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Natale si sedette. «Sei tutta cambiata,» disse guardandola fisso come per cercare nelle linee del viso la Dorina di prima: «Sei ingrassata un poco, e poi.... non so cosa sia.... sei cambiata insomma.»

«Vedi come muovo le mani, ora? ho imparato a far la trina coll’uncinetto. Guarda questo cestino; è pieno di piccoli campioni, tutti di disegno diverso.»

«E quei libri sono tuoi?» dimandò Natale vedendo sul tavolino lì accanto un mucchio di libri e libroni.

«Ma sì!... tutti regali dei forestieri. Quelli lì grandi sono illustrati, sai? Te li presterò da leggere.»

Che aria di donnina aveva preso! Natale provava quasi un senso di soggezione, ma nello stesso tempo un gran sollievo.

Chi è buono davvero, soffre di veder qualcuno con aria umile davanti a sè, o di possedere qualche cosa che altri non ha. Se ha ingegno, proverà una pena innanzi a gente dall’intelligenza limitata, che dice spropositi, e cercherà di far sentire meno che può la sua superiorità. Se è sano e robusto, tacerà davanti ai malati e ai deboli tutte le prove della sua salute. Natale, innanzi alla miseria e alla infermità provava una sofferenza che somigliava a un rimorso: egli si chiedeva che cosa avesse fatto per meritarsi d’essere privilegiato: si sentiva debitore verso gli infelici e si crucciava di non sapere come pagare il suo debito.

Fu dunque una vera gioia per lui di ritrovar che Dorina sapeva ora tante cose che egli ignorava: il contatto coi signorini le aveva dato l’abitudine di parole e di gesti che gli sembravano pieni di una grazia la quale poneva la sua amica in alto, — così in alto, da essere superbia il considerarsi ancora suo eguale.