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XVI.

Quella sera Dorina si addormentò pensando al domani: due o tre volte mentre la mamma la spogliava, ella fu lì lì per darle la grande notizia, ma non osò; fu presa da soggezione, non sapeva perchè. E l’indomani mattina disse: — fammi pur vestire da Berta, tu, mamma, oggi avrai tanto da fare.

Così potè dire a Berta di metterle il suo abito più bello, di pettinarle con cura la esile treccina bionda, poi si fece portar giù, nello stanzino che serviva da studiolo a babbo e mamma, e che s’apriva proprio sul vestibolo.

Il cuore le batteva e il suo viso di solito pallido era così acceso ch’ella sentiva le guancie scottanti.

Quando Berta disse: — ho portato Dorina in studietto, — la mamma non voleva credere e accorse a vedere; ma rattenne a tempo le sue esclamazioni di maraviglia, perchè vide sul visetto della sua figliola ch’ella era tutta confusa della decisione presa. [p. 122 modifica]

«Brava la mia donnina!» disse colla voce tranquilla: «ora che tu sei qui io posso far ancora una scappata di sopra. Quando senti che arrivano, suona il campanello. Aspetta che ti metto nella mia poltrona, qui alla scrivania.... mettiamo sotto un altro cuscino, cosi: e il tuo scialle sulle gambe. Oh, sembri un donnone! ti pigliano certo per la padrona dell’albergo, vedrai!» e uscì ridendo; ma appena fuori le si empirono gli occhi di lagrime.

«Oh che grazia mi ha fatto oggi la Madonna! È proprio stato un miracolo, lo si vede! perchè Dorina non mi ha detto nulla nè ieri sera, nè stamattina? Dio l’ha illuminata tutta in un tratto.» E corse a dirlo a tutti in casa. — «Non fatevi scorgere, sapete! passate via nel corridoio, e date un’occhiata in studietto!»

E fu per dieci minuti un passar di gente affaccendata che usciva sul prato e rientrava, seria seria al momento che passava davanti all’uscio dello studio, tutta ridente un istante dopo.

Giacolino passava e ripassava colle mani in tasca, dandosi le arie di uomo che medita a grandi cose, e lanciando lunghe occhiate indifferenti a sua sorella, — troppo indifferenti — non era abbastanza furbo, e Dorina capi. Ora non si sentiva più il viso acceso; l’aveva presa anzi un brivido di freddo. — Oh, cosa ho fatto! pensava. — Natale non mi lasciò il tempo di preparar nulla: tutti sono sorpresi, mi crederanno matta. Oh se potessi tornar su! —

Ma in quel momento si udì nel vestibolo un gran stropiccio di piedi; erano i forestieri arrivati. Dorina premette il campanello elettrico della scrivania poi un tintinnio nelle orecchie, un battito alla tempia, un sudore freddo nel dorso, le diedero la sensazione di [p. 123 modifica]morire. Fu un minuto secondo che le parve un secolo, poi una ragazzina passò correndo davanti all’uscio e gridando con una gaia voce squillante: — oh mamma! vieni a vedere che bel prato! —

Dorina afferrò la penna e si chinò tutta sul registro, non sapeva se per nascondersi o per darsi un contegno. Ma la bambina cacciò dentro la sua testa curiosa anche nello studio, e vedendo un avviso colorato della navigazione del Lago Maggiore, con una signorina vestita alla canottiera, entrò.

«È permesso?» disse con una voce forte, ma tutta inflessioni gentili; «vorrei vedere quell’avviso. Com’è bello! anch’io remo un poco sul lago di Como, ma non ho la maglia a righe e quel berrettino rosso. Ma lei chi è? è quella che tiene i conti dell’Albergo?» e si avvicinò alla scrivania mettendosi di fianco a Dorina per guardare.

«Che belle manine bianche hai! guarda le mie come sono nere» e le accarezzò la manina sottile posata sul registro. «Come sei seria!... non sei buona di ridere? a me piacciono le bambine che ridono tanto.... Ti sei offesa?» E le buttò le braccia al collo per guardarle gli occhi che le si erano inumiditi. «No, vero? mi piaci tanto, sai; tanto anche cosi. Oh che bel colore hanno i tuoi occhi. Ma sei proprio bella, sai! Perchè porti il treccino così? dovresti tenere i capelli giù per le spalle, come me. Aspetta che ti pettino io.»

Presto presto le levò le forcine, le disfece la treccia, e i radi, fini capelli biondi le si sparsero intorno al collo e al viso delicato che si era fatto tutto rosa. Non aveva ancora trovato la voce per dire una parola, si sentiva come travolta da un fascino tutto [p. 124 modifica]nuovo, avrebbe chiusi gli occhi per abbandonarsi meglio all’incanto di quella voce così lieta, di quella vivacità infantile così schietta. Le pareva di trovarsi sotto una pioggia di fiori, e le sue nari si aprivano come ad aspirare profumi.

«Oh, come stai bene, così!» diceva la ragazza tutta felice della trasformazione che aveva subita per opera sua quella bambina a lei sconosciuta.

«Ma dimmi chi sei!» esclamò poi «sei la figlia dell’albergo?»

«Sì.»

«Dell’albergo! ho detto dell’albergo!» proruppe ridendo; «volevo dire dell’albergatore. Ma anche tu, sciocchina, mi hai risposto sì. Ah ah, siamo proprio due sciocchine! Senti; come ti chiami?»

«Dorina.»

«Che bel nome! il mio invece è tanto brutto. Pensa.... Giuseppina! Vero com’è brutto? e poi così lungo! In casa mi chiamano Pinella: fa ridere, vero? pare il nome di una cavallina. Tu chiamami invece Ina. Nessuno mi vuol chiamare così, eppure è un nomino così bello. Mi pare che diventerei quieta quieta se mi chiamassero Ina. Dicono che sono un folletto, ma è colpa loro, vedi; ogni volta, che mi chiamano Pinella mi vien voglia di far un salto.»

Dorina rise, oh, come rise di cuore e quanta gioia le entrò nell’anima con quel riso!

In quel momento una voce di signora, chiamò di fuori:

«Pinella! dove sei, Pinella!»

«Sono qua» gridò accorrendo la bambina; ma tornò ancora un istante sull’uscio: «Scusa, ve’, Dorina, vado a lavarmi un poco; dopo torno giù e d divertiremo insieme.» [p. 125 modifica]

Se Natale fosse entrato in quel momento, non avrebbe più riconosciuto la sua amica. Col viso tutto rosa, colla bocca ridente e gli occhi illuminati, e quei capelli sciolti che le facevano intorno un’aureola vaporosa.... s’era abbandonata sullo schienale della poltrona, inebbriata, coll’impressione di uscire da un sogno di letizia.

— Come ha ragione Natale — pensava. — Sono venuta giù, una bambina mi ha parlato e mi sento tutta contenta. Oh, se venivo anche gli anni passati, quante belle cose mi avrebbero detto tutti quei bambini.... quelle due belle sorelline che mi piacevano tanto.... Pinella, no, Ina Ina, non s’è neppure accorta che sono malata: le sono anzi piaciute le mie mani magre. Due volte me le accarezzò! — Quando la mamma finalmente tornò nello studiolo, s’arrestò maravigliata giungendo le mani. «Oh Dorina! cos’hai fatto?» Le pareva trasfigurata.

La bambina riunì con una mano i suoi capelli sparsi e rispose con un risolino: «È stata quella bambina arrivata oggi: oh che cara bambina, se tu sapessi! Siamo giù amiche, sai? Mi lascerai venir qui tutti i giorni, mamma?»

«Oh anima mia! lo sai pure che lo desidero da tanto tempo!» E strinse la cara testina contro il seno; poi, quando le ebbe rifatta la treccia la baciò sulle tempia, col cuore aperto alla speranza che potessero venire giorni migliori per la sua creatura.

E vennero infatti. La gracile, timida personcina avvolta negli scialli dalla vita in giù, seduta nell’alta sedia a braccioli dello studio, divenne per tutti i bambini alloggiati all’Hôtel du Panorama come una madonnina sull’altare, che tutti desideravano avvici[p. 126 modifica]nare e che sembrava a tutti di una bellezza sovrumana, perchè così diversa dalle altre bambine; colla faccina lunga e pallida, gli occhi di donna che ha patito, i capelli biondi che parevano senza forza e le si appiccicavano alle tempie venate d’azzurro; le manine lunghe, magrissime, che si movevano lentamente. Alcuni dicevano: dev’essere alta alta, altri invece: no, è certo piccina di statura come una bimba di sei anni; ma il fatto è che nessuno se la poteva figurare se non come certe figure di angeli, drappeggiati dalla vita in giù di un ampio, lungo peplo che trascinano nell’aria, salendo.

Dorina non era mai malinconica, ora; quel mutamento così improvviso di vita la teneva in un’eccitazione gioiosa che le coloriva le gote e le faceva brillar gli occhi. Nessuno mai l’aveva vista portar giù, nessuno la vedeva la sera portar di sopra, e v’erano dei ragazzi che sospettavano ella dormisse su quella poltrona. Ella aveva sempre nel cassetto della scrivania i zuccherini per i piccoli, e aiutava i grandini in tutto quello che poteva.

«Lei che è paziente» le diceva un ragazzo, «mi impasti questi francobolli sull’albo; e le bambine le portavano le vesti delle bambole da cucire, gli edelweis da incollare sui cartoncini neri, i fiori da mettere fra i fogli di carta sorbente. Oh non aveva più tempo ora, di pensare alle sue malinconie, non s’accorgeva più d’essere diversa dalle altre bambine, sentiva invece di saper fare cose che loro non sapevano e che anch’ella non avrebbe fatto se avesse avuto la voglia di correre e saltare.

Tutti i suoi piccoli amici dovevano però pigliar la porta e uscire a prender aria quando capitava quel folletto di Pinella. [p. 127 modifica]

«Via tutti! che la Dorina è mia, tutta mia! fuori di qui, voi! ci tornerete più tardi, ma ora, via!» Veniva a portarle de’ grossi libri illustrati, oppure il Giornale dei Bambini, per sfogliarlo insieme, guardar le figure e raccontarle tutte le storie.

Le raccontava con una foga tale da farla correre troppo presto alla fine, e doveva ogni momento fermarsi per dire: ah! aspetta! ho dimenticato di dirti....

Dorina si divertiva di più alle lezioni di francese. Oh, una buffa maestra era Pinella! con un metodo tutto suo. Si metteva all’uscio ed entrava come una signora affrettata, salutando con espressioni carezzevoli, parlando del tempo orribile, chiedendo e dando notizia del marito e dei figlioli, poi congedandosi presto presto per andare a una conferenza tanto tanto interessante. Rientrava con un cappello da uomo in mano: era il dottore che veniva per visitar la signora malata e le ascoltava il cuore, le guardava in gola, le batteva il petto e il dorso, la faceva respirar forte facendole dire; trentatre trentatre! e scriveva grave la sua ricetta, raccomandando alla sua malata di prendere la medicina e di non far imprudenze. E rientrava.... ciclista! colla sua gonnella rimboccata e le lunghe calze nere tirate al disopra delle mutandine per nascondere il ricamo. Aveva fatto cento chilometri in bicicletta! e moveva disinvolta le sue belle gambe, mentre ordinava alla signora albergatrice un copioso pranzo.

Dorina si teneva il petto per il gran ridere, e non credereste se vi dico che il terzo giorno di queste chiacchierate francesi, ella comprendeva quasi tutto e si divertiva come mai nella sua vita.

Una domenica l’albergatrice, uscendo di chiesa, in[p. 128 modifica]contrò Natale. «Oh Natale, come va, che non ti vediamo più? Io sono così occupata dalla mattina a mezzanotte, che non ho più tempo di uscire. Hai visto Giacolino? ti ha detto della nostra Dorina? E stato proprio un miracolo della nostra Madonna del Santuario. Pensa! è stato la mattina che arrivò la prima famiglia di forestieri!... E non par più lei, sempre circondata da bambini, e sempre allegra ch’è un piacere....»

Tornata a casa disse a Dorina: «Ho visto Natale, ma già, finchè vi sono forestieri non verrà certo a vederti. Gli ho detto che stai così bene, che sei giù tutto il giorno, che sei sempre in mezzo ai bambini.»

«Oh lo sapeva bene, Natale,» disse Dorina. «È lui che mi ha detto di scendere.»

«Chi? Natale? ma quando? ma se è un pezzo che non viene più.»

«No; è venuto il giorno prima.... intanto che voi eravate su a metter ordine alle camere.»

«E ti ha detto....»

«Mi ha detto che doveva scendere e star in mezzo ai bambini.... e non pensare più a me.... Che cos’hai, mamma, che non parli?»

«Oh mia cara!... stavo pensando a quel ragazzo.... È proprio ancora un ragazzo non c’è che dire, ma ha il sentimento di un grande. Peccato sia un contadino e non abbia ambizioni! Diventerebbe uno di quegli uomini che guidano il mondo al bene.»

E dentro di sè soggiunse: — me lo aveva promesso e ha mantenuto la parola. E io che non l’ho sospettato! —