Atto V

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Atto IV Nota storica


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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Sala del festino illuminata.

La Contessa, Madama, la Marchesa, la Baronessa, il Conte, don Alessio, don Maurizio ed altre persone di vario sesso, sedendo e ballando.


(Aprendosi la sala del ballo, vedesi fare il minuetto la Marchesa con uno dell’invito. Terminato questo, la Marchesa va a prendere il Conte, e fanno il loro minuetto, dopo del quale il Conte va a prendere in ballo Madama. La Contessa, sdegnata che suo marito balli con Madama, s’alza e si ritira, mentre ballano. Don Maurizio la segue. Madama finisce il minuetto, l’orchestra si ferma, e vengono i rinfreschi.)

Madama. La Contessa dov’è? (al Conte, sedendogli vicino)

Conte.   Non so. Sarà partita.
Madama. Perchè ballaste meco, affè che se n’è ita.

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Conte. Non crederei per questo.

Madama.   Con questi grilli suoi
Or ora mando al diavolo la festa, lei e voi.
Conte. Io che colpa ne ho? Non merto un tal strapazzo.
Madama. Voi siete un insensato, uno stordito, un pazzo.
Conte. (S’alza sdegnato, e va a sedere dall’altra parte.)
Madama. (Fa lo stesso e siede presso d’un altro.)
Baronessa. (Madama e la Contessa sono nemiche ancora).
(alla Marchesa)
Marchesa. (E saran sempre tali; non ve lo dissi allora?)
(alla Baronessa)

SCENA II.

Don Maurizio e detti.

Maurizio. Signor, con buona grazia, mi spiace incomodarvi.

(a don Alessio)
Alessio. Che avete a comandarmi? (s’alza)
Maurizio.   Bisogno ho di parlarvi.
Alessio. Eccomi. (s’incammina)
Maurizio.   Favorite nella vicina stanza.
Madama. Dove andate? (a don Alessio)
Alessio.   Nol so. (camminando)
Maurizio.   Passate, (a don Alessio, e partono)
Madama.   Che creanza!
Baronessa. (Certo vi è qualche imbroglio!) (alla Marchesa)
Marchesa.   (Così pare anche a me).
Baronessa. (Pagherei sei zecchini a sapere com’è).
Madama. Dite. (al Conte)
Conte.   Son qui. (accostandosi)
Madama.   (Badate che non vi sien schiamazzi).
Conte. (Rispondere non sanno i scimuniti, i pazzi).
(torna al suo posto)
Madama. (Bravo, signor Contino, gli prendo più concetto;
Ch’ei sia tre volte al giorno ben bene maledetto).

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Baronessa. (Per quello che si vede, vi è qualche gran rottura).

Marchesa. (Un’amicizia simile lungamente non dura). (fra di loro)
Baronessa. (Superba è come il diavolo).
Marchesa.   (Spezialmente stassera,)
Perchè ha il vestito nuovo, non ci ha guardate in cera).
Baronessa. (Si vede ben che avvezza non è a portar vestiti).
Marchesa. (Ne ho sette in guardarobe degli abiti guarniti).
Baronessa. (Questo de’ miei vestiti è forse dei più brutti).
Marchesa. (Anch’io mi ho messo intorno il peggiore di tutti).

SCENA III.

Don Maurizio e detti.

Maurizio. Genero, una parola. (al Conte)

Conte.   Signor, sono con voi. (s’alza)
Madama. Conte, Conte, sentite.
Conte.   Verrò a servirla poi.
(parte con don Maurizio)
Madama. (Contro di me si macchina qualche altra impertinenza).
(da sè)
Marchesa. (Madama si fa brutta). (alla Baronessa)
Baronessa.   (Saprà la sua coscienza).
Madama. (Voglio sentire anch’io. Il passo non è ardito,
Se vuol veder la moglie che fan di suo marito).
(s’invia per andare da sè)

SCENA IV.

La Contessa e detti.

Contessa. Dove si va, Madama? (arrestandola)

Madama. Di mio consorte in traccia.
Contessa. Lasciarlo anche un momento per or non vi dispiaccia.
Madama. Io voglio andar dov’è.
Contessa.   Padrona, non si può.
Madama. Eh sì, che si potrà.
Contessa.   Ed io dico di no.

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Madama. A me un affronto?

Contessa.   Eh via, Madama, siate buona.
Di tutta questa casa voi siete la padrona.
Offendervi non credo, se per divertimento,
Vi prego don Alessio attendere un momento.
Madama. Qui vi è qualche mistero.
Contessa.   No certamente, amica,
Quello che fan là dentro, volete ch’io vel dica?
D’accordo tutti tre dispongono la cena.
Oh! guardate chi viene. Vien donna Rosimena.
Venite qua, sedete, che ballerem di nuovo.
(A finger m’insegnasti, e fingere mi provo). (da se)
Madama. (Attendo ancora un poco). (siedono)
Baronessa. Ecco la vecchiarella.
Marchesa.   E vien colla figliuola.
Baronessa. E con don Peppe. Oh bella!

SCENA V.

Donna Rosimena, donna Stellina, don Peppe e detti.

Contessa. (Va incontro a donna Rosimena.)

Oh donna Rosimena! Ecco la vostra sedia.
Sì tardi?
Rosimena.   Sono stata a veder la commedia.
Contessa. Come riesce?
Rosimena.   Non so.
Stellina.   Mi ha fatto tanto ridere.
Peppe. Or ora nel Ridotto si sentirà a decidere.
Contessa. E in versi?
Peppe.   Sì signora; ma naturali e piani.
Rosimena. Venuta è la diarrea de’ versi martelliani.
Contessa. Un verso ch’era morto appena dopo nato,
Chi mai creduto avrebbe veder risuscitato?
Stellina. Per me non me n’intendo; ma il verso mi consola.
Rosimena. Donna Stellina intende. E poi è mia figliuola.

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Marchesa. (Anch’io voglio sentire), (s’alza, e s’accosta agli altri)

Baronessa.   (Voglio sentire anch’io).
(fa lo stesso)
Madama. Si parla di commedie? Vuò dire il parer mio. (s’alza)
Come riuscì il Festino?
Rosimena.   Don Peppe lo dirà.
Peppe. Che volete ch’io dica? doman si sentirà.
Per me non mi dispiace, perchè ci trovo il vero;
La veritade è quella che appaga il mio pensiero.
Contessa. In fatti il grand’onore che si acquistò Moliere,
Fu perchè con il vero studiava di piacere.
Dipingere i Francesi vedeano con diletto
In scena quel che spesso vedean nel loro tetto.
E stanchi d’ammirare l’ara, lo stilo, il nume,
Amavan di godere la critica e il costume.
Anche l’Italia nostra, se di variare è vaga,
Del vero, se lo trova, con più ragion s’appaga;
E questo è quel che puote durare in ogni età,
Quel che dà gusto a tutti, e sempre piacerà.
Rosimena. Contessa, sono qui colla figliuola mia...
Contessa. Si destino in orchestra, si suoni in cortesia.
Che si ripigli il ballo.
Rosimena.   Sì, cara Contessina.
Contessa. Un ballo con don Peppe farà donna Stellina.
Rosimena. Balli con mia figliuola qualcun altro, se c’è.
Don Peppe, compatite, non balla che con me.
Contessa. Ballerà quel signore con lei, se non vi preme.
(accenna un ballerino)
Rosimena. Sì, sì, fan bel vedere due giovinotti insieme.
Baronessa. (Che buona madre!) (alla Marchesa)
Marchesa.   (Apposta la conduce all’invito).
Baronessa. (Perchè poi senza dote ritrovisi il marito).
(Tutti siedono. Si ripiglia il ballo. Donna Stellina balla col ballerino. Poi donna Rosimena invita don Peppe e fanno il minuetto.

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SCENA VI.

Il Conte e detti.

Conte. Basta così, per ora. Sospendano, signori.

Vadasi a cena, e diasi riposo ai sonatori.
Dopo quel della cena brevissimo intervallo,
Si tornerà a riprendere, finchè vi piace, il ballo.
Contessa. Le dame favoriscano d’andar, s’è loro in grado.
Marchesa. Io non mi fo pregare. (s’alza e parte)
Baronessa.   Sì, Contessina, io vado.
(s’alza e parte)
Rosimena. Don Peppe, don Peppino, favorite la mano.
II ballo mi ha stancata; servitemi pian piano.
Peppe. Andiam, come v’aggrada.
Rosimena.   Seguitemi, figliuola.
(a donna Stellina, alla quale il ballerino porge la mano)
Lasciatevi servire. (Quel giovane consola).
(parte con don Peppe)
Stellina. Signor, bene obbligata; se degnasi onorarmi,
La prego qualche volta venire a ritrovarmi.
(parte col ballerino)

SCENA VII.

La Contessa, Madama, il Conte.

Contessa. (Poca prudenza è questa di donna Rosimena,

Condurre una fanciulla al ballo ed alla cena). (da sè)
Madama. (L’ultima son di tutti, e nulla a me si dice?) (da sè)
Conte. Non passa, non fa grazia madama Doralice?
Madama. Non ceno mai, Contessa, e poi sturbar io dubito...
Don Alessio dov’è?
Contessa.   Vado a chiamarlo subito.
(le fa una riverenza e parte)

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SCENA VIII.

Madama ed il Conte.

Madama. Prontissima in graziarmi! Che dice il signor Conte?

Conte. Dico che stanco sono di sofferir vostr’onte.
Non credo meritarmi che in mezzo ad un invito
I titoli mi diate di pazzo e scimunito.
Madama. Oh oh, che cosa nuova! offeso ella si chiama?
L’ho detto cento volte.
Conte.   Per grazia di Madama;
E l’ho potuto in pace soffrir da sola a solo;
Ma in pubblico non voglio.
Madama.   No da ver? Mi consolo.
Conte. Favorite alla cena.
Madama.   Eh no, voglio andar via,
Non voglio disturbarvi la dolce compagnia.
Dell’altre non si lagna la vostra cara sposa;
Trattar tutte vi lascia, di me solo è gelosa.
Conte. Madama, il tempo passa; si mormora di noi.
Venite, se vi aggrada.
Madama.   Signor no, andate voi.
Conte. Sarò costretto andarvi.
Madama.   Andate. Niun ci sente;
Posso senza sdegnarvi parlar liberamente.
Posso fra voi e me seguir lo stile usato,
E dirvi un incivile, chiamarvi un un malcreato.
Conte. Ed io risponder posso, con stil novello e franco,
Che di cotali ingiurie sono annoiato e stanco.
Madama. Ah! ah! (rìdendo)
Conte.   Ridete pure; ma altrove non si ride;
Di me, di voi là dentro si parla e si decide.
Con me, con don Alessio parlato ha don Maurizio.
Preveggo di due case vicino il precipizio;
Onde fra noi, Madama, vi dico in confidenza,
Essere necessaria un po’ più di prudenza.

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Madama. Per me ci penso io. Alfin sono una dama.

Voi lasciatemi in pace.
Conte.   Vi servirò, Madama.
Madama. Ah! non so chi mi tenga... non faccia un criminale.
Conte. Moderate, signora...
Madama. Sento che mi vien male.
Conte. Presto, presto, sedete. (le dà una sedia)
Madama.   Soccorretemi, Conte.
(gettandosi sulla sedia)
Conte. (Quando voglion le donne, le convulsioni han pronte).
Madama. Oimè! (s’abbandona)
Conte.   Ehi, chi è di là? (chiama)

SCENA IX.

Contessa, don Alessio, don Maurizio e detti.

Contessa.   Madama è qui seduta?

Alessio. Che si fa? non si viene?
Conte.   La misera è svenuta.
Contessa. Ella, signor Contino, fatta l’ha tramortire?
(con ironia al Conte)
Alessio. Io, io che so il suo male, la farò rinvenire.
Animo, signorina, si desti in cortesia. (scuotendola)
Madama. Cosa fu? dove sono? (rinviene)
Alessio.   Animo; andiamo via. (a Madama)
Madama. Dove? (confusamente)
Alessio.   A casa per ora, poi domani mattina
A prendere le poste.
Madama.   Quali poste?
Alessio.   A Fusina.1
Maurizio. Giunse la trista nuova di don Alessio al cuore,
Esser vicino a morte in patria il genitore;

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Egli è per ciò dolente, egli perciò destina

Partir velocemente.
Alessio.   Partir doman mattina.
Madama. (Ho capito il mistero). Partiamo in sul momento.
Or non mi si poteva recar maggior contento.
Contessa, se in mia casa il Conte ha frequentato,
Colà non potrà dire d’aversi rovinato.
S’io lo stimassi o no, svelare or non intendo;
Ma l’onor mio che apprezzo, difendere pretendo.
E se la mia condotta vi diè qualche tormento,
Protesto averlo fatto per mio divertimento.
Per me, di lui mi scordo con il più forte impegno;
Se torna in casa mia, lo reputo un indegno.
Alessio. E ben?...
Madama.   La non si scaldi. Andiam, signor marito, (parte)
Alessio. (Si pagheran le poste coll’abito guarnito). (da sè)
Conte. Schiavo, signori.
Contessa.   Serva.
Conte.   Vi domando perdono.
Alessio. Niente. (Questo succede all’uom ch’è troppo buono).
(da sè, e parte)

SCENA X.

Don Maurizio, la Contessa ed il Conte.

Maurizio. Conte, non vi affliggete.

Conte.   Deh, lasciatemi in pace.
Contessa. D’aver la grazia sua perduta vi dispiace?
Conte. No, la conobbi alfine; era già stanco e lasso
Donna servir che ingrata di me prendeasi spasso.
Perdono a voi domando...
Contessa.   Per me non vi dia pena.
Basta che non torniate...

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SCENA ULTIMA.

Donna Rosimena e detti.

Rosimena.   Quando venite a cena?

Maurizio. Eccoci.
Rosimena.   Ov’è Madama?
Maurizio.   Madama è andata via.
Rosimena. Ho piacer; più contenta sarà la compagnia.
Contessa. Perchè?
Rosimena.   Perchè, vedete? Madama è una di quelle
Che con quanti s’abbattono far vogliono le belle.
E quando esse ci sono, san fare e san dir tanto,
Che le fanciulle giovani si lasciano in un canto.
Per me non son così. Far torto altrui non seppe
Il cuor di Rosimena. Mi basta il mio don Peppe.
Contessa. Contenta sono anch’io per ciò non men di voi.
Il ciel non abbandona coi benefizi suoi.
Or sì contenta al ballo, contenta andrò alla cena,
Tratta dal cuor la spina che lo teneva in pena.
Ringrazierò la sorte, ringrazierò il destino,
Con pace e con letizia se termina il Festino.

Fine della Commedia.

  1. La prima posta dopo la laguna di Venezia. [nota originale]