamba l’altro ieri quando stava preparando l’arco di trionfo, e Peppo su in cima al campanile, che sta pronto per suonar le campane. A momenti saranno qui. Ecco ecco! senti le campane? è segno che il crocefisso della [p. 137 modifica]confraternita è arrivato al ponte. Vuoi che ti porti fuori?»

«No, grazie,» rispose Dorina, «la mamma mi ha promesso di correre avanti e di portarmi su alla finestra.»

«Come vuoi.» E le si sedette accanto. «Sono Venuta per farti ancora le mie scuse: mi è parso che sei rimasta un po’ spiacente perchè non posso essere la tua madrina. Ma tu che sei tanto buona devi goder di pensare che lo sarò di quella povera figliola infelice».

«Oh, infelice?! Raffaella?»

«Ma sì, cara. Se tu sapessi che vita dura è la sua. Lavorare dalla mattina alla sera, a lavori così faticosi che non so come ci resista, e non aver mai un compenso! mangiar male, non aver mai il piacere di un vestito nuovo, — la vestono sempre cogli abiti smessi dalla mamma o da Savina: non aver mai un soldo per sè, mai una giornata di sollievo! E pazienza ancora tutto questo; ma se almeno la compensassero con qualche buona parola! ma i fratelli più grandi sono sempre in Svizzera o in Francia a lavorare, e quelli che sono in casa non fanno che strapazzarla. Non parliamo poi di Nocente; quello non le dà che pedate dal giorno che è tornata dalla balia. Sua madre, povera donna, sempre irritata, sempre crucciata, ora più che mai dopo la morte di suo marito, grida a volte perchè gli altri trattano male Raffaella, ma non s’accorge che lei non la tratta meglio Savina, ora che ha preso marito lo dice: che la sua casa è proprio un inferno.»

«Sì, ma Raffaella sta bene, è forte ed allegra.» «Oh, per salute, sì, ne ha» rispose Grazia con un [p. 138 modifica]malinconico sorriso. «Ma non può goderne; vedi; non se ne accorge che perchè deve sopportar fatiche, lo credo, guarda, che se si ammalasse e il medico dicesse: dovrai star tre mesi a letto.... povera creatura, forse le parrebbe una beatitudine! E allegra; tu dicevi ch’è allegra: come vuoi tu che lo sia? Io non 1 ho mai sentita cantare, nè l’ho vista più ridere da molti anni in qua. Non è mai stata del resto una bimba chiassona: è una cara, tanto tanto buona, che sin da bambina, quand’era un cosino alto cosi, non pensava mai a sè, soffriva senza lamentarsi. Quando vi guarda con quei suoi occhioni neri, sembra implorare: ditemi una buona parola: fatemi una carezza! non domando altro!... Oh, ma è già qui la processione! senti!»

Infatti la porta si spalancò e l’albergatrice, tutta trafelata, esclamo: «presto, presto, vieni fuori; non c è tempo di salire in camera.» E aiutata da Grazia sollevò Dorina colla sua seggiola e la portarono fuor della porta.

Il crocefisso e lo stendardo della confraternita sono già passati, ecco sotto al baldacchino il vecchio Vescovo dai capelli d’argento, tanto magro e pallido che pare impossibile sia arrivato sin lassù a piedi e abbia la forza di benedire sorridendo il paese, la bella piazza nel cui mezzo zampilla la fontana tutta ornata di verde in suo onore. Accanto a lui è il Curato, e all’altro fianco il Sindaco, il babbo di Dorina, il quale, nel momento che il Vescovo volta il viso verso la sua casa e vede le due donne inginocchiate ai lati della fanciullina seduta, dice con voce commossa: «è la mia povera figliola inferma.»

Allora il Vescovo s’avvicina. Dorina ha compreso, [p. 139 modifica]e tutta turbata tenta di alzarsi, ma è obbligata ad appoggiarsi con le mani, una di qua e una di là, sulle spalle della mamma e di Grazia sempre inginocchiate.

Tutte le bambine coi veli bianchi le si affollano intorno, e Dorina pensa: — Oh Dio! ho la testa scoperta! perchè non ho messo anch’io il velo bianco? Ma ecco che nel momento in cui il Vescovo alza la mano a benedirla un velo si posa sul suo capo, un grossolano velo di tulle, che se ne sta rigido rigido, ma che sembra a lei in quel momento come una nuvola benedetta che la toglie alla soggezione di tutti quegli sguardi, e le raccoglie l’anima distratta.

Quando il Vescovo l’ha benedetta e accarezzata e si avvia verso la chiesa, ella si lascia ricadere sfinita sulla seggiola e si guarda intorno. Tra le ragazzine col velo che le son dietro, c’è una testa bruna scoperta: due occhioni neri la guardano fissa quasi a implorar scusa di aver ardito mettere sulla sua testina bionda un velo così ruvido. Dorina chiede dolcemente:

«Sei Raffaella?» E una voce commossa risponde.

«Sì» ma gli occhi sorridono non più timorosi e sembrano dire: — grazie d’averlo aggradito; come sei buona!

L’indomani la bionda infermina, tutta vestita di bianco, fu portata in chiesa un’ora prima che s’affollasse, e a tenerle compagnia vennero Grazia e Raffaella. Le due fanciulle, sedute vicino, sfogliarono insieme il libro di preghiere di Dorina, pieno di santini colorati; poi lessero sottovoce insieme l’orazione di preparazione alla cresima. Oh quanta dolcezza scendeva nel cuore di Raffaella: le pareva di sognare nel trovarsi, lì tutta appoggiata a quel bell’abito di lana bianca, morbido come un agnellino; a sentire il [p. 140 modifica] profumo di lavanda che usciva dal velo ricamato di Dorma che le sfregava il viso. Era l’amica di Natale; Nocente gliel’aveva detto tante volte credendo di farle dispetto, chi sa perchè, e invece essa era tanto contenta di saper che Natale andava sempre all’albergo e tutti gli volevano bene.

Ecco: egli arriva; è là davanti a loro, nella fila dei maschi: com’è alto! più di molti uomini; e come sta bene tutto vestito di nero colla camicia insaldata e la cravatta blu! Le due fanciulle lo guardano, ed egli se ne sente impacciato, non osa voltar gli occhi verso di loro; s’accorge però che sono diventate amiche e ne e contento, tanto contento; non sa se per Raffaella o per Dorina; per tutte e due, gli pare.

Ma non vuol distrarsi, raccoglie tutti i suoi pensieri sul sacramento che deve ricevere, se ne sente fiero; è il secondo battesimo: appena nato gli altri lo fecero cristiano, ora è lui che lo vuol essere: diventerà un soldato di Cristo: gli par di doversi preparare a una battaglia e si sente infiammato di vigore e di desiderio di lotta; tiene la fronte così alta che Vincenzo di dietro, gli dice: «hai il padrino più alto del paese, ma quasi quasi egli non arriva a metterti la mano sulla testa.»

Quando il vecchio Vescovo giunge davanti a lui è obbligato ad alzare il capo per guardarlo.

«È un ragazzo» dice il Curato «non ha che quindici anni, ma è già un uomo nel fisico e nel morale.»

«Che omone!» esclama con fievole, dolcissima voce il Vescovo, e dopo aver fatto sulla fronte bianca di Natale il crisma, aggiunge ponendogli una mano sulla spalla. «Quando si ha di queste spalle si devono portare senza lagnarsi le croci della vita.» Il fan[p. 141 modifica]ciullo esitando e arrossendo mormora qualche cosa che il vecchio sacerdote non afferra.

«Che cos’hai detto?»

«.... che potrò portare anche quelle degli altri.»

«Bravo, bravo! mi piace!» esclama il vescovo sorpreso della risposta. «Dio dà la salute e la forza non per usarne male, vero? ma per renderci possibile di fare il maggior bene.»

Grazia, la piccola Grazia, tutta nascosta e pigiata fra i suoi due grossi uomini e quell’altro colosso di Vincenzo, ha udito le parole di suo figlio, ha udito la risposta del santo vecchio, e china umile e beata la testina fra le mani, dicendo fra sè: — Dio sia lodato: la mia preghiera di quand’era bambino è stata esaudita! —