Atto III

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Atto II Appendice

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA1.

Camera.

La Marchesa Beatrice e Rosaura.

Beatrice. Orsù, Rosaura, venite qui, parlatemi con quella ingenuità che è propria del vostro carattere, ed in me troverete uguale sincerità. Leviamoci ambedue la maschera, e senza riguardi trattiamo la nostra causa.

Rosaura. Signora, non mi abuserò della libertà che mi concedete; parlerò, se m’incoraggite a parlare.

Beatrice. Quali sono le vostre pretensioni?

Rosaura. Quelle che mi vengono ispirate dal sangue e autenticate dalla cognizion di me stessa. [p. 64 modifica]

Beatrice. Avete dunque fissato di ricorrere a sua Maestà?

Rosaura. Prima di presentarmi al Sovrano, ho destinato di ricorrere a un altro giudice.

Beatrice. A qual tribunale?

Rosaura. A quello del vostro cuore. Voi siete pia, siete giusta; nasceste dama, non sapete che pensar nobilmente, e il modo con cui meco vi diportate, autentica la bontà vostra. Voi conoscete la mia ragione, a voi son noti i diritti che io serbo su questa terra. Capace non vi credo di volermi oppressa con ingiustizia, anzi voi medesima sarete il mio avvocato, la mia protezione, la mia difesa. Se io non appieno conoscessi la vostra virtù, non vi aprirei il mio cuore sì facilmente, saprei anch’io dissimulare, fingere e lusingarvi. Vi conosco, di voi mi fido. Vi parlo col cuor sulle labbra, e chiedo a voi medesima giustizia, risarcimento, consiglio.

Beatrice. Ora che a me dinanzi avete trattata la vostra causa, volete che io pronunzi la mia sentenza?

Rosaura. Pronunziatela. Con impazienza l’attendo.

Beatrice. Voi siete l’erede del marchesato di Montefosco.

Rosaura. E vostro figlio...

Beatrice. Non può ritenerlo senza taccia d’usurpatore.

Rosaura. Dunque poss’io sperare di conseguirlo?

Beatrice. Un giudice senza forze non può assicurarvi di più.

Rosaura. L’autorità della madre non potrà costringere il figlio?

Beatrice. Sì, vi prometto di farlo. Florindo non è fuor di tutela. Posso disporlo, posso costringerlo al suo dovere. Non tralascierò mezzo alcuno per illuminarlo della ragione e della giustizia; e quando l’ambizione lo rendesse restio, saprò volere, saprò minacciare. Rosaura, ve lo prometto. Voi sarete la marchesa di Montefosco.

Rosaura. Oh Dio! mi consolate; mi colmate di giubbilo e di conforto.

Beatrice. Dopo averv’io assicurata nella vostra felicità, posso sperare da voi gratitudine e ricompensa?

Rosaura. Vi deggio la vita stessa; comandatemi, e v’ubbidirò. [p. 65 modifica]

Beatrice. Sposatevi al Marchesino mio figlio.

Rosaura. Non ho cuor di resistere. Troppi sono gli obblighi miei verso il generoso amor vostro. Disponete del mio cuore, della mia mano, di me medesima. Amorosissima madre, ecco a’ vostri piedi l’umile vostra figlia.

Beatrice. Sì, cara, sarete la mia delizia, la mia unica, la mia perfetta consolazione.

Rosaura. Ma oh Dio! chi mi assicura che il marchesino Florindo alle mie nozze acconsenta?

Beatrice. Vi amerà, perchè siete amabile; vi sposerà, perchè siete nobile; apprezzerà la riguardevole dote; ascolterà i miei consigli; rispetterà il mio comando.

Rosaura. Deh! non fate che l’ambizione o l’interesse sieno i pronubi delle mie nozze. Se amore a me non l’unisce, pensiamo ad altro. Trovisi un espediente più onesto...

Beatrice. No, Rosaura, altro mezzo non trovo per render voi contenta, senza tradire il mio medesimo sangue.

Rosaura. Nè io posso rendermi sconoscente alla vostra bontà. Disponete di me a piacer vostro, e voglia il cielo che il cuore del figlio imiti la virtù della madre. (parte)

SCENA II.2

La Marchesa Beatrice, Pantalone, poi il Servitore.

Pantalone. Servitor umilissimo de Vostra Eccellenza.

Beatrice. Dov’è il Marchesino?

Pantalone. Eccellenza, mi no so cossa dir. El xe dove che lo porta la so allegria, la so zoventù, el so capriccio.

Beatrice. Non l’avete voi ritrovato?

Pantalone. Eccellenza sì, l’ho trovà da Giannina.

Beatrice. Gli avete detto che io lo cercava?

Pantalone. Ghe l’ho dito seguro.

Beatrice. Non tarderà a venire. [p. 66 modifica]

Pantalone. Ho paura che adesso nol vegna.

Beatrice. Per qual ragione?

Pantalone. Eccellenza, tutto el paese mormora. L’insulta tutte le donne. I omeni de montagna i xe più zelosi de quelli della città. Nasserà qualche inconveniente.

Beatrice. Presto... che si cerchi... che si ritrovi.

Servitore. I deputati della Comunità vorrebbero passare da Vostra Eccellenza.

Beatrice. Introduceteli. (al servitore) Signor Pantalone, andate subito, vi prego, a rintracciare mio figlio; e per amore, o per forza, fate che a me sia condotto. Comando io finalmente, e voglio che mi obbedisca.

Pantalone. La servo subito. (Poveretto elo, se nol gh’avesse una madre de sto cuor e de sto talento). (da sè, parte)

SCENA III.

Nardo, Cecco e Mengone in abito di caricatura, e Beatrice.

Nardo. Ecco qui dinanzi a Vostra Eccellenza i deputati della nostra nobile antica Comunità. Siccome noi non sappiamo l’uso della città, siamo venuti a pregarvi che ci diciate, se fra di voi sia lecito3 tentare le mogli altrui, e vivere con prepotenza.

Beatrice. Che domanda impertinente è codesta?

Nardo. Ma favorisca, Eccellenza. È lecito, o non è lecito?

Beatrice. Mi maraviglio di voi.

Cecco. È lecito, o non è lecito?

Beatrice. Perchè a me lo chiedete?

Mengone. È lecito, o non è lecito?

Beatrice. I delitti sono da per tutto vietati.4 Le disonestà, le soverchierie sono colpe severamente punite.

Nardo. Eccellenza, il signor Marchesino... perdoni, so benissimo che veritas odiorum paritur.

Cecco. Lo dirò io. Il signor Marchesino va a caccia di donne, [p. 67 modifica] come noi andiamo a caccia di fiere. S’imposta qui, s’imposta lì, per lui non vi è caccia riservata.5

Mengone. E guai a chi parla! Noi siamo stati avvezzi col marchese Ridolfo, che ci trattava come fratelli. Quello era un signor buono! quello era un principe da bene! Ma questo signor Marchesino...

Beatrice. Olà, come parlate?

Mengone. Perdoni, Eccellenza, non faccio per offendere suo figliuolo.6

Beatrice. Orsù andate, e sarà mio pensiero di correggere il Marchesino.

Nardo. Tornando al nostro proposito. Ecco qui da voi la nostra nobile antica Comunità a dire a Vostra Eccellenza, che se fra di voi non sono leciti i furti, il signor marchesino Florindo ha da restituire il marchesato alla signora7 Rosaura.8

Beatrice. Voi come ci entrate?

Cecco. Ci entriamo, perchè ci entriamo.

Mengone. E sappiamo quel che sappiamo.

Nardo. Zitto, lasciate parlare a io. Io, che sono il deputato della nostra nobile antica Comunità, vengo a dire a Vostra Eccellenza, che vogliamo che sia9 padrona e feudataria la signora Rosaura, e anderemo a Napoli, e condurremo anche lei, e porteremo quattrini e roba, e anderemo alla Corte coi suoi recapiti, e faremo che ella mostri tutto; e io sono il deputato di mezzo della nobile antica Comunità. (parte)

Cecco. E quando questo non basti, ci sarà di peggio10; e sono il deputato laterale destro. (parte)

Mengone. E se anderà dalle nostre donne, gli passerà male assai; e sono il deputato a sinistra. (parte) [p. 68 modifica]

SCENA IV11.

La Marchesa Beatrice.

Beatrice. Oimè! cresce il pericolo. Mio figlio è precipitato. Altri non vi è che Rosaura, che possa evitare il precipizio che gli sovrasta. Ah! sì, sono ora costretta di domandare a lei quell’ aiuto che io medesima le aveva offerto. Voglia il cielo ch’ella mi ascolti e che mi secondi, o per gratitudine, o per bontà. (parte)

SCENA V12.

Campagna remota.

Florindo da contadino, e Arlecchino.

Florindo. Andiamo, andiamo; in quest’abito non sarò conosciuto.

Arlecchino. Sior, se i ve cognosse, i ve darà l’orzo.13

Florindo. Così vestito non mi potranno conoscere. Conducimi da Ghitta.

Arlecchino. Sior, no vorria esser bastonado per conversazion.

Florindo. Giuro al cielo, voglio essere obbedito, o ti romperò la testa.

Arlecchino. E mi griderò, e ve farò cognosser.

Florindo. Zitto, non ti far sentire. Tieni questa moneta.

Arlecchino. Oh! fin che parlerè in sto linguazo, v’intenderò.

Florindo. È lontana la casa di Ghitta? Per questa parte non ci so andare.

Arlecchino. Passà quell’albero alto, se fa un pochettin de salida e ghe semo subito.

Florindo. Via, andiamo.

Arlecchino. E pur el cor me dise, che l’abbia da succeder...

Florindo. Che cosa?

Arlecchino. Che abbiemo da esser bastonadi. [p. 69 modifica]

Florindo. Basta, in ogni caso mi darò poi a conoscere, e mi porteranno rispetto.

Arlecchino. Se i porterà respetto a vu, no i lo porterà miga a mi14.

Florindo. Via, presto, andiamo.

Arlecchino. Andemo pur.

Florindo. Sento gente.

Arlecchino. Aiuto. (si nasconde)

Florindo. Dove vai?

Arlecchino. Son qua. (nascosto)

Florindo. Niente, niente, è una donna.

Arlecchino. L’è una donna? Oh! son qua, gnente paura.

Florindo. Chi sarà colei?

Arlecchino. La me par...

Florindo. Pare a me...

Arlecchino. Ghitta.

Florindo. Sì, è Ghitta. La sorte mi è favorevole. In questo luogo remoto potrò discorrerle con libertà.

Arlecchino. Comandela altro da mi?

Florindo. Aggirati qui d’intorno, e avvisami se alcuno sopraggiunge.

Arlecchino. La sarà servida. (partendo)

Florindo. Hai capito?

Arlecchino. Se alcun sopraggiunge. Ho capido. (si ritira)

Florindo. Con costoro, per quel che io vedo, ci vuol giudizio. Portano lo schioppo. Ma io col tempo leverò a tutti le armi. Colle donne voglio conversare;15 non ho altro divertimento.

SCENA VI.

Ghitta e detto; poi Arlecchino.

Florindo16. (Vo’ vedere se mi conosce)». (le passa vicino)

Ghitta. (Oh! il bel contadinello! Chi mai sarà? Io non l’ho più veduto). (da sè) [p. 70 modifica]

Florindo. (Non mi conosce). (ripassa)

Ghitta. Mi pare e non mi pare.

Florindo. Bondì a vossignoria. (la saluta da villano)

Ghitta. Non credo già d’ingannarmi... Signore...

Florindo. Signore chi?

Ghitta. Signor Marchese.

Florindo. Zitto.

Ghitta. Come! Così?

Florindo. Per non17 esser conosciuto.

Ghitta. Oh bella! dove andate?

Florindo. Veniva da voi, cara.

Ghitta. Oh! non lo credo.

Arlecchino. Sopraggiunge.

Florindo. Chi?

Arlecchino. Un pastor con delle pegore.

Florindo. Eh! non importa. Va via.

Arlecchino. (Adessadesso sopraggiunge un legno). (si ritira, poi torna)

Florindo. Sì, certamente. Io veniva a ritrovarvi. Desiderava di vedervi.

Ghitta. Ed io bramava di veder voi, ma per una cosa di gran premura.

Florindo. Oh! bello incontro. Eccomi qui.

Ghitta. Sappiate, signore, che poco fa la vostra signora madre mi ha18 bravato moltissimo, che non vuole che vi riceva in casa e non vuole che io parli con voi; e se non la obbedisco, ha detto che mi farà fare qualche cosa di brutto.

Florindo. Non dubitate che ci verrò segretamente, che nessun lo saprà.

Ghitta. Ma! non vorrei...

Florindo. Vedete? In questo abito nessuno mi può conoscere.

Arlecchino. Sopraggiunge.

Florindo. Chi?

Arlecchino. Un asino che va pascolando. [p. 71 modifica]

Florindo. Va via, impertinente.

Arlecchino. No m’ala dito se sopraggiunge?

Florindo. Va al diavolo. (gli dà un calcio)

Arlecchino. È sopraggiunto. (si ritira)

Florindo. Andiamo a casa vostra?

Ghitta. Ho paura di mio marito.

Florindo. E quello che fa il cacciatore? Che va collo schioppetto?

Ghitta. Appunto quello.

Florindo. Per dirvela, anch’io lo vedo malvolentieri. Sarà meglio che non andiamo alla vostra casa.

Ghitta. Non vorrei che egli passasse di qui.

Florindo. Se passerà, non mi conoscerà.

SCENA VII.

Cecco col bastone in distanza, e detti.

Arlecchino. (Vorrebbe avvisar Florindo, ma Cecco minacciandolo lo fa partire) (Se sopraggiunge, a me non giunge). (parte)

Florindo. Io voglio divertirmi fin che son giovane, e voglio stare allegramente19, a dispetto di chi non vuole. Di qui non vado più via. Mi piace questo paese, e voi principalmente mi piacete assaissimo.

Cecco. (Chi diavolo è costui?) (da sè)

Ghitta. Sì, caro signor Marchesino...

Florindo. Zitto, non mi nominate.

Cecco. (Oh maledetto! ti ho conosciuto). (da sè)

Ghitta. Io sarò sempre contenta, se mi...

Cecco. (Si avanza e la fa partire.)

Ghitta. Oh! domattina portatemi del latte, che voglio farmi una zuppa. Addio, pecoraio. (parte)

Florindo. (Ci sono). (da sè)

Cecco. Ehi! pecoraio.

Florindo. Signor? [p. 72 modifica]

Cecco. Che cosa facevi qui con mia moglie?

Florindo. Mi domandava del latte20.

Cecco. Eh! pezzo di briccone, indegno.

Florindo. Vi dico... Vi giuro...

Cecco. Eh! villano maledetto, ti romperò l’ossa. (lo bastona)

Florindo. Fermatevi.

Cecco. Te, villanaccio, te21. (come sopra)

Florindo. Fermatevi, sono il Marchese.

Cecco. Che Marchese? Sei un villano, sei un pecoraio. (come sopra)

Florindo. Aiuto, sono il marchese Florindo.

Cecco. Non è vero. Sei un pecoraio22. (come sopra)

Florindo. Oimè! aiuto, non posso più. (cade sopra un sasso)

Cecco. (Questa volta hai provato il bastone, un’altra volta ci sarà lo schioppetto). (da se, parte)

Florindo. Oh me infelice! Io strapazzato, io bastonato?

SCENA VIII.

La Marchesa Beatrice, Pantalone, Arlecchino,
Servi e detto.

Arlecchino. Eccolo là, vestido da paesan. (accennando Florindo a Beatrice)

Beatrice. Ah! scioccherello.

Arlecchino. Sopraggiungono. (a Florindo, e parte)

Florindo. (Oimè! mia madre). (da sè)

Beatrice. Che fate qui da voi solo?

Florindo. Ahi!

Beatrice. Oh Dio! che avete?

Pantalone. Cossa xe sta, Eccellenza?

Florindo. Son caduto.

Beatrice. Come?

Pantalone. S’ala fatto mal? [p. 73 modifica]

Florindo. Sdrucciolai nello scendere dalla collina. Oh Dio! la spalla, il braccio.

Beatrice. Deh! signor Pantalone, assistetelo.

Pantalone. Son qua, Eccellenza, andemo a casa. Sti omeni ghe darà man; mi son vecchio.

Florindo. Lasciatemi riposar qui ancora un poco.

Beatrice. Eh! Florindo, Florindo, non so di dove siate voi sdrucciolato. So bene che da per tutto vi aprite dei precipizi, vi fabbricate i pericoli, vi esponete ai disastri. Misero voi, se non aveste una madre amorosa, una madre svegliata pel vostro bene. Sapete voi che siete vicino a perdere questa giurisdizione, non per altro che per la vostra mala condotta?

Florindo. Lo so che quella indegna di Rosaura tenta di rovinarmi.

Beatrice. No23. Parlate con rispetto di una giovane che mal conoscete. Aveste voi tanta virtù, quante ne ha lei24.

Florindo. Oimè! il mio braccio!

Beatrice. Ma siete voi veramente caduto?

Florindo. Sì, vi dico.

Pantalone. Che ghe sia cascà qualcossa addosso...

Florindo. Che vorreste mi fosse addosso caduto? (irato)

Pantalone. Gnente, Zelenza. (Qualche manganello). (da sè)

Florindo. Io sono chi sono, e niuno avrà ardire d’offendermi. (Il mio decoro vuole che io taccia e che dissimuli). (da sè)

Beatrice. Ma perchè vestito in abito villareccio?

Florindo. Per passatempo.

Pantalone. Bravo, el s’ha devertìo.25

Florindo. Che intendete voi dire? (si alza)

Pantalone. Che per divertimento se fa de tutto.26

Beatrice. Via, ritiriamoci in casa, riposerete sul letto.

Pantalone. Degne man a so Zelenza. (servi danno braccio a Florindo)

Florindo. (Mai più mi arrischio. Le donne altrui non le guardo mai più). (da sè, parte) [p. 74 modifica]

Beatrice. Povero figlio! L’amo teneramente, ma l’amor mio non mi rende cieca. Conosco i suoi difetti e ne procuro la correzione. Veggo i suoi pericoli e cerco di rimediarli. Amore e prudenza sono due guide infallibili ad una madre che ama, che conosce, e non si lascia adulare dalla passione. (parte)

Pantalone. Mi ghe zogheria, che sior Marchese ha scosso el primo tributo del feudo in tante monede de legno. (parte)

SCENA IX.

Camera27 in casa di Pantalone.

Nardo, Cecco, Marcone e Villani.

Nardo. Non vi è altro rimedio. Se il marchese Florindo ha tempo di vendicarsi, siamo tutti fritti. Bastonarlo? Diavolo!

Cecco. Eh! giuro a Bacco, ho il mio schioppetto; non ho paura28.

Nardo. Zitto. Ora non sono in casa ne il Marchese, nè la Marchesa, nè Pantalone; subito che viene abbasso Rosaura, prendiamola in mezzo, portiamola a Napoli, e facciamola diventare Marchesa.

Marcone. Che cosa fa, che non viene questa ragazza? Le ho pure mandato a dire, che la Comunità è in sala che l’aspetta.

Nardo. Non vorrei che venisse il Marchese.

Cecco. Che avete paura? Son qua collo schioppetto.

Marcone. Ecco Rosaura. (a Nardo)

Nardo. Presto, facciamole onore e parliamo da Comunità.

Cecco. Viva Rosaura.

Marcone. Viva la Marchesina.

Tutti. Evviva. [p. 75 modifica]

SCENA X.

Rosaura e detti.

Rosaura. Oimè! Quai gridi? Quai sollevazioni son queste?

Nardo. Viva la marchesina Rosaura.

Cecco. Voi siete la nostra padrona.

Marcone. Voi la nostra Marchesa.

Rosaura. Gradisco il vostro amore, ma voi non avete l’autorità di farmi vostra signora.

Nardo. Vi condurremo a Napoli; vi faremo riconoscere, vi faremo investire.

Rosaura. Una sì violenta risoluzione, in luogo di portarmi al titolo di Marchesa, mi potrebbe costare la vita. E voi in premio di una sollevazione sareste severamente puniti. Giuste sono le vostre mire, giusta la ragione che mi assiste; ma le vostre29 passioni private distruggerebbero l’opera buona, e vi farebbero rei di un30 delitto.

Nardo. Lasciate il pensiere a noi; venite a Napoli e non dubitate.

Margone. Avremo denari.

Nardo. Avremo protezione.

Cecco. E poi lo schioppetto.31

Rosaura. (Ah! non fia mai vero, che io paghi d’ingratitudine il bel cuore della marchesa Beatrice). (da sè)

Nardo. Via, andiamo.

Cecco. Or ora vi prendo per un braccio.

Rosaura. Non mi userete violenza.

Marcone. Presto, andiamo. Vien gente.

Cecco. Gente? (s’imposta collo schioppo)

Nardo. Non ci facciamo criminali.

Cecco. Viva la marchesina Rosaura. [p. 76 modifica]

SCENA XI.

La Marchesa Beatrice e detti.

Beatrice. Amici, che novità? Che strepito? Che sollevazione?

Rosaura. Signora, il vostro figliuolo ha irritati gli animi di queste genti. La vostra bontà li moderi, li consoli.

Beatrice. Non crediate già che le vostre minacce arrivino a spaventarmi, gente rustica, gente indiscreta! A voi non tocca giudicare sui diritti di chi vi è destinato in signore. L’ardir vostro sarà noto alla Corte, e la vostra temerità sarà giustamente punita.

Nardo. (Mi fa un poco di paura). (da sè)

Marcone. (Questa volta per aggiustarla bisognerà vendere tre o quattro campi). (da sè)

Rosaura. Signora mia, sono mortificata che per mia cagione abbiate a soffrire...

Beatrice. Rosaura, sì, sarete contenta; fidatevi dei temerari, e dichiaratevi mia nemica...

Rosaura. Deh!32 ascoltatemi...

Beatrice. Non mi aspettava da voi un simile trattamento, ma fia per vostro peggio. Se ricusate la mia amicizia, proverete il mio sdegno. (In tale stato è necessario lo spaventarla). (da sè)

Rosaura. Non crediate che io...

Cecco. Noi siamo, che la vogliamo.

Nardo. La nobile antica Comunità.

SCENA XII.

Pantalone e detti.

Pantalone. Eccellenza.

Beatrice. Dov’è mio figlio?

Pantalone. Eccellenza, xe arrivà el cavalier33 col nodaro e con tutta la corte, e avanti che vegna notte, i se vol distrigar. I vol dar el possesso del feudo al sior Marchese, perchè34 el cancellier ha da tornar a Napoli. [p. 77 modifica]

Beatrice. Vado, per esserci anch’io presente.

Rosaura. Signora, vi seguirò...

Beatrice. Restate coi vostri protettori. Voi non avete bisogno di me; io non mi curo di voi. (La mortifico con dolore, ma ciò è necessario per atterrirla). (da sè, parte)

Pantalone. M’inchino umilmente alla magnifica Comunità. (parte)

SCENA XIII.

Rosaura, Nardo, Cecco e Margone.

Rosaura. (Misera! Che farò?) (da sè)

Nardo. Avete udito? Il cancelliere ed il notaro.

Marcone. Avete inteso? La corte.

Cecco. Non importa. Andiamo dal cancelliere, andiamo dal notaro. Venite con noi. (a Rosaura)

Nardo. Sì, venite. Vi faremo conoscere, diremo le vostre ragioni, e il possesso non si darà.

Margone. Giacchè ci siamo, andiamo.

Cecco. Via, non vi fate pregare.

Rosaura. Precedetemi, che io verrò.

Nardo. Andiamo subito. Viva la nostra nobile ed antica Comunità. (parte)

Cecco. Viva Rosaura. (parte)

Margone. Viva la nostra vera, legittima Marchesina. (parte)

SCENA XIV35.

Rosaura sola.

Oimè, che punto è questo? Che risolvo? Che fo?36 No, non fia mai vero, che a tal prezzo compri la mia fortuna. Son nata nobile, e per conservarmi tale, non basta che mi procuri un [p. 78 modifica] dominio, ma è necessario che le azioni mi rendano degna della protezione del cielo, dell’amore delle genti oneste, e del soccorso di chi mi può fare felice. (parte)

SCENA XV.

Cortile nel palazzo antico de’ Marchesi, tavolino e sedie.

Il Marchese Florindo, la Marchesa Beatrice, Pantalone,
Cancelliere, Notaro ed altri.

Cancelliere. Eccellenza, questo è luogo approposito per conferirle il possesso.

Pantalone. Questo xe el palazzo antigo dei marchesi de Montefosco.

Cancelliere. In questo cortile faremo tutto. Siamo vicini alla campagna, di dove prenderemo la terra, poi entreremo nelle camere, nelle sale, apriremo gli usci, chiuderemo le finestre, faremo tutte le formalità solite. Intanto stendiamo l’atto. Signor notaro, sedete. Siedano, Eccellenze. (tutti siedono)

Florindo. (Ancor mi risento di quei maledetti colpi). (da sè)

Cancelliere. Ma dove sono i deputati? Non si trovano? Non si vedono? Sono pure avvisati.

Pantalone. Veli qua che i vien, lustrissimo sior cancellier.

Beatrice. Ora mi aspetto qualche ardito passo da questi audaci. Ma saprò rimediarci.

SCENA XVI.

Nardo, Cecco, Marcone e detti.

Nardo. Signor cancelliere, ecco qui la nobile ed antica Comunità, la quale vi dice, vi protesta ed arciprotesta, che se darete il possesso al signor Marchese, sarà mal dato37.

Florindo. Come? Che ardire è questo?

Cancelliere. Si acquieti... (a Florindo) [p. 79 modifica]

Beatrice. Temerari!

Cancelliere. Favorisca, (a Beatrice, che stia quieta) Con qual fondamento venite voi a protestare contro il possesso, che son per dare al signor Marchese? (a Nardo)

Nardo. Perchè vi è la signora Rosaura, figlia del fu marchese Ercole di Montefosco.

Florindo. Eh! non gli badate.

Cancelliere. Si contenti, signor Marchese. (a Florindo, che stia quieto) E dove trovasi questa Rosaura?

Nardo. È qui da noi.

Cecco. La difendiamo noi.

Margone. La proteggiamo noi.38

Cancelliere. Qualche cosa mi è noto di questa giovane. È necessario che io la veda, che seco parli. Ho qualche ordine segreto in tale proposito. Dubito che converrà differire il possesso.

Pantalone. (El sior cancellier el vol veder de monzer la piegora fina ch’el pol39). (da sè)

Florindo. Signora madre, parlate, dite, fate; non mi lasciate pregiudicare.

Beatrice. Signor cancelliere, a voi non tocca40 l’esaminar questa causa; si consumi quest’atto di possesso. Scrivete.

Cancelliere. Signora, vi obbedisco. Signor notaro, scrivete: Dando il vero, attuale e corporale possesso...

Nardo. Signor cancelliere, favorisca di scrivere il protesto della nostra nobile ed antica Comunità, in nome della marchesa Rosaura.

Cancelliere. Ben volentieri. Scrivete. (al notaro)

Beatrice. Eh! non badate...

Cancelliere. Perdoni, non lo posso evitare41.

Pantalone. (El vol magnar da do bande). (da sè)

Cancelliere.42 La Comunità di Montefosco, in nome della signora Rosaura... [p. 80 modifica]

SCENA ULTIMA.

Rosaura e detti.

Rosaura. Signore, non ho bisogno che si parli o si agisca per me. Io sono Rosaura; io sono la figlia del marchese di Montefosco. Io sono l’unica e vera erede di questa giurisdizione. Ascoltate le mie istanze, e scrivete. (al cancelliere)

Florindo. Voi non dovete abbadare... (al cancelliere)

Cancelliere. Perdoni. Non posso negare di ascoltarla, e di scrivere43.

Pantalone. (Più che se scrive, più se vadagna). (da sè)

Cancelliere. Dite, signora, quel che intendete si scriva.

Rosaura. Scrivete dunque: Rosaura, figlia del fu marchese Ercole di Montefosco, rinunzia a qualunque istanza facesse in suo favore la Comunità di Montefosco, non intendendo voler procedere per ora contro il marchese Florindo, protestandosi che lo fa per gratitudine ai benefizi ricevuti dalla marchesa Beatrice. (dettando al notaro)

Beatrice. (Io rimango sorpresa!) (da sè)

Florindo. (È una giovane generosa44). (da sè)

Nardo. (Ora stiamo freschi!) (da sè)

Marcone. (Questa volta vanno le case, i campi, le pecore, e quanto abbiamo). (da sè)

Cecco. (Ho paura che lo schioppetto non giovi). (da sè)

Cancelliere. Ora si può progredire più francamente alla terminazione dell’atto possessorio.45

Beatrice. Prima di seguitare un tal atto, prendete un foglio, e scrivete per me.

Cancelliere. Presto, un altro foglio. (al notaro)

Pantalone. (Za quella carta i ghe la paga ben). (da sè)

Beatrice. Florindo mio, se credete che vostra madre abbia dell’amore per voi, giudicherete altresì, che io non possa volere che il vostro maggior vantaggio. [p. 81 modifica]

Florindo. So che voi mi amate, ed in voi confido.

Beatrice. Siete disposto a secondare un mio disegno?

Florindo. Vi giuro una cieca obbedienza.

Beatrice. Notaro, scrivete.

Cancelliere. Scrivete. (al notaro)

Beatrice. Il marchese Florindo promette di prendere per sua sposa la marchesina Rosaura.

Cancelliere. Che ne dice il signor Marchese?

Florindo. Sì, lo prometto, lo giuro, e lo farò, se la signora Rosaura si degnerà d’accettarmi.

Cancelliere.46 E che ne dice la signora Rosaura?

Rosaura. Scrivete.

Cancelliere. Scrivete. (al notaro)

Pantalone. (E che la vaga). (da sè)

Rosaura. Accetto l’offerta, e prometto essere sposa del marchese Florindo. (dettando)

Cancelliere. Scrivete. (al notaro)

Pantalone. (L’andarave drio fin doman, e come ch’el scrive largo!) (da sè)

Cancelliere. Tutti questi atti, queste proteste, queste promissioni si stenderanno poi in forma legale. Per ora terminiamo l’atto del possesso.

Nardo. Caro signor cancelliere, favorisca scrivere anche per noi.

Cancelliere. Volentieri. Scrivete. (al notaro)

Nardo. La povera Comunità di Montefosco domanda perdono al signor Marchese, protestandosi aver fatto quello che ha fatto, perchè Sua Eccellenza il signor Marchese47 voleva distendere l’autorità del suo comando sopra le possessioni del nostro onore. Siamo qui a’ suoi piedi.

Florindo. Sì, hanno ragione. Essi sono delicati d’onore, ed io mi sono soverchiamente esteso. Partirò di Montefosco; non avrete a temere di me; ma quando anche vi rimanga48, mi ricorderò [p. 82 modifica] di una burla, che in altra occasione potrebbe costare la vita al temerario che ardì di farla.

Nardo. Viva il nostro padrone. (Ah! sono un gran politico). (a Marcone e Cecco)

Marcone. (Bravo!) Viva il signor Marchese.

Cecco. Viva, viva. (Si ricorderà di me). (da sè)

Cancelliere. Quest’atto di umiliazione della Comunità ed il perdono del Feudatario sono cose che bisogna sieno registrate. Notaro, scrivete.

Pantalone. (Se n’accorzerà sior Marchese, co sarà scritto49). (da sè)

Beatrice. Figlio, Rosaura mia, l’uno e l’altra avete fatta un’azione degna di voi. Deh! autentichi l’amore ciò che vi ha consigliato far la prudenza.

Florindo. Rosaura, vi protesto che ho per voi stima, venerazione e rispetto50. Compatite alcune mie giovanili follie. Son reso cauto, son reso avvertito da’ miei pericoli, da’ miei disastri. Amatemi, ve ne supplico, ed assicuratevi del mio cuore.

Rosaura. Questo è quel ch’io desidero, più del51 possesso di questa giurisdizione. Marchesa Beatrice, mia amorossima madre, vedete52 se ho confidato nel vostro cuore e nella vostra bontà.

Beatrice. Sì, Rosaura, siete saggia, siete amabile53, siete generosa e prudente. Confidai tutto nel vostro bell’animo, e con pena mi sforzai a rimproverarvi. Florindo, date lode alla mia condotta, ed apprendete a meglio conoscere il vostro grado, ed a meglio sostenerlo. Signor cancelliere, contentatevi differire a domani la consumazione di tali atti. Andiamo a celebrar queste nozze; nozze da me con cautela promosse, e felicemente eseguite54: mercè delle quali Florindo, senza togliere nulla a Rosaura, sarà pacificamente il Marchese di Montefosco55.

Fine della Commedia.


Note

  1. Questa scena, com’è nelle edd. Bett., Pap. ecc., vedasi in Appendice.
  2. Questa scena, com’è nelle edd. Bett. e Pap., vedasi in Appendice.
  3. Bett. aggiunge: rubare.
  4. Bett. e Pap. premettono: I furti.
  5. Bett. e Pap. aggiungono: «Tira alle lepri, tira alle volpi, le piglia come pecore, e noi ci tratta da pecoroni. Ros. (Oh che adorabile sposo!) Meng. Guai a chi parla! guai a chi grida! Noi siamo ecc.».
  6. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Nardo. Mi ricordo io ancora del marchese Ercole, padre qui della signora Rosaura. Oh, che uomo di zucchero! Ci trattava come fratelli. Ros. (Mi rammentano le mie sventure). Beatr. Orsù ecc.».
  7. Bett. aggiunge: marchesina.
  8. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Ros. (Che sento? Ora mi riconoscono, mi rispettano!) Beatr. Voi come ecc.».
  9. Bett. aggiunge: nostra.
  10. Bett. e Pap.: vi sarà la schioppetta.
  11. Invece di questa, seguono altre scene nelle edd. Bett., Pap. ecc., come si vede in Appendice.
  12. È sc. IX nell’ed. Bettin. e X nell’ed. Paper.
  13. Vuol dir bastonate. [nota originale]
  14. Bettin.: no i me porterà respetto a mi.
  15. Bett.: Dalle donne ci voglio andare assolutamente.
  16. Nelle edd. Bett. e Pap. precede: «Ghitta. Quelle pettegole si vorrebbero metter con me. La signora Marchesa averà ben veduta la differenza. Io almeno so la civiltà
  17. Bett.: Zitto. Per non ecc.
  18. Bett. e Pap.: che poco fa è venuta da me la vostra signora madre, e mi ha ecc.
  19. Bett.: godermela in Montefosco.
  20. Bett. e Pap.: gli portavo il latte. Poi segue: «Cecco. Ora il latte? Se lo vuole domattina. Flor. Bene, lo porterò domattina. Cecco. Eh, pezzo di briccone, temerario, indegno ».
  21. Bett. e Pap.: Villanaccio porco.
  22. Bett. e Pap.: Sei un villanaccio.
  23. Bett. e Pap.: No, figlio!
  24. Bett.: nell’animo, quanta ella ne serba.
  25. Bett. e Pap. aggiungono: Oimei lamia spalla!
  26. Bett. e Pap.: se soffre tutto.
  27. Bett. e Pap. aggiungono: o sia sola.
  28. Bett. e Pap. aggiungono: «Marc. Se vengono gli sbirri, vi fanno saltare all’aria con tutta la schioppetta. Cecco. Che sbirri? Che saltare? Giuro a Bacco, gli abbrucierò. Nardo. Zitto ecc.».
  29. Bett. e Pap.: ma queste voci, e i vostri sdegni, e le passioni vostre ecc.
  30. Bett. e Pap.: di un esecrando.
  31. Bett. e Pap.: E poi la mia schioppetta.
  32. Bett.: Deh, signora ecc.
  33. Bett. e Pap.: cancellier.
  34. Bett.: perchè subito.
  35. È unita alla scena preced. nelle edd. Bett., Pap. ecc.
  36. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Arrischio la mia fortuna col favore di questo popolo? Ah no! Mi mostro ingrata alle generose offerte della Marchesa; ma s’ella ora mi scaccia, se dichiarasi meco irritata, che posso da lei sperare? Corrasi dunque... No, non fia mai vero ecc.
  37. Bett. e Pap. aggiungono: e farete questa funzione due volte.
  38. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Beatr. Ma questa non può impedire che si proseguisca questo atto. Canc. Qualche cosa ecc.».
  39. Vuol cercar di guadagnare di più. [nota originale]
  40. Bett.: spetta.
  41. Bett.: ricusare.
  42. Bett. e Pap. premettono: Scrivete.
  43. Bett. e Pap.: e di far scrivere. Scrivete.
  44. Bett. e Pap. aggiungono: e discreta.
  45. Bett. e Pap. aggiungono: Notaro, scrivete.
  46. Bett e Pap. premettono: «Scritte, scrivete, al notaro».
  47. Bett.: il signor Marchesino piccolo.
  48. Bett.: rimanessi.
  49. Bett. e Pap. aggiungono: tante parole, tanti bezzi.
  50. Bett. e Pap.: ed affetto.
  51. Bett. e Pap.: Questo è quel tesoro a cui aspiravo, e non al ecc.
  52. Bett. e Pap.: s’io faccio stima di voi, se ho ecc.
  53. Bett. e Pap.: nobile.
  54. Bett.: e fortunatamente seguite.
  55. Bett. aggiunge: Sono contentissima, perchè potrò vantarmi questa colta di essere una madre amorosa, una donna saggia e prudente.