Il dottor Antonio/X
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CAPITOLO X.
Sulla loggia.
La poltrona inventata da Antonio arrivò finalmente; e debitamente provatala, sir John la dichiarò il modello di tutte le poltrone. Compiuti altri minori preparativi, connessi coll’evento contemplato, fra’ quali figurava una grossa cassetta d’istrumenti da disegno provveduta in Nizza; il primo di maggio, verso mezzogiorno, il dottor Antonio entrò nella camera di miss Davenne, dicendo: — «Preparatevi a una grande sorpresa.»
— «Che mai può essere?» domandò Lucy. Poi guardandolo fissa, parve leggesse sulla faccia di lui; perchè fattasi color di rosa, tosto disse: «Ho da alzarmi?»
— «Brava!» gridò Antonio, «indovinato alla prima: La lingua batte ove il dente duole. Sì, dovete alzarvi; ma a patto di sottomettervi a una quantità di seccanti cautele, avvisi e restrizioni. Non vi si permette di camminare, nemmeno di porre il piede per terra: esso ha bisogno di un’altra quindicina di giorni di riposo assoluto. Vi dovrete alzare solo per giacervi quietamente su quella lunga sedia, che Speranza e Rosa vi portano; e siete pregata di abbandonarvi passivamente ad esse e a miss Hutchins, la quale vi vestirà. Alla fin fine non siete delusa, n’è vero?» chiese ansiosamente, notando che il rosso nelle belle guance di lei era sparito; e che gli angoli della bocca espressiva cominciavano ad abbassarsi. «Vorrei potervi conceder di più, ma non oso.»
Avrebbe dovuto aver Lucy un cuor più duro di quello che aveva per resistere alla premura e al tono affettuoso e all’aspetto dell’Italiano. La leggier nube di fastidio mutossi in uno splendido sorriso. — «Sono ingrata davvero,» ella disse; «perdonatemi.» E gli porse la mano — una manina così incantevole, ch’egli sentì una terribile inclinazione di baciarla; ma la ritenne solo per un minuto secondo nella sua. Un’ora dopo, coll’ajuto di sir John in gran festa, per la porta invetriata dell’anticamera, Lucy veniva fatta scorrere sulle rotelle della poltrona nella loggia da noi già tante volte menzionata in questa verace istoria, e dove una tenda era stata spiegata per proteggerla dal sole.
— «Che bellezza! quale squisita bellezza di paese!» esclamò la giovinetta con gli occhi che le si aprivan più larghi come ella guardava intorno. «E poteste temere, o sol pensare un momento,» volgendosi al Dottore, «che la mia fantasia potesse andare oltre a una realtà come questa? Nessuna immaginazione, neppur di poeta, potrebbe ne’ suoi slanci più energici rappresentarsi tanta maravigliosa bellezza.»
— «A dir vero,» rispose,» temevo poco che voi poteste esser delusa. Siciliano qual sono, e passionato per di più nell’ammirare la mia isola natìa, pure confesso questa scena che ci sta innanzi non essere inferiore ad alcuna delle più celebri della Sicilia.»
— «Che colore orientale danno alla collina di Bordighera quelle palme ondeggianti! Si potrebbe credere di essere nell’Asia Minore,» disse Lucy.
Ed era davvero una bella scena. Sta dinanzi l’immensità del mare liscio come uno specchio, e splendido delle tinte cangianti di un collo di colomba, il verde lucente, il porporino scuro, il soave oltremare, l’azzurro cupo di una lama di brunito acciajo; — talora scintillante al sole come diamanti; talora ripiegantesi a mo’ di nastro in rete di nivea spuma. Distaccansi fortemente su questo splendido fondo un gruppo di pescatori dalle rosse cappe e dalle rosse cinture, che tirano le loro reti a terra; e accompagnano ciascuna tirata con un grido simile a lamento, che l’eco della montagna ripercuote addolcito. Sulla diritta, verso ponente, l’argentea striscia della strada ondulata fra case sparse qua e là, o tra chiuse di aranci e di palme, conduce l’occhio al promontorio di Bordighera: un masso enorme di smeraldo, che chiude l’orizzonte, tagliato in forma di balena coricata colla sua larga coda sepolta nelle acque. Ivi in piccolo spazio — vista veramente rinfrescante, vi si presenta ogni gradazione di verde che può rallegrar l’occhio: dal pallido grigio dell’olivo alle scure foglie del cipresso; uno de’ quali, di tratto in tratto, come isolata sentinella, si stacca elevato di mezzo al rimanente. Gruppi di piumate palme, colla cima illuminata dal sole e il resto nell’ombra, stendono i loro larghi rami come creste di guerrieri sulla cima; ove lo snello profilo della guglia torreggiante della chiesa si disegna spiccato sul cielo purissimo.
La costa a levante si addentra nella terra in curva graziosa; poi con gentile sporto a mezzogiorno si perde nel mare lontano lontano. Tre capi sorgono da questa mezzaluna, che sì amabilmente riceve in seno l’ampio spazio delle lente acque; tre capi di diverso aspetto e colore giacenti l’un dietro l’altro. Il più prossimo è un nudo scoglio rossiccio, tanto abbagliante al sole che l’occhio vi si ferma a stento; il secondo, riccamente boschivo, porta quasi mural corona un lungo villaggio sulla sua cresta; il terzo pare in distanza nebbia azzurra con una bianca macchia. Due bianche vele girano intorno a questo capo. Tutto il complesso di coste, immerso nella luce, fuorchè dove un macigno sporgente projetta la sua grigia ombra trasparente, si vede riflesso capovolto con una grazia di tinte sbiadite nello specchio delle acque soggette. Terra, mare e cielo, mescolano i lor diversi colori; e dalle loro varietà, come dalle note di una ricca e piena arpa, sorge una grandiosa armonia. Atomi d’oro galleggiano nell’aria trasparente; e un’aureola color madreperla corona i taglienti contorni delle montagne.
— «Ecco un ampio campo pel vostro pennello,» disse Antonio. «Fra una quindicina di giorni, quando ne avrete fatto piena conoscenza, e ve ne sarete, per così dire, appropriate le bellezze che ora guardate con occhio tanto irrequieto, voi potrete pienamente goderne.»
— «Ma ne godo di già al presente,» affermò Lucy.
— «Ma fra poco ne godrete ancor meglio,» persistette Antonio. «La percezione del bello non è rivelazione istantanea, ma sì graduata; non solo richiede tempo, ma anche un po’ di studio. Accade di un paesaggio come questo, quello che di un pezzo di musica: per esempio, una sinfonia. Possiamo coglierne alla prima molte bellezze minute, ma il nesso fra i varii passaggi, la relazione che hanno fra loro e col tutto; in una parola, ciò che ne costituisce l’insieme, non ci penetra in mente se non sentito ripetute volte, e con attenzione.»
— «Avete ragione,» disse Lucy, che in genere credeva giuste le parole di Antonio. «Mi maraviglio,» proseguì, «come ogni cosa che abbia apparenza orientale s’impadronisca sempre della nostra fantasia. Non posso levar l’occhio da quelle palme; mi ricordano le crociate e i cavalieri, e seco loro le storie della Sacra Scrittura.»
— «La fantasia ritrae molto dalla memoria,» disse Antonio;» e com’essa riguarda indietro al passato. Le storie sentite fin da quando si stava sulle ginocchia materne, non si dimenticano mai interamente: — sono una piccola sorgente che mai si secca nel nostro viaggio attraverso gli anni cocenti della vita.»
— «Amo questa Bordighera!» disse Lucy dopo una breve pausa.
— «Bella com’è,» osservò Antonio, «vi ruba allo sguardo un’estesissima e magnifica veduta delle coste di Francia.»
— «Non me ne importa,» rispose Lucy. «Un ampio paesaggio distrae la mia attenzione; e allora non posso tener lo sguardo dal correre all’orizzonte. Mare e cielo sono fra gli estesi spazii i soli che realmente si godano.»
— «Verissimo,» disse Antonio, «voi avete la mente di un’artista.»
— «Vorrei che fosse,» disse Lucy arrossendo un poco.
— «Ora, eccomi a fare il mio dovere di cicerone,» disse il Dottore in ton di scherzo. «Vedete quel piccolo villaggio a piè di quella montagna dirupata? si chiama Spedaletti, e dà il nome al golfo.»
— «Qual nome singolare, Spedaletti! Significa piccolo spedale, n’è vero?»
— «Sì. Uno de’ miei amici, che pregiasi di essere un po antiquario, pretende di avere accertata l’origine del nome. Egli dice che una nave appartenente ai Cavalieri di Rodi (alcuni di quelli a’ quali stavate pensando, poco fa), mentr’era in crociera nel Mediterraneo, non mi rammento in qual secolo, sbarcò parecchi uomini malati di contagio in questo luogo. Vi furono erette alcune baracche per ricoverarli; e quelli stessi edifizii, a quel che dice il mio amico, servirono di primo nucleo al paesetto attuale, il quale, secondo il suo asserto, ha ritenuto naturalmente il nome del suo primo officio. Per dar peso all’opinione del mio amico, a poca distanza da lì ci sono le ruine di una cappella chiamata la «Ruota,» che può forse essere corruzione di Rodi (Rhodes.)»
— «E ci sono ancora ospedali?» domandò Lucy.
— «No, Spedaletti è al presente abitato solo da robuste famiglie di industriosissimi pescatori, a’ quali non manca mai occupazione. La natura, che fece questa baja sì amabile, la fece pure sicura e da potersi fidare. Riparata a ponente dal capo di Bordighera, e a levante da quei tre promontorii, per quanto il mare sia grosso al di fuori, dentro è relativamente quieto: e i pescatori di Spedaletti stanno in mare con qualsiasi sorta di tempo.»
— «E come si chiama il paesetto posato così arditamente sul ciglione della seconda montagna, proprio sopra Spedaletti? Ha anch’esso una storia?»
— «Si chiama con molta convenienza La Colla (la collina). Non so se parrà a voi degno di notizia come a me pare: chè mentre il cholera infuriava terribilmente in San Remo, giacente ai piedi dall’altro lato del monte, non si sentì neppure un caso alla Colla.»
— «Dee esser parso un prodigio agli abitanti,» osservò Lucy.
— «Che se ne siano dette allora un’infinità di sciocchezze, io non ne ho il menomo dubbio; ma la posizione elevata di La Colla spiega benissimo la sua preservazione. Bensì un fatto più maraviglioso, e realmente inesplicabile, si è che il fatale flagello non girò il secondo Capo, il Capo di San Remo; ma corse di salto a Nizza, rispettando il tratto intermedio di paese. — Confessate,» proseguì Antonio sorridendo, «Che La Colla vi pare quasi una poca cosa in paragone di Spedaletti. I Cavalieri e la peste hanno la precedenza, non è vero? sul cholera e sui medici.»
— «Vi risponderò,» disse Lucy, «come gl’Irlandesi, con un’altra domanda. Quella bianca macchia che luccica sì brillante su quel lontano promontorio, è forse un convento?»
— «Quello è un altro santuario, la Madonna della Guardia, con pretese di rivalità sull’altro di Lampedusa; ma oramai battuto completamente da questo.»
— «Son dunque dedicati tutti alla Madonna i santuarii?»
— «Quasi tutti. La Madonna è la gran passione del nostro popolo. Per me, lo confesso schietto, mi commuove profondamente questa..., dite pure superstizione, se vi piace, questa apoteosi della donna; che ne fa il canale per cui la misericordia e la grazia scende dall’alto sui miseri mortali. È il miglior complimento che siasi fatto alla vostra natura più nobile della nostra.»
— «Pensate davvero che siano le donne migliori degli uomini?»
— «È una mia opinione istintiva,» rispose Antonio. «Ma per parlar sincero, non posso vantarmi di aver per anco sufficiente esperienza di donne e di uomini da poter decidere questo punto ex cathedra. Questo io so che di tutti i miei simili co’ quali fui in stretta relazione, è una donna che ho trovato di gran lunga superiore agli uomini.»
Come una tale asserzione diretta, potevasi ben sospettare, a compiacere il suo orgoglio di donna, abbia penetrato e fatta diventare silenziosa Lucy, non pretendiamo indovinare. È certo che fu così; e, partito il Dottore, ella seguitò a sedersi lungamente dimentica del mare e del paesaggio, dei libri e dei pennelli, perduta in una apparente estasi melanconica. Povera Lucy! Sir John la scosse da’ suoi pensieri, venendo da lei con una lettera in mano. Era di Aubrey. Diceva come fosse stato costretto da affari del reggimento a ritardare la sua partenza; e che ora non sapeva quando avrebbe potuto partire: certo non prima di quattro mesi; ma avrebbe scritto di nuovo per darne notizia a suo padre. Lucy accolse queste notizie in aria di vero filosofo.
— «Alla fin fine, papà, non sono che quattro mesi; ed è una consolazione che non si abbia a far tanto in fretta per partire.»
— «Bene,» rispose sir John; «per il giro che prende la cosa, potremmo dir felice questa dilazione. Sì, in fin dei conti, questa notizia mi toglie un peso dalla mente: — sarebbe stata un’arida accoglienza per il figlio mio, di non trovar in casa altro che servi. Potremo viaggiare a nostro agio, e trattenerci un poco a Parigi.»
— «Oh papà!» disse Lucy, «non me ne importa nulla di Parigi; restiamocene in questa bella Italia quanto più possiamo.»
— «Ma, mia cara,» rispose piuttosto stizzito il Baronetto, che non amava si facessero tante opposizioni ai suoi progetti: «desidero che conosciate un poco Parigi; è giusto e conveniente. L’anno passato la traversammo in fretta; voi stavate allora molto male, e difficilmente ve ne siete potuta formare un’idea.» Dopo una certa meditazione, quasi discutendo fra sè e sè qualche punto, egli aggiunse: «Benchè di gran lunga inferiore a Londra, Parigi è pur tuttavia un luogo da spendervi alcune settimane piacevolmente. In Parigi sono cose da vedersi: i Campi Elisi, ad esempio, quantunque non possano paragonarsi ad Hyde-Park.»
Questo primo di maggio era destinato ad essere un giorno albo signanda lapillo per sir John. Il risultato della somma da lui fatta dei meriti comparativi delle due città gli fu impossibile esporlo tutto, venendo interrotto dal suo servitore John, il quale annunziava un uomo che aspettava a basso chiedendo di vedere sir John. Da dove veniva egli? L’uomo aveva menzionato il nome del dottor Antonio, e aveva l’aria di un mercante di cavalli. — «Un mercante di cavalli!» esclamò il Baronetto, e discese precipitoso le scale con tale alacrità, che avrebbe fatto onore a gambe più giovanili delle sue.
Chiunque nella condizione di sir John, chiunque vogliamo dire, abituato a una quotidiana cavalcata, sia privo del suo favorito esercizio da quasi un mese, intenderà facilmente che il solo sentire parlare di un mercante di cavalli suonasse all’orecchio di sir John come il mormorìo delle acque all’orecchio di un assetato viaggiatore. Gli erano stati mandati da Nizza successivamente due cavalli; ma l’uno si era tosto scoperto zoppo, e l’altro vizioso, da non potersi maneggiare: e la condizione era stata che egli per disperazione aveva rinunziato al cavalcare.
Quell’uomo era realmente un mercante di cavalli, in via per Genova: con cavalli da vendere, animali di prima qualità, bestie magnifiche, come diceva. La conversazione fu appiccata in una specie di lingua franca, colla quale per quanto babelica, le parti interessate procuravano di intendersi l’una l’altra. Naturalmente era stato il Dottore, il quale avevagli detto che il signor Milordo inglese avrebbe veduto con piacere dei cavalli. Essi erano a così breve distanza, che «Sua Eccellenza» poteva quasi vederne di lì le stalle; e ciò dicendo l’astuto galantuomo si sollevò sulla punta dei piedi, e indicò non so che luogo. Comunque, egli portò via seco in trionfo sir John accompagnato da John, il quale passava presso il padrone per un conoscitore perfetto in fatto di cavalli. Un pajo d’ore dopo, a gran meraviglia e contento di Lucy, suo padre riapparì sotto la loggia montato su un bel cavallino, inquartato, garantito, quieto come un agnello; e probabilmente tale, perchè contava un buon terzo di anni più di quelli che gli aveva dati, giurando, il mercante.
— «Spero sia realmente quieto,» sclamò Lucy, piuttosto inquieta alla vivace manovra del padre.
— «Potrebbe cavalcarlo un bambino,» rispose sir John, che da un anno o due sentiva la necessità di evitare di caracollare su cavalli focosi. «Lucy, guardate come è delicato di bocca; obbedisce al più lieve tocco.» E accompagnando le parole coll’atto, il Baronetto incantato fece girare e rigirare il cavallino, finchè Lucy esclamò: «Papà, papà, così farete venire a voi e alla povera bestia le vertigini.»
Mentre questo succedeva, un giovane in giacchetta di postiglione, col cappello in mano, entrò furtivamente per la porta del giardino, e si appressò a sir John, il quale immediatamente si drizzò sulle staffe. Era Prospero. Co’ suoi umili modi veniva a contribuire il suo obolo al contento del Baronetto in quel dì memorabile. I cordiali ringraziamenti di Prospero furono espressi in un gergo, che per le orecchie di sir John non aveva alcun significato; ma eravi tanto sentimento nella voce e nell’aspetto del povero giovane, da trasmettere alla mente del gentiluomo inglese una idea chiara di quello che diceva e intendeva dire l’Italiano, forse quasi avesse parlato inglese come John. L’aspetto pallido e il corpo smunto erano un accompagnamento enfatico della sua eloquenza. Sir John ne fu commosso e per nascondere la sua commozione, cominciò immediatamente, in tono elevato, a dare al giovanotto una lezione sui doveri dei postiglioni verso i viaggiatori in generale, e segnatamente verso una certa specie di viaggiatori. Questa arringa, priva di quell’espressiva pantomima di sguardi e gesti che avrebbe fatto intendere a chiunque il discorso del giovane, piombò duramente sulle orecchie di Prospero, che non ne capiva nulla; ed egli facendo girare il suo cappello, cogli occhi fissi al suolo, aveva l’aria di un colpevole quale sir John voleva dimostrare accuratamente.
In questa crisi, proprio mentre il Baronetto, sempre sul suo cavallo, cominciava a sentirsi imbrogliato del modo con cui concludere dignitosamente la scena; il suo occhio scoprì il dottor Antonio, che era venuto verso l’osteria per vedere la compera di cui già era informato tutto il paese. «Mio caro Dottore,» esclamò sir John con voce cordiale, «sono veramente contento di vedervi, vi sono infinitamente obbligato.» Il dottore Antonio esser chiamato «mio caro Dottore!» in quel modo franco e aperto da sir John Davenne! era la prima volta; non è dunque da maravigliarsi che Antonio desse peso alle parole. Pregò sir John a non parlare di obbigazioni, e si congratulò caldamente con lui della felice circostanza, per la quale aveva potuto procurarsi un così buon cavallo, John sopravvenne in questo punto, e annunziò che la stalla ove solea tener gli altri due cavalli, per non so quali ragioni, non potevasi avere per una settimana almeno: — notizia che depresse alquanto la contentezza del buon vecchio gentiluomo. Ma ciò vedendo il cortese Dottore, trasse da parte quell’aria pentita di Prospero; e dopo un minuto di discorso, si rivolse al Baronetto dicendogli che nella casa ove il giovane abitava, vi era una stalla passabilmente buona, e che forse sarebbe stata di convenienza a sir John; e che era certo un atto caritatevole per parte sua, di confidar la cura del cavallo a Prospero; il quale, appena fosse stato in forza per riprendere il suo ufficio di postiglione, aveva un fratello più giovane che avrebbe fatto di mozzo in sua vece. Il Baronetto accettò la proposta; e Prospero, non poco sollevato a questo tiro di buona fortuna, ajutò a smontare il suo nuovo «signor padrone,» il quale consegnando alle sue cure il cavallo, gli fece gl’ingiunzione si trovasse ogni mattina alle sette all’osteria, per ricevere gli ordini della giornata.
Lucy, dalla loggia, udiva e vedeva quanto accadeva disotto; e aveva seguito tutti gl’incidenti di questo piccolo episodio con una intensità di premura, che a un osservatore indifferente sarebbe potuto sembrare fuor di luogo. Ma quando sir John ebbe chiamato Antonio «mio caro Dottore,» una rosea tinta di compiacenza erasi sparsa sulle sue bianche gote, e il suo sorriso si era fatto più soave e più dolce. Insomma, dotata di un cuor gentile, era naturale che le desse piacere il miglior accordo che vedeva cresciuto fra suo padre e il suo medico.
— «Qual gentilezza da parte vostra!» disse Lucy ad Antonio, ch’era salito da lei e prendeva una sedia vicino.
— «Gentilezza! che intendete dire?» domandò Antonio col sopracciglio aggrottato, come un istrice che si mette in difesa.
— «A darvi pensiero del cavallo!» spiegò Lucy.
— «Ah! ah! ah!» e l’Italiano aprì allora la sua valvola di sicurezza contro le accuse di cortesia, cioè — egli rise di quel suo riso particolare, chiaro, lieto, tuttavia accompagnato da un tintinnìo fanciullesco. «Ma supponete che io non ci abbia pensato: e allora?...»
Gli occhi di Lucy mostrarono incredulità.
— «Alcuni giorni fa, quando esprimeste il desiderio che vostro padre potesse avere un cavallo, ne parlai in una lettera che stava allora scrivendo; e poi temo di aver dimenticato affatto la cosa. Vedete dunque che avete ad essere obbligata soltanto a un caso propizio.»
— «E la poltrona e la tenda, per una capricciosa ragazza che mostrava solo la sua gratitudine coll’essere inquieta e impaziente, vennero qui a caso anch’esse?»
— «Eccoci di nuovo,» disse Antonio tirando indietro il capo con un movimento che era usato fare quando s’infastidiva. «Cose tanto comuni non valgon la pena di menarne scalpore. A questo conto, se starnuto e un vicino dice: salute, io gli dovrò essere obbligato tutta la vita?»
Lucy non potè tenersi dal ridere alla singolarità della similitudine, e domandò: «Potrò io, senza offendervi, esprimere la mia ammirazione per il lavoro di questa poltrona, e pel legno giallo lucido del quale è fatta?»
— «Sì, lo potete,» rispose Antonio sorridendo; «mi fa sempre piacere il sentir lodare la gente o le cose di questo paese. La poltrona è legno di olivo, ed è opera di un bravissimo artista. — Se andremo insieme a Taggia, vi mostrerò dei mobili dello stesso legno e dello stesso artefice, che oso dire non istarebbero male nemmeno a Davenne Hall.»
— «Un artista così bravo,» disse Lucy, «dovrebbe andare a Londra. Sarebbe sicuro di farvi la sua fortuna.»
— «È probabilissimo,» rispose Antonio, «ma par che non senta la necessità di farla. La popolazione della Riviera è estremamente affezionata al suo luogo natìo; e stanno fissi a casa loro, coi loro costumi tranquilli; e vanno rare volte fuori se non vi siano stretti dal bisogno. Ma il vostro seggiolaio è qualcosa di più che un abile operajo: è un artista.»
— «Comprendo,» disse Lucy, «come rincresca a chicchessia di lasciar questo paese, molto più ancora a chi abbia l’occhio e il cuore di un artista. Ove potrebbe trovare una natura simile a questa?» e l’occhio suo scintillò di appassionata estasi. Antonio, che l’osservava attentamente, per tutta risposta le disse: «L’aria aperta vi ha già fatto bene; — parete più vivace di questa mattina.»
— «Davvero? mi sento bene e contenta; e si dice, come sapete, che la contentezza contribuisce molto all’aspetto del volto.»
Antonio fissò i suoi neri occhi sugli azzurri e soavi di Lucy, ma non parlò. Il suo sguardo e il silenzio imbarazzarono Lucy. Non sapeva perchè, ma le pareva che da lui le fosse chiesta qualche spiegazione; che piuttosto deluse Antonio quando fu data.
— «Mio fratello non può tornare a casa prima di quattro mesi; e così papà non si cruccierà più per il nostro dimorar qui. Poi, io sono tanto contenta del cavallo, e di potermi seder quivi, e di godere di questa bella veduta! Non ho forse ragione di sentirmi felice?»
— «Certamente,» disse Antonio piuttosto grave e strofinandosi la barba, «certamente!» Che gli era mancato nell’enumerazione delle cagioni di felicità di Lucy?
Seguì una corta pausa, durante la quale il Dottore e l’inferma parvero tutt’altro che a lor agio. «Intanto,» disse l’Italiano riscuotendosi, «io non ho veduto il vostro disegno. Volete mostrarmelo?»
— «È tutto in confuso,» disse Lucy arrossendo un tantino; «non ne posso far nulla di buono. Mi vergogno di me stessa, e sono affatto scoraggita.»
— «Indovino come la cosa è andata,» rispose Antonio; «siete stata troppo avida. Volete che vi dia un piccolo consiglio? Vedete quella torre mezzo ruinata, ombrata di alberi di palme sul Capo di Bordighera? — Provatevi da prima con essa, o con quel pezzo di muro colla sua veste di morella che spicca tanto bene sul fondo del mare azzurro-cupo. Non vi confondete con troppi oggetti ad un tratto; e vi do la mia parola che non passerà molto che padroneggierete i fondi forti e le piccole distanze. Ma guardatevi dall’ambizione!»
— «Ambizion precipite, che urta sè stessa, e cade,» disse Lucy ridendo.
— «Questo è del vostro Shakspeare,» disse Antonio. «Credo che tutti gl’Inglesi lo sappiano a mente. Non ho mai incontrato uomo o donna del vostro paese, per quanto di altre cose ignorante, che una volta o l’altra non citasse qualche verso di Shakspeare. Che uomo dev’essere stato per potere incorporar così, e «dar local dimora insieme e nome» ai sentimenti di un’intera nazione per secoli avvenire!»
— «Voi mi parete famigliare con Shakspeare, quanto co’ vostri propri poeti,» disse Lucy.
— «Egli è uno de’ miei poeti. Shakspeare non è il poeta di un secolo o di un paese, ma dell’umanità. Egli, come il sole, spande la sua luce e il calore sopra tutto il mondo delle intelligenze. — Potete disegnar figure?» proseguì il Dottore indicando la riva. «Che bel gruppo farebbe quei pescatori con quella donna sull’asino che si ferma a parlare ad essi!»
— «Ma non posso disegnar figure nemmeno per ombra,» disse Lucy con voce desolata.»
— «Bene, voi potete imparare. Le figure sono tanto pittoresche in Italia, che è quasi un dovere il disegnarle.»
— «Sì, ma bisogna saper come si fa. Son sicura che non ho nemmen l’idea del come principiare — se dal cappello o dalle scarpe. E chi v’è per insegnarmelo?»
— «Se realmente desiderate un maestro, ve ne troverò uno.»
— «Potete davvero? Allora lo desidero.»
— «Vi presenterò domani un maestro. Mi avete detto sovente che amereste leggere il poema di Dante, con qualcuno che potesse spiegarcelo e annotarvelo. Ora, se continuate in questa disposizione, conosco persona capace.»
— «Pare che abbiate il dono di trovar ogni cosa occorrente o desiderata,» disse Lucy volgendogli un par d’occhi pieni di gratitudine.
— «La vostra sommissione ai miei ordini severi fu sì piena e senza lamenti,» rispose Antonio, «che mi sento obbligato, potendo voi ora abbandonare il letto, a lasciarvi godere di quanto havvi nelle nostre vicinanze che vi possa divertire. E vi assicuro che abbiamo ripieghi maggiori di quello che non si crederebbe a prima vista. In questo paese, fra tutte le classi, vi è una singolare attitudine ad apprendere, e molto buon gusto naturale. Per esempio, abbiamo una banda musicale passabilmente buona, e la maggior parte de’ componenti di essa hanno imparato da sè; abbiamo pure un’eccellente organista, che non ha avuto altro maestro fuor di sè stesso.»
— «È cosa prodigiosa!» disse Lucy, «e son essi buoni quanto sono abili?»
— «Per dire il meno possibile, hanno molte buone qualità,» replicò Antonio; «sono sobrii, indipendenti e cordiali: hanno nel loro sangue una natural mitezza, e quando fan lite — perchè in qual luogo mai gli uomini stanno sempre in pace fra loro? — la contesa rare volte finisce in vie di fatto. Ma pare che mi crediate a stento.»
Lucy arrossì, perchè quanto diceva Antonio le pareva proprio il rovescio del carattere ch’era abituata a udire attribuito agli Italiani.
— «Dimenticate le idee preconcette, o piuttosto,» continuò Antonio, «richiamatele tutte alla memoria, e paragonate le cose sentite a dire, con quello che voi stessa osservate. I fatti sono argomenti difficili a confutare, miss Davenne: e l’osservazione de’ fatti vi mostrerà che qui fra noi v’è appena esempio di mogli e figlie che portino segni della brutalità dei loro mariti e de’ padri; che l’ubbriachezza è cosa molto rara; e così pure il delitto; che vi sono intere provincie — quella di San Remo, per esempio — nelle quali non un assassinio è stato commesso a memoria di uomo. La proprietà è divisa: e i due estremi, di grandi ricchezze e grande povertà, sono quasi sconosciuti, e così pure per buona sorte la maggior parte de’ mali che ne derivano — per esempio, l’accattoneria. Naturalmente non parlo delle grandi città; ma dei distretti di campagna, ne’ quali quasi ogni persona possiede del suo un piccolo appezzamento di terra, e lo coltiva meglio che può. Il piccolo proprietario a tempo avanzato lavora a giornata pel suo vicino, che ha bisogno di braccia, possedendo più terra; ma giornaliero e proprietario trattano fra loro su basi di perfetta eguaglianza. Il giornaliero non si crede inferiore al proprietario che gli dà lavoro, per un po’ di moneta che riceve; come il proprietario non si crede superiore del bracciante, perchè lo paga.»
— «Voi mi descrivete una vera Arcadia.»
— «Vorrei che fosse,» continuò Antonio scuotendo il capo, «ma vi sono cupe ombre in questa pittura. La funesta azione del dispotismo si fa sentir qui come in ogni altra parte d’Italia. Lo stato di completa ignoranza, nel quale la popolazione di cui parlo è lasciata da un Governo sistematicamente nemico di ogni sorta d’istruzione; — il culto della lettera morta invece di quello dello spirito che vivifica, nel quale sono educati e mantenuti dai loro preti; — l’abitudine di torti dissimulati, per i quali non c’è giustizia possibile e de’ quali sarebbe pericoloso il risentirsi; — tutte queste influenze deleterie si combinano a ritener piuttosto bassa la media della moralità. Quello stesso uomo che per tutto l’oro del mondo non mangerebbe un boccone di carne il venerdì, nè lascerebbe di ascoltar la messa il dì di festa, non si farà scrupolo di rubare al suo padrone un’ora di lavoro o dire una cosa che non è, per ottenere una diminuzione nella rendita che paga al proprietario.»
— «Questo è troppo gran male,» disse Lucy; «e i preti conoscono queste azioni, e non cercano di prevenirle o di porvi rimedio?»
— «Certo, essi non usano l’autorità loro quanto sarebbe necessario per curare il male. Temono di perdere la loro influenza, se si conducono, non vo’ dir con severità, ma solo con fermezza verso il loro greggie. Pare vi sia un tacito accordo fra pastori e pecorelle. Accordateci tutto in quanto alla forma, dicon quelli. Sì, dicon queste, ma non esigete troppo da noi in quanto alla sostanza. Così la lettera uccide lo spirito. Purchè le chiese siano frequentate, i confessionali assediati, le elemosine abbondanti, i biglietti di comunione numerosi, i nostri Reverendi pare si curino poco se la moralità rimane stazionaria, e anco indietreggia. Il Curato, che è sotto molti rapporti quello che voi chiamate Vicar in Inghilterra, predica dal pulpito che la bugia è un abito peccaminoso, e che un operajo deve lavorar bene la sua giornata per una buona giornata di paga, ma fa poco effetto. E perchè non si emendano? Perchè in pratica i confessori non sostengono quel che si predica; sono troppo concilianti, e non osano, testualmente, non osano rifiutare l’assoluzione a quei penitenti che sono in recidiva. Non osano, perchè, essi dicono, «non vogliamo perdere i nostri penitenti;» e questo accadrebbe di certo se mostrassero un grado conveniente di severità. Dovete sapere che è mira e ambizione dei confessori di avere un gran numero di penitenti; e gareggiano l’un coll’altro a chi di loro sarà più in voga. Gli abitanti conoscono questa debolezza, e se ne approfittano. M’è accaduto più d’una volta a sentir dire: «Se il mio confessore non mi dà l’assoluzione, andrò dal tal di tale che ha «maniche larghe;» intendendo dire che è più indulgente.»
— «Queste sono davvero brutte ombre alla vostra bella pittura,» disse sospirando Lucy.
— «Bruttissime,» ripetè Antonio. «La gran faccenda dei nostri Reverendi — vi sono naturalmente molte onorevoli eccezioni — è l’abbellimento delle loro chiese; e per questo fine si approfittano del gusto del bello naturale nel nostro popolo. Offerte o contribuzioni piovono abbondanti per la compera di un nuovo organo, o per un servizio di lampade d’argento, per pitture, per ornamento al santuario della Madonna. Nello stesso tempo la città è sudicia, senza illuminazione le strade, il selciato tutto buchi, le vie detestabili; e i ponti mancano dove maggiormente abbisognano. Ma che importa questo, purchè la chiesa paja splendida e superi tale o tal altra del vicinato?»
— «E come ve la passate voi con questi Reverendi, quali voi li chiamate?» domandò Lucy.
— «Eh! così così: a quel che credo, non mi son troppo amici. Il Curato specialmente non mi può perdonare il rifiuto regolare da me fatto del biglietto, che mi manda regolarmente a Pasqua.»
— «E a che serve?»
— «Una fastidiosissima vessazione. La Pasqua, i Curati s’incaricano di mandare a tutti i loro parrocchiani il così detto bullettino di comunione; ed esigono, dopo essersi comunicati, che lo si lasci da ognuno come prova in sagrestia. Potete immaginarvi essere questa specie di coercizione umiliantissima — almeno io la tengo per tale. Dispostissimo ad adempiere i miei doveri religiosi, pur preferisco di far ciò liberamente, da uomo di giudizio, non da fanciullo per forza. Così rimando sempre indietro il biglietto.»
— «E il Curato ce l’ha con voi?» disse Lucy con faccia alquanto grave.
— «Sì, ma tiene in sè la sua ira. Egli e i suoi reverendi confratelli mi reputano un medico passabile — almeno tanto buono quanto potevasi sperare per questo paese. Ma non è soltanto la loro fede nella mia medica abilità che li mantiene civili verso di me. La pubblica opinione si è altamente dichiarata in mio favore; e anche qui, e a dispetto di tutto, l’opinione pubblica ha il suo peso. E poi la mia barba,» continuò Antonio lisciandola in aria di scherzo, «non è una delle più forti prove possibili del favore che io godo presso il nostro Pascià-a-tre-code, il comandante di San Remo?»
— «Come sarebbe?» domandò Lucy.
— «Vi parrà strano, ma pure è così, miss Davenne, che uno de’ più stretti doveri, come pure uno de’ più gradevoli divertimenti dei Comandanti, sia di non soffrir mento col pelo; e il mio, credo, sia il solo in tutta la Riviera che si possa vantare di aver su qualcosa di simile a barba. Quando venni in San Remo la prima volta, io era tanto occupato giorno e notte, che mancavami proprio il tempo di radermi. Questa ragione feci valere presso il nostro Gessler, il quale l’ebbe per buona, e a poco a poco, e in forza d’abito, la mia barba venne ad essere tollerata.»
— «Pare che vi curiate molto della vostra barba,» osservò miss Davenne, sorridendo all’aria di gravità colla quale Antonio ne parlava.
— «Confesso che mi è piuttosto cara,» rispose egli pur sorridendo. «Senza parlare del tempo e di altre noje che risparmia, credo che se la Natura, che non fa nulla senza motivo, ha dato la barba all’uomo, essa abbia avuto intenzione di fargli una cosa di ornamento o di utile. In fondo mi pare che ogni uomo, ed un Italiano particolarmente colla sua bruna carnagione, stia meglio colla barba che senza. Voi ve la ridete. Ma ditemi se vi par meglio una testa di Vandick colla sua barba, o uno dei moderni ritratti lisci sbarbati? Sospetto che il vantaggio sia da parte della prima.»
— «Sì,» disse Lucy arrossendo un poco, e alquanto esitante per la memoria che le ritornò dell’osservazione da lei fatta a suo padre alla prima visita del dottor Antonio; «sì, quando gli uomini somigliano ai ritratti di Vandick.»
— «Non fate restrizioni,» esclamò Antonio, «o crederò che partecipiate al pregiudizio che sento esistere in Inghilterra contro la barba.»
— «Oh! io no, davvero,» disse Lucy; «ma la maggior parte degl’Inglesi la odiano.»
— «Bene, lasciateli radersi; de’ gusti non c’è che dire,» osservò Antonio in aria di rassegnazione.
— «Mi prometteste un giorno dirmi il motivo per cui siete tanto in favore presso il Comandante. Ditemi un poco, comanda egli a tutta la Riviera?»
— «No, no. Ogni provincia di questo regno ha un gioiello come questo in capo.»
— «E da che incominciò il vostro favore presso costui?»
— «Da una sua idea assurdissima. Vi ho detto spesse volte che il cholera, quando venni in San Remo, era al colmo. Trovai il Comandante colpito da terror panico, e con in capo l’idea fissa che egli avrebbe preso il morbo. Vidi immediatamente esser necessario volgerne la immaginazione, ed esercitar la sua attività in senso contrario: così gli detti una boccettina di aceto canforato, con ordine di odorarlo un dato numero di volte al giorno, e l’assicurai che questo era uno specifico infallibile contro il cholera. Egli lo crede ancora,» seguitò Antonio ridendo cordialmente. «La boccettina adesso è vuota; e se il cholera riapparisse, non conosce alcuno cui rivolgersi per una nuova provvista di quel miracoloso antidoto, eccetto me. Per questa ragione è civilissimo con me — e colla mia barba.»
Lucy gustò lo scherzo, e rise sì cordialmente, che le fece eco Antonio sino a spuntargliene le lagrime agli occhi.