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rozza e miserabile, per attirarsi così la tenerezza di Grazia e l’amicizia di Natale? perchè veniva ora ad avvelenarle una giornata così bella?

E si mise a piangere lamentosamente: il suo pianto di quando se ne stava sola ore ed ore l’estate nella sua camera, o nella dispensa umida e buia.

Se ne impaurì ella stessa e serrò le labbra, troncò il lamento. No! la Dorina d’allora non ci doveva essere più. Natale ne aveva fatto, con una parola, una buona Dorina che non pensava più a sè; senza superbie, e che tutti amavano: una Dorina che sapeva godere di tante piccole gioie del mondo.

Si asciugò presto gli occhi: pensò che si era confessata quel pomeriggio e non doveva macchiarsi l’anima con un peccato, e si sforzò di ricomporsi il viso calmo e sorridente. Ma dentro, qualche cosa era rimasto raggrinzito e duro.

«Non è per invidia,» disse fra sè dopo un poco, «è soltanto per pensarlo.... così.... Perchè Raffaella, che sta così bene di salute, che è forte, alta, e può fare quello che vuole, può andare quando vuole in casa di Grazia, perchè, lei che è andata anche incontro al Vescovo, deve essere tenuta a cresima da Grazia e io no?»

In quel momento la porta di strada cigolò e il viso timido di Grazia comparve fra i battenti socchiusi.

«Sei sola? L’ho pensato» disse entrando. «Il paese è vuoto: non c’è che la vecchia Carolina a letto, il povero Martino che s’è rotto la gamba l’altro ieri quando stava preparando l’arco di trionfo, e Peppo su in cima al campanile, che sta pronto per suonar le campane. A momenti saranno qui. Ecco ecco! senti le campane? è segno che il crocefisso della