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68 | ATTO TERZO |
SCENA IV1.
La Marchesa Beatrice.
Beatrice. Oimè! cresce il pericolo. Mio figlio è precipitato. Altri non vi è che Rosaura, che possa evitare il precipizio che gli sovrasta. Ah! sì, sono ora costretta di domandare a lei quell’ aiuto che io medesima le aveva offerto. Voglia il cielo ch’ella mi ascolti e che mi secondi, o per gratitudine, o per bontà. (parte)
SCENA V2.
Campagna remota.
Florindo da contadino, e Arlecchino.
Florindo. Andiamo, andiamo; in quest’abito non sarò conosciuto.
Arlecchino. Sior, se i ve cognosse, i ve darà l’orzo.3
Florindo. Così vestito non mi potranno conoscere. Conducimi da Ghitta.
Arlecchino. Sior, no vorria esser bastonado per conversazion.
Florindo. Giuro al cielo, voglio essere obbedito, o ti romperò la testa.
Arlecchino. E mi griderò, e ve farò cognosser.
Florindo. Zitto, non ti far sentire. Tieni questa moneta.
Arlecchino. Oh! fin che parlerè in sto linguazo, v’intenderò.
Florindo. È lontana la casa di Ghitta? Per questa parte non ci so andare.
Arlecchino. Passà quell’albero alto, se fa un pochettin de salida e ghe semo subito.
Florindo. Via, andiamo.
Arlecchino. E pur el cor me dise, che l’abbia da succeder...
Florindo. Che cosa?
Arlecchino. Che abbiemo da esser bastonadi.